10 letture gotiche da riscoprire

BAL5335 Abbey in the Oakwood, 1810 (oil on canvas) by Friedrich, Caspar David (1774-1840); 110x171 cm; Schloss Charlottenburg, Berlin, Germany; (add.info.: Eldena Abbey near Greitswald;); German, out of copyright

Era il 1918 quando Virginia Woolf scrisse un articolo per il Times Literary Supplement in cui affermava quanto fossero irresistibili le storie di fantasmi per i lettori suoi contemporanei. La tradizione, però, risale a circa centocinquant’anni prima, con la pubblicazione di Il castello di Otranto (1764) di Horace Walpole, unanimamente considerato il padre della letteratura macabra. Ambientato in un Medioevo segnato da paura e superstizione, il romanzo di Walpole riscosse un enorme successo, inaugurando così una moda che raggiunse l’apice in epoca vittoriana. Gli scrittori dell’epoca trasformarono semplici racconti da spauracchio in architetture narrative tanto finemente sviluppate quanto avvincenti per i lettori.

Elencare tutti i nomi di story-teller e opere che hanno reso grande il filone è un lavoro su cui si potrebbe scrivere interi trattati, per cui di seguito prenderemo in esame alcuni scritti di autori classici fondamentali per comprendere l’importanza storica del genere e qualche lettura un po’ meno nota che potrebbe essere una vera sorpresa riscoprire.

 

Silenzio (1837) di Edgar Allan Poe

Apriamo le danze con il nume tutelare del gotico americano ottocentesco e uno dei suoi racconti meno inflazionati e più enigmatici. Silenzio è un esperimento metanarrativo, pieno di metafore da cogliere e assimilare, con protagonista un demone che a sua volta racconta a un uomo una meravigliosa favola su silenzio e desolazione ambientata in una Libia lontana dalla realtà e dalle sue logiche.

Breve e conciso, ma impregnato di uno stile descrittivo molto suggestivo in grado di far viaggiare il lettore in tempi antichi in cui si credeva decisivo l’intervento di divinità ed entità demoniache per l’andamento dei moti universali, Silenzio si legge come un mito allegorico sull’ancestrale rapporto tra la Natura e l’Uomo, nel quale quest’ultimo può trovare, attraverso il Silenzio, motivo di infinita angoscia esistenziale o la chiave per poter astrarsi dagli impedimenti della vita per poterne davvero comprendere la spiritualità.

 

Il segnalatore (1866) di Charles Dickens

Il maestro vittoriano Charles Dickens deve la sua fama a celebri romanzi di formazione quali David Copperfield e Oliver Twist, oltre ai quali scrisse storie soprannaturali, spesso pubblicate nel periodo natalizio, figlie di una passione per lo spiritismo nutrita fin dalla tenera età. Il segnalatore appartiene a quest’ultimo filone, e colloca la narrazione in una suggestiva stazione ferroviaria della campagna inglese, posto di lavoro di un vecchio addetto ai binari e teatro di stravaganti e terrorizzati visite spettrali.

Racconto di premonizioni per nulla banale nelle implicazioni e nelle sottotracce, scritto con semplicità e scorrevolezza, Il segnalatore mischia il verosimile della quotidianità con l’anima fantastica, ramificando un’ambigua atmosfera tesa che solleva mille interrogativi destinati a non trovare risposta nello sconcertante epilogo.

Alla fine, ed era questo ciò che Dickens intendeva trasmettere con le sue storie di fantasmi, resta la consapevolezza che il fantastico sia l’unica via per prendere coscienza delle nostre paure, esorcizzandole ogniqualvolta ci si trova di fronte a qualcosa di inspiegabile. L’effetto catartico, in questo senso, è dirompente.

 

Carmilla (1872) di Joseph Sheridan Le Fanu

Pubblicato vent’anni prima del ben più celebre Dracula di Bram Stoker, Carmilla declina il mito del vampiro, con tutte le riflessioni annesse sul tema del freak e dell’immortalità, rileggendolo in una chiave femminista per il tempo originale e rivoluzionaria. Certo, la tradizione gotica è sempre stata piena di figure “in gonnella” intraprendenti, ma mai come in Carmilla la donna è fondamentale all’economia della storia al punto da avere persino l’ultima parola. Se da un lato, infatti, troviamo la vampira del titolo, una fiera della notte inarrestabile e ambasciatrice di una sessualità libera da qualsiasi tipo di vincolo; dall’altra c’è la protagonista e voce narrante Laura, preda sedotta da sentimenti agli antipodi che vanno dalla paura viscerale all’attrazione morbosa per il mostro, non una semplice spettatrice passiva dei fatti.

Ciò che rende tanto grande Carmilla è aver affidato il punto di vista principale della vicenda a una donna alla quale nel corso dell’opera si intuisce stare stretta la vita della donzella “casa e chiesa”. Purtroppo, però, non ci è dato sapere se Joseph Sheridan Le Fanu nutrisse l’intento di appoggiare o meno tutte quelle donne che in età vittoriana (pur incasellate dentro i dettami della rigida morale del tempo) lottavano per ottenere il diritto di voto e far valere così la loro voce, ma offre comunque un ritratto concreto delle contraddizioni di un’epoca e, soprattutto, di quanto allora la donna libera facesse paura alle convenzioni etiche dell’uomo vittoriano medio e puritano. Si può leggere inoltre una velata frecciata all’imperialismo britannico votata alla conquista e alla rieducazione dello straniero barbaro e “amorale”.

 

La famiglia del Vurdalak (1884) di Aleksej Tolstoj

Storia di un ambasciatore francese di stanza presso una comunità agricola in una Serbia sul piede di guerra con i Turchi, La famiglia del Vurdalak descrive con crudo realismo e immagini pulsanti di vita propria un contesto rurale cupo e malinconico, legato a rituali pagani risalenti al Medioevo che hanno al loro centro il sacrificio estremo dei cari. Il racconto raffigura dei vampiri molto diversi da quelli a cui si è abituati, lontani dall’archetipo nobiliare di Stoker, che si ricollegano all’idea del vampirismo come condanna per l’anima di chi ne viene infettato, intrecciandosi indissolubilmente con il contesto storico della tensione slavo-turca.

Cugino del ben più celebre Lev, Aleksej Tolstoj scrisse La famiglia del Vurdalak durante un viaggio in Francia nel 1840, ma la pubblicazione avvenne postuma nel 1884 in Russia e nel resto dell’Europa il testo arrivò solo nel 1950. Una sorte molto amara per uno splendido racconto che arriverà addirittura ad ispirare uno dei capolavori del regista Mario Bava, I tre volti della paura con Boris Karloff.

 

Il re giallo (1895) di Robert W. Chambers

Tra le influenze di Nic Pizzolatto per la creazione della serie True Detective, Il re giallo di Robert W. Chambers è una raccolta di racconti che possiedono come filo conduttore un tomo maledetto che ne condanna i lettori alla follia e al contatto con il Carcosa, l’oltretomba del folklore voodoo governato dal crudele demiurgo noto appunto come il re giallo, dal manto color oro e il viso celato da una maschera raccapricciante, a cui innumerevoli regnanti hanno offerto tributo nel corso degli eoni.

Con uno stile narrativo fluido, Chambers spazia dagli squarci di ignoto orrore cosmico lovecraftiano alle sfumature del fantastico e alla vena romantica e decadente della vita dei bohèmien senza far perdere ai suoi personaggi di verosimiglianza e credibilità, riuscendo ad architettare trame in cui il tono onirico tangibile e onnipresente di novella in novella smorza la sensazione di disomogeneità dell’opera.

 

Il giro di vite (1898) di Henry James

Capolavoro imprescendibile ambientato nella campagna londinese, la ghost story di Henry James ha per protagonista un’insegnante chiamata ad educare i due orfani Miles e Flora mentre lo zio di questi ultimi è costretto ad assentarsi da casa. Da qui inizierà una serie di accadimenti paranormali che condurranno a un finale inesorabile, in bilico tra realtà e allucinazione, su cui ancora oggi si discute.

Henry James è un genio nella stratificazione di paure e ossessioni man mano che il dramma narrativo degenera perdendosi nei meandri del delirio, e il tutto viene delineato con cura portando alla luce tutti gli aspetti psicologici dei personaggi. Il tragico finale, che lascia in sospeso molte ambiguità, apre un ampio ventaglio di dubbi e possibili interpretazioni alle quali nemmeno una seconda più attenta lettura potrà annullare.

La tradizione del bambino dotato di “sesto senso” che funge da ponte naturale tra il mondo terreno e il soprannaturale viene rispettata, e i due giovani protagonisti assumono per tutto il racconto un’aura di sinistra onnipotenza sottilmente conturbante per l’incoscio.

 

La nave che vide uno spettro (1902) di Frank Morris

La trama di questo racconto non va oltre il suo titolo. Ma allora cosa rende lo scritto di Frank Norris degno di figurare all’interno di questo excursus? La risposta si trova nella capacità dell’autore di costruire una storia horror giocata sulla tensione sottile e sulle immagini evocative, trasfigurando la ricostruzione di una spedizione della marina americana in un incubo fatto di paranoia, fame e terrori inenarrabili.

Spazi ristretti, pochi personaggi sempre più con i nervi a pezzi, tanta nebbia e tanto buio sono semplici elementi che presi a sé possono apparire poca cosa, ma che nell’insieme evocano il senso di difficoltà e stenti di una situazione portata agli estremi dall’isolamento. Non è difficile immaginare che Dan Simmons abbia attinto anche da qui per la stesura del suo notevole romanzo The Terror.

Il racconto avrebbe funzionato sicuramente anche senza scomodare l’elemento soprannaturale, ma quest’ultimo non fa che insaporire il fascino di una lettura già in sé intrigante.

 

Colui che sussurrava nelle tenebre (1930) di H. P. Lovecraft

Racconto inserito all’interno del Ciclo di Cthuluh, Colui che sussurrava nelle tenebre narra del professore di lettere Albert Wilmarth, costretto a far fronte a una serie di enigmatiche sparizioni dietro le quali si suppone operino degli extraterrestri provenienti dall’inospitale pianeta Yuggoth.

Come ci ha abituati lo scrittore di Providence, il ritmo inizialmente blando della vicenda diviene man mano sempre più incalzante, arrivando a sfociare in terrori e angosce universali alle quali è impossibile opporre resistenza. Lovecraft ammanta ogni parola di un clima onirico di perenne minaccia, e la descrizione degli elementi macabri (animali squartati, per citare una delle tante immagini repellenti presenti nell’opera) riesce a far sentire momentaneamente davvero a disagio.

Da sempre abile cantore di forze antiche e mondi oscuri che dominano sull’effimera esistenza umana, Lovecraft si conferma molto più del creatore di mostri tentacolati a cui spesso si tende ad associarlo, e cesella l’ennesima tessera di un immenso puzzle narrativo portentoso, caratterizzato da un pessimismo cosmico denudato di qualsiasi possibilità di scampo, in cui il ruolo che l’uomo ricopre sul palcoscenico universale è tutt’altro che rassicurante.

 

I segugi di Tindalos (1931) di Frank Belknap

H. P. Lovecraft ebbe molti amici scrittori con cui tesseva delle animate corrispondenze. Tra le vaste schiere di discepoli che si ispirarono all’opera del Solitario di Providence per tutte quelle novelle che ne ampliavano la mitologia si può annoverare Frank Belknap, autore di The Hounds of Tindalos.

Prima apparizione di una delle creature più famose del pantheon dei Miti di Cthuluh, il Tindalo, mostro pauroso simile a un canide che viaggia attraverso le dimensioni spazio-temporali, materializzandosi in luoghi provvisti di angoli, I segugi di Tindalos è la storia di Halpin Chalmers, un occultista che fa uso della droga Liao per compiere viaggi nel tempo. Dopo l’iniziale entusiasmo per aver valicato frontiere che l’uomo non è tenuto a oltrepassare, l’avventuriero scoprirà negli angoli più bui della storia dell’universo l’esistenza di ferocissime orde di predatori che non tarderanno a perseguitarlo per la sua tracotanza.

Al di là del notevole valore letterario di questa riproposizione d’autore dell’antico rapporto tra hybris e nemesis (concetto proveniente dalle credenze dell’Antica Grecia secondo cui a un’azione empia consegue una punizione ancora più brutale), I segugi di Tindalos è fondamentale per comprendere quanto l’immaginario lovecraftiano fosse espandibile e facile oggetto di rielaborazione per autori dall’impronta estremamente personale che comunque offriva i dovuti omaggi reverenziali alla matrice originaria del ciclo lovecraftiano.

 

La lotteria (1948) di Shirley Jackson

Considerata una delle migliori scrittrici di thrilling di sempre, Shirley Jackson è un’arguta narratrice che rivela l’orrore nascosto dietro l’angolo dell’ordinario e fa dei plot-twist finali spiazzanti il suo cavallo di battaglia. La lotteria è probabilmente il suo racconto più celebre, ed è un ottimo punto di partenza per scoprire la sua narrativa diretta e priva di inutili orpelli con la quale in poche righe delinea alla perfezione contesto e situazioni.

Pubblicato sul New Yorker nel 1948, con grande scandalo dei lettori pronti a urlare all’oscenità e al cattivo gusto, La lotteria mette in discussione prospettive e certezze del lettore, immergendolo inesorabilmente (e il tutto in una manciata di pagine) tra le pieghe dell’oscura nevrosi e disumanità di un contesto sociale, quello del New Hempshire, solo in apparenza bucolico, e inietta sottopelle la suspance per poi mettere assestare il colpo di grazia con una scioccante rivelazione finale.

Da questo racconto Stephen King trarrà ispirazione per il suo I figli del grano, contenuto nella raccolta A volte ritornano.

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