Gli expats a Berlino e il lunedì: Brothers in Law @ Shokoladen vs Teleman @ Privatclub

Strumenti Brothers in Law, foto di Michela Sellitto

Per una legge che non ho ben capito, e che immagino legata agli equilibri chimici e fisici dei clubbers rintanati tra le pareti del Berghain e dei suoi omologhi minori dal venerdì alla domenica sera – proprio lo scorso fine settimana, un tipo appena conosciuto mi diceva che dovevo assolutamente venirci con lui una domenica pomeriggio, il momento migliore, mentre io gli spiegavo che posso accettare pure l’istituzione del brunch, ma alla controra domenicale il mio organismo associa altri tipi di attività – mi ritrovo ai miei concerti preferiti quasi sempre di lunedì sera. Fatto che da una parte desta una certa perplessità: ok che noi appassionati di musica live abbiamo accettato da anni la sconfitta a tavolino coi clubs e rinunciato alle serate serie di venerdì e sabato un po’ in qualsiasi nazione, ma dall’arretramento al mercoledì e giovedì, come si è finiti al lunedì?! Da un’altra, invece, il concerto del lunedì sera è davvero uno strepitoso esorcismo della sindrome di inizio settimana, soprattutto nel caso in cui acchiappi il concerto giusto, tipo quello dei Teleman al Privatclub di Kreuzberg, e la tua settimana ne riceve uno slancio pazzesco. In ogni caso, saltare da un lunedì e da un concerto a un altro lunedì e un altro concerto, mi da l’occasione di parlare di nuovo di expats, mettendo a confronto stavolta gli italiani a Berlino col pubblico di un gruppo di grandezza medio-alternativa di ambito britannico: insomma, la classica Italia-Inghilterra che ha da sempre scaldato il cuore dei tifosi internazionali, oltre alle mani di quelli più passionali. In questo caso, la sfida chiama in campo anche la rivalità tra due quartieri storici della Berlino notturna, cresciuti in modo antitetico: la scintillante Mitte, ripresa tuttavia nella sua piazza più dimessa e barbona, Rosenthaler Platz, dove si trova lo Shokoladen, il ritrovo classico per la musica indipendente al minimo sindacale berlinese (che di solito significa: una cosa a piacere tra 7 e 8 euro), e la bohemien Kreuzberg, ripresa nel tratto più malfamato di Skalitzer Strasse, che collega Görlitzer Platz con Warshauer Strasse, in cui invece, rovesciando le parti, oltre agli spacciatori, troviamo locali decisamenti più costosi e aperti a gruppi di richiamo maggiore (e quindi, il biglietto sale tra i 15 e i 20 euro, e implica la necessità di ricorrere a buoni due mesi di prevendita per stare coperti), quali il Privatclub. In ogni caso, si tratta di bella musica alla possibilità di tasche medie, e quindi, partiamo da un diplomatico pareggio che ci permette di voler bene a tutte e due le realtà.

Cominciamo dunque da tre lunedì fa – mi si perdoni il ritardo, ma travolto dall’insospettabile arrivo dell’estate a Berlino, con conseguente passaggio dai 5 ai 25 gradi in 48 ore, di recente mi sono perso qualche lunedì – e dallo Shokoladen. Ecco, una delle caratteristiche che ti portano a riconoscere immediatamente che è in corso una serata che ospita gruppi italiani, è proprio quella di trovarlo pieno di lunedì sera. Lo si percepisce anche da altri dettagli: mezz’ora prima che si inizi a suonare, il locale è già così pieno di fumo che non si respira (per chi non lo sapesse, nella maggior parte dei locali di Berlino si può ancora fumare); la maggior parte della gente arriva quando il primo gruppo ha finito di suonare, e chiede informazioni su quanti gruppi sono rimasti; il livello del chiacchiericcio in sottofondo, quale che siano i numeri coinvolti, supera abbondantemente il volume della musica sul palco e rimane costante per tutta l’esibizione, e vi si riconoscono i dialetti di tutte le regioni dell´Italia meridionale. Più che a Berlino, insomma, sembra di stare al vecchio e glorioso Covo di Bologna nel suo periodo d’oro. Un’altra delle caratteristiche è che si sente parlare quasi esclusivamente italiano: gli intrusi provenienti da altre nazioni sono di solito pochi, come abbiamo detto già qualche puntata fa. Torniamo sul luogo del delitto – oltre che del dialetto – per tornare, ancora una volta, a Pesaro: dopo Be Forest e Soviet Soviet, ci sembrava brutto trascurare i Brothers-in-Law, che peraltro, riportano Nicola Lampredi sullo stesso palco dello stesso locale, anche se in compagnia di tre compagni di giochi diversi, rispetto a Costanza ed Erica. In questo caso, un quartetto tutto maschile, messo su, appropriatamente, insieme al genero Giacomo, dai suoni un po´ più ovattati e dreampop che shoegaze, e dal live meno aggressivo e vibrante, da ascoltare forse più da seduti sugli scalotti di legno, con la birra adagiata di fianco. All’inizio, ero sinceramente stupito di vedere la frequenza dei gruppi che si affacciano alla scena berlinese, ma poi ho notato che si tratta di una realtà stabilizzata: oltre ai tre pesaresi, in questo periodo, allo Shokoladen sono passati i Kill Your Boyfriend – noi però linea dura, qui si parla solo di Pesaro – e a maggio, in pompa magna, c’è grande attesa per i Verdena, oltre che per Max Gazze. Se consideriamo anche gruppi abitudinari della Germania, come i napoletani Ashcode, che purtroppo a questo giro non sono passati dalla capitale, possiamo facilmente renderci conto che a Berlino suona un gruppo italiano più o meno ogni due o massimo tre settimane: è dunque così forte la richiesta della comunità italiana? La risposta è si. Ci sarebbe da fare un salto indietro e tornare a Kreuzberg durante gli anni Ottanta, quando Massimo Zamboni e Giovanni Lindo Ferretti, entrambi bolognesi, si sono incontrati per caso e hanno deciso di fondare proprio a Berlino una band chiamata CCCP: la storia della musica indie italiana, dopotutto, si è fatta a Berlino. Così come Berlino continua a costituire una fetta importante di cultura italiana grazie al suo Istituto di Cultura, uno dei più attivi in Europa, che ha ospitato e che ospiterà, nel suo programma 2015-16, scrittori come Igiaba Scego e Gianrigo Carofiglio, senza considerare le rassegne di cinema italiano organizzate dal cinema Arsenal – appena conclusa una retrospettiva dedicata a Monica Vitti – e al Babylon di Rosa-Luxemburg-Platz, che invece ospita ogni domenica un apericinema in cui si proiettano i film più recenti. Gli italiani a Berlino aprono caffè letterari – vedi La Balena – gestiscono due librerie dedicate interamente all’editoria italiana, oltre ai vari ristoranti, caffè, e centri enogastronomici che sono la prassi. Insomma, l’Italia che incontriamo a Berlino sembra molto migliore dell’Italia da cui sono partito! Un posto dove tutti gli italiani vorrebbero vivere. Chissà com’è che non riusciamo a fare a migliorare invece il proprio paese, quando siamo lì.

