Van Gogh: struggente il biopic del regista Julian Schnabel

È arrivato nelle sale italiane Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità, il biopic su Vincent Van Gogh, regia dell’americano Julian Schnabel. È un film struggente e delicato. Bellissimo, quasi che lo spettatore possa entrare in una tela e vivere un’esperienza emozionale, trattenendo il fiato. C’erano molti punti di vista possibili per raccontare il pittore incompreso in vita e osannato da morto, che ha patito la solitudine e ha sopportato il peso di un talento esagerato. Schnabel è entrato in Vincent (interpretato da un incredibile Willem Dafoe), nella sua testa, nella sua anima. Ha ridotto ai minimi termini il tempo ed ha dilatato lo spazio, fino a farne un contenitore, una bolla di colori e di impressioni, a volte una prigione. Così ha restituito allo spettatore vent’anni della biografia di Van Gogh senza scandirli veramente: il passare dei giorni, dei mesi, degli anni acquista infatti una forma diversa se si prova a tracciarla a partire dai fatti del cuore.

La scelta del regista di narrare il pittore da dentro ha una conseguenza immediata: la lentezza della narrazione, che segue il ritmo di ossessioni, paure, angosce, riconciliazioni, esitazioni. La pellicola si sofferma molto sul rapporto tra Vincent e il fratello, mercante d’arte e primo sostenitore del suo talento, nonostante le resistenze della gente. Oltre la relazione fraterna, spicca quella professionale con Paul Gauguin, al quale Van Gogh si lega nel profondo. Guardando il film, ascoltando le poche battute (le parole sono centellinate) si viene travolti dalla sensibilità del pittore, quasi se ne ha timore. Il disturbo mentale viene raccontato come parallelo a una genialità artistica anticipatrice di visioni. Una genialità che è andata a braccetto con l’emarginazione, la disperazione. Dopo essersi ribellato alle sue stesse capacità artistiche, dichiarato malato di mente e povero, Van Gogh si convince di essere destinato a dipingere per i posteri. Muore senza aver venduto un solo quadro. Nessuna soddisfazione per lui, nessuna gloria. Il suo inferno sta nella tela, nelle pennellate decise e nervose, nel colore giallo che tutto ingloba. Dipingendo reinterpreta la natura e le persone, il suo tratto è unico e per questo inafferrabile. Il regista scandaglia il senso di tutto questo e non lo trova, ma resta incantato a contemplare e ci invita a fare altrettanto.

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