Waxahatchee – Ivy Tripp

Della piccola Katie Crutchfield ne avevamo parlato due annetti fa ai tempi del suo secondo album, Cerulean Salt, che aveva portato la promettente rocker dell’Alabama agli onori della cronaca in un periodo caratterizzato dall’ ascesa del revival rock/riot-girl partito proprio dalla East Coast e tutt’ ora in fase di piena.

Due anni di crescita questi per Waxahatchee, il passaggio alla Merge Records, i concerti non più da spalla ma da headliner, in America ma anche in Europa, dove il suo nuovo album sarà distribuito dalla londinese Wichita Records (Best Coast, Cloud Nothing, First Aid Kit). Insomma anni di grandi passi ma in cui i passi falsi possono far saltare all’aria tutto, neanche il tempo di accorgersene.

Con questo nuovo album, Katie si è tenuta alla larga dai passi falsi.

Ivy Tripp riprende per filo e per segno il discorso artistico tracciato in Cerulean Salt, alt-rock americano in puro stile 90’s che guarda tanto alle donne del rock quanto all’indimenticato filone alternative associabile a mostri sacri come i Built to Spill o i Guided by Voices. Il punto forte di Kate resta la voce, graffiante e profonda che trova nel piglio elettrico, che caratterizza la maggior parte delle tracce, il suo perfetto substrato. Tuttavia più che nel precedente non mancano momenti più acustici e intimistici, che tuttavia rappresentano anche i momenti più deboli dell’album, per lo più noiosi e senza verve, staccano troppo dal resto del disco.

Nel suo piccolo, Katie prova anche a dare sfogo a qualche nuova idea, senza strafare ovviamente, onde evitare per l’appunto “passi falsi” fatali. Breathless la traccia iniziale, si estende su un organo distorto (che ricorda meravigliosamente i Young Marble Giants) su cui Kate e un riff lontano parlano di amore ed essenza. In La Loose invece compare una delicata batteria elettronica in un crescendo, tra coretti e organi, di solare scanzonatezza. Bonfire, pezzo di chiusura, si dilata come la prima traccia con fare shoegaze questa volta su fuzz chitarristici estesi e distorti à la Galaxie 500, inchiodati da una pesante linea di basso.

Disco meno compatto rispetto al precedente, siamo probabilmente di fronte a un disco di passaggio, in cui comunque il talento e l’intensa e autentica attitudine rock di Waxahatchee non faticano a venire fuori ancora una volta.

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