Tutta diversa l´atmosfera del lunedì successivo, al Privatclub, dove, per par condicio, di italiani in sala non ce n´erano quasi, o almeno, non mi è capitato di sentire una sola parola nell’idioma nazionale. Unica eccezione, una ragazzina annoiata parcheggiata a un lato del locale con addosso una magliettina di Franco Battiato, dall´inglese un po´ goffo, a cui ho dato il beneficio del dubbio. Si conferma la regola – messa in difficolta´ solo da Soviet Soviet, ma in quel caso si trattava di un festival – che gli italiani a Berlino sono interessati solo alle serate dei gruppi italiani, e viceversa, tutte le altre comunitä vi si interessano poco. Nondimeno, anche se non ha fatto sold-out in anticipo, il Privatclub si è riempito rapidamente e prima dell´inizio della band di supproto, in misura maggiore di inglesi e americani, come volevasi dimostrare, ma devo dire che anche la presenza tedesca era piuttosto numerosa. All’odore delle sigarette si sostituisce quello della birra, secondo lo stereotipo, versata a fiumi nelle panciotte gonfie e sul pavimento – non solo al Privatclub non si fuma, ma sia inglesi, sia americani sono poco propensi al fumo negli ultimi anni, e quindi non si riscontra nemmeno il rito dell´affollamento all´esterno per la sigaretta nelle pause – e al momento in cui si attacca a suonare, il chiacchiericcio si trasforma in epidosiche grida di giubilo. Il pubblico e´ caldissimo, e i Teleman per primi si dimostrano piacevolmente stupiti da tanto entusiasmo – e tutto sommato, io pure. Per quanto li adori e li abbia inseguiti per circa due anni, non mi aspettavo che questo quartetto londinese, nato qualche anno fa da una costola di Pete and the Pirates, potesse avere un tale seguito da queste parti. C’é da dire che, come nelle migliori delle aspettative, al calore del pubblico si è accompagnata l’adrenalina della band, in un vorticoso crescendo di delirio a cui raramente ho assistito a Berlino, ma pure a Bristol: quella dei Teleman è stata certamente la miglior performance a cui ho assistito in questa stagione, di intensità pari a quella della Morgenstern, al quale tuttavia il pubblico, piuttosto ridotto, ha assistito da seduto. Ma la cosa che noti con più immediatezza, saltando da un lunedì all´altro, e tenendo in mente gli stereotipi, é la compostezza di Be Forest e Brothers-in-Law, che non si lasciano andare ad un sorriso, in opposizione al calore e la partecipazione profusi sul palco da Morgenster o da questi quattro personaggi, diversi nel temperamento e variamente assortiti – dall´cantante/chitarrista biondino e tipicamente British, Thomas Sanders, che ha accompagnato l´esibizione con numerose passeggiate tra il pubblico, al bassista truzzo Peter Cattermoul, che sembrava uscito dai Village People, al batterista giapponese Hiro Amamyia, elegantissimo fino alla fine – che al termine dell´ora e mezzo di suono e del doppio bis, non ci credevano che s´era fatta gia ora di scendere dal palco, senza nient´altro da poter aggiungere che un laconico invito a venire tutti al banchetto dei dischi a scambiare due parole davanti a una birra.

Teleman

Insomma, confrontare queste varie esperienze musicali ci fa capire, una volta di più, che forse è proprio nel momento in cui ci troