The National @ Alcatraz

C’è il tutto esaurito all’Alcatraz di Milano per l’unica data italiana di quella che oggi risulta una delle migliori realtà americane degli ultimi anni: i National. Ad aprire il loro concerto, i fedelissimi Phosphorescent. Il tempo di un giro e una birra e alle 22 in punto, le luci si spengono. I ragazzi salgono sul palco, accompagnati da un set di ottoni, accennano un saluto, poi l’inizio morbido di Runaway avvolge l’Alcatraz. L’atmosfera è calda e si inizia a pompare un po’ di ritmo con l’incalzante Anyone’s ghost.

I pezzi di High Violet sono i veri protagonisti di questo evento, te li senti scivolare addosso, ti riempiono dentro.  E, appena penso questo, ecco un improvviso salto nel passato: arriva Mistaken for Strangers, ma suona fredda, con un arrangiamento poco riuscito. La calda e corposa voce di Matt e lo scudo ritmico del validissimo Devendorf finiscono per mettere in secondo piano la band, le chitarre non si sentono abbastanza, e la scarsa dinamica porterà a privilegiare i brani del nuovo disco, e a non rendere giustizia a quelli dell’acclamato precedente Boxer.

Poco male, a riprendere il pubblico ci pensa una meravigliosa Bloodbuzz Ohio, probabilmente una delle migliori della serata: sofferta, sentita. Belle le proiezioni che fanno da sfondo, con i colori violacei quasi a enfatizzare la sensazione visiva che la musica dei National trasmette. Matt si scioglie dalla sua timidezza, inizia a parlare con il pubblico e, naturalmente, non manca di dedicare la bellissima Slow Show all’omonimo fan club italiano della band.

Il ritmo è un po’ rallentato. Poi l’incedere marziale inizia a marcare una meravigliosa esecuzione di Squalor Victoria che, soprattutto nel finale, esalta tutti per l’energia che finisce per comunicare. C’è tempo per l’intima nostalgia di Afraid Of Everyone, prima di un grosso tuffo nel passato: il rock grezzo e un po’ garage di Available e Cardinal Song tanto per iniziare, con le urla di Matt a tirar fuori quel suo lato ancora inespresso.

Nonostante il testo dimenticato, Conversation 16 risulta convincente e, con Sorrow e Apartment Story, traghetta gli spettatori nella seconda parte del concerto. Se nella prima metà i nostri figurano come una bellezza algida, capace più di farsi contemplare, piuttosto che di coinvolgere, verso il finale l’istinto animale si fa vivo. C’è l’energia della biblica Abel, la poesia di  Daughters Of The Soho Riots, le cattedrali gotiche che riempiono England e il fine richiamo dei suoi fiati. Fake Empire e About Today terminano il concerto.

Il rientro dietro le quinte è di rito, non si può evitare, ma nessuno può immaginare che quello che accadrà dopo resterà  appiccicato addosso a chi c’era. Il bis è un piccolo capolavoro, inizia con una Lucky You da pelle d’oca, ripescata da quelle canzoni tristi per amanti sporchi dopo tanto tempo, lascia spazio all’urlo della ormai Obamiana Mr. November e alla suggestiva interpretazione di Terrible Love che manda letteralmente in delirio, con Matt che scende dal palco srotolando le decine di metri del suo microfono in giro tra gli spettatori dell’Alcatraz. Delirio assoluto. Purtroppo Matt scompare nel retro, e la band se ne va. Il pubblico, estremamente galvanizzato, resta per qualche secondo a bocca asciutta, ma ci vuole davvero poco a riassaporare il gusto di quella bellezza che ancora ci è rimasta dentro e che neanche la fitta pioggia, una volta usciti, laverà via tanto facilmente.

NDR – È da poco uscita la expanded version di High Violet, una b-side con inediti e versioni alternative. Cliccate su You were a kindness per un assaggio.

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