Warpaint – Warpaint

Non so se vi sia mai capitato, ma spesso accade che l’esubero di pessima, mediocre o buona musica generi un immenso caos anche nelle menti più logiche e ordinate. Come si suol dire ogni tanto il troppo stroppia. Soprattutto quando si tratta di frasi e fraseggi ripetuti allo sfinimento, è facile che il livello di saturazione dell’ascoltatore diventi molto alto. La qualità degli ascolti è stata soppiantata ultimamente da una considerevole quantità di uscite che ogni giorno sono attese come l’avvento di un nuovo Messia. A dirla tutta, sono veramente poche poi quelle che si distinguono e che rimangono impresse per più di qualche giorno.

Molti album fin da principio sono destinati ad essere fuochi fatui. Ed è proprio quello che ho pensato al secondo ascolto di Warpaint delle Warpaint, nonostante ad un primo impatto l’incontro con quell’intreccio di arie e voci evanescenti sia stato quasi elettrizzante in una giornata grigia di metà gennaio. Se nel precedente album Fool, uscito ormai più di tre anni fa, le quattro giovani californiane risentivano di un’energia svincolata da ogni catena, frizzantina e genuina, in questo lavoro riescono a far emergere la loro parte più spirituale, legata alle radici, azzarderei dire più bjorkika.

Il disco di per sé non sarebbe neppure niente male: da orecchiare supini su qualche letto sfatto d’hotel o a bordo piscina tra champagne e caviale, altrimenti in assenza del nettare degli dei, anche un’amatriciana e una Peroni non guasterebbero certo il palato. Tutto questo per sciogliere una metafora semplice: non vi sembra un lusso, un ascolto simile in tempo di crisi? A me un po’ sì, sinceramente. Le Warpaint dicono di aver trovato il loro mantra ideale in mezzo al deserto californiano, nel Parco Nazionale di Joshua Tree, e di aver attinto dai silenzi della natura per realizzare il loro nuovo concept album. Concept what? “Dai ragazze non fate scherzi, sto sentendo per la seconda volta la traccia numero sei e se il “concept” è questo ancora per molto, vi saluto e vado a dormire!” A dire il vero non si tratta proprio un concept album, ma almeno fino a metà dell’opera tutto gira intorno alla noia, e allora sì che la definizione di concept diventa calzante.

Fin dall’Intro il suono è decisamente più minimale rispetto alle sbavature post-punk di Fool, sembra quasi che dall’ultima fila della classe le inseparabili Emily, Theresa, Jenny Lee e Stella siano state rimproverate dalla maestra e messe in castigo dietro la lavagna. “Bambine, ora siete cresciute, camminate in fila per due e non fate chiasso”, in un lamento che pare più un ululato, Love Is To Die, il brano scelto come primo singolo estratto, è forse la traccia più rappresentativa dell’intera raccolta, un affresco di un rigore nostalgico, smorzato solamente da qualche nota più acuta e da una batteria imperiosa.

Se volete evitare valeriana, camomilla o altri rimedi contro l’insonnia, lasciate che il disco scorra: Hi, Biggy e Teese vi saranno soprattutto d’aiuto. Come in un incubo, se non vi va di sobbalzare nel sonno, è meglio ascoltare invece con gli occhi ben aperti Disco//Very, pezzo dal gusto psichedelico in cui ogni stonatura è consentita. Dentro Warpaint bisogna camminare a piedi scalzi, fermarsi qualche minuto nella camera profumata d’incenso di Go In, per poi cominciare a correre a perdifiato nel bosco tortuoso, labirintico che porta al castello di Feeling Alright, scavalcare il filo spinato e sdraiarsi guardando il cielo stellato. Qui comincia e finisce il meglio del secondo episodio delle californiane.

Dark wave e ritmi sincopati ampiamente già battuti, sono il richiamo più forte di questi ultimi anni e lo sono anche per le Warpaint che concentrano tutti i loro sforzi su delle atmosfere che man mano vanno a diventare sempre più pesanti, ma allo stesso momento più reali. Il canto è finalmente chiaro e limpido, la voce di Emily sguscia qua e là in Drive e prende il volo in Son. Questo disco è frutto di un’epoca che troppo ha seminato e che poco ha raccolto. Avessimo ascoltato Warpaint dieci anni fa sicuramente qualcuno avrebbe consigliato al quartetto di sorridere un po’ di più. Oggi si può ancora sorridere e trarre spunto per crescere artisticamente anche dalle situazioni meno tragiche o è proibito?

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Tracklist:

1. Intro
2. Keep it healthy
3. Love is to die
4. Hi
5. Biggy
6. Teese
7. Disco//very
8. Go in
9. Feeling alright
10. CC
11. Drive
12. Son

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