Cat Person, l’esordio in narrativa di Kristen Roupenian

Kristen Roupenian

Per chissà quale congiunzione astrale, mi sono ritrovata a leggere Cat Person di Kristen Roupenian e La lotteria di Shirley Jackson pressocché in contemporanea: due racconti che danno nome alle omonime raccolte (per Cat Person solo nell’edizione italiana pubblicata da Einaudi Stile Libero) che tanto hanno mobilitato l’opinione pubblica dopo la prima pubblicazione, per entrambi sulle pagine del New Yorker.
Cat Person arrivò infatti nel dicembre 2017, a sessantanove anni dall’ondata di reazioni negative scatenate dal racconto della Jackson, diventando in poche ore virale, tra passaparola e tweet rimbalzati. E così come era stato per la Jackson, tra confusione e travisamenti, e analisi molto poco letterarie, il successo del racconto di Roupenian nasce da quello che Ruth Franklin, biografa di Shirley Jackson, definì “un orribile riflesso delle proprie facce”: un aspetto della società e delle relazioni contemporanee posto davanti a uno specchio, costretto a riflettersi e inevitabilmente riconoscersi.

Nei mesi successivi Cat Person venne analizzato in ottica politica e femminista – cui si può essere d’accordo o meno; scatenò apprezzamenti e risposte piccate, perlopiù maschili, pregne dell’astio tipico di chi ha voluto leggere la generalizzazione anche laddove non c’era; causò l’arrivo all’indirizzo dell’autrice di svariate confessioni a stampo sessuale non richieste. Un chiacchiericcio insomma che è valso la fama a Roupenian, seguita da un contratto da un milione di dollari per una raccolta di racconti (già pronti e talvolta già pubblicati su altre testate) e un possibile romanzo futuro. Anche HBO ha mostrato interesse verso la realizzazione di una serie televisiva sui racconti che sono poi andati a confluire in You know what you want, arrivato in Italia solo qualche giorno fa.

 


Sarebbe giusto provare a giudicare Cat Person svincolandosi dalla consapevolezza del trascorso e dall’hype che ne ha accompagnato fino alla fine la pubblicazione? Probabilmente sì. Ma anche così giusto quanto impossibile. Tutti ci siamo chiesti cosa avrebbe potuto la penna di oupenian – in questo caso avesse già prodotto – alla luce di Cat Person ma anche di contorno a Cat Person. Ben consapevoli di come una raccolta possa avere dei punti forti, ma che essi non siano sufficienti per farla sopravvivere.

Dopo lunghissime premesse, vi concedo uno spoiler: i racconti di Roupenian escono illesi dal confronto col fratello maggiore, ma soprattutto col pubblico che li attendeva? Secondo me, sì. Forse non del tutto, ma sì. Non siamo di fronte a una raccolta entusiasmante né innovativa, ma i dodici racconti che la compongono riescono comunque a trovare un’uniformità e a espandere le riflessioni che in Cat Person avevano trovato scintilla.

Il racconto pubblicato sul New Yorker continua a essere, dopo tutto, il fulcro della raccolta. Posto al cuore di essa insieme al fratello gemello riflesso allo specchio: Il bravo ragazzo, che è anche il racconto più lungo. Qui è un uomo il protagonista, dal cui punto di vista osserviamo l’evolversi delle sue relazioni con l’altro sesso dall’età adolescenziale fino alla mezza età, con tutto ciò che ne consegue: dalla sensazione di inadeguatezza dei primi rapporti, anche fisici, all’incapacità di gestire le relazioni, sul momento e nel tempo.

Dall’ottica dei due sessi si compone il ventaglio delle tematiche affrontate da Roupenian: i rapporti di coppia nella realtà in cui ci muoviamo, interconnessa e iperveloce; le relazioni di potere che si instaurano in qualsiasi tipo di relazione interpersonale, e quindi inevitabilmente anche sentimentale; un universo sessuale che dalla saturazione degli impulsi risveglia perversioni e voglie nascoste.
Gli altri dieci racconti spaziano attraverso queste coordinate e ne esplorano le possibili declinazioni, dal reale al surreale, fino al totalmente fantastico come in Lo specchio, il secchio e il vecchio femore dove una principessa poi regina riesce ad amare soltanto l’eco di sé stessa.

Kristen Roupenian

Roupenian rivela di storia in storia tratti cupi dell’essere umano, deboli alla fascinazione del proibito o semplicemente predisposti alla sopraffazione dell’altro di fronte allo sbilanciamento dei poteri. Il suo occhio è chirurgico e privo di giudizi di sorta; distaccato nel dipingere i personaggi senza voler far trasparire da essi alcun tipo di morale. Si muovono liberi tra debolezze e impulsi, con tutto ciò che ne consegue, come negli altri due racconti più riusciti della raccolta Ragazzaccio e Voglia di morire. Nel primo una coppia ospita nel proprio appartamento un amico al termine di una relazione per poi dar inesorabilmente vita a una perversa dinamica a tre, tra schiavi e osservatori. Nel secondo un ragazzo abituato a brevi rapporti nati su Tinder incontra una ragazza che gli chiede esplicitamente violenza fisica prima di iniziare il rapporto sessuale.

Non tutti i racconti presentano però lo stesso livello di tensione; alcuni danno la sensazione di essere poco centrati, perlopiù dimenticabili e utilizzati per fare numero (vedi Sardine). Di certo non una giustificazione, ma quasi un risvolto fisiologico per una raccolta creata a posteriori e priva di un reale progetto alla base. Nonostante questo però Roupenian si è dimostrata in grado di proporre delle storie riuscite e delle variazioni sul tema ipercontemporaneo quale è l’influenza della società in cui viviamo nell’espressione di noi stessi e del rapporto con gli individui che incrociamo nelle nostre vite.

Insomma, le aspettative c’erano, forse non soddisfatte del tutto ma probabilmente anche spinte troppo in alto: d’altronde se torniamo a Cat Person e lo spogliamo delle sovrastrutture cucitegli addosso, non ritroviamo innovazione né slanci di prosa, solo un racconto lucido in perfetta linea con il nostro tempo e le sue distorsioni. E You know what you want (il titolo originale è decisamente più bello) ne segue in modo degno la scia.

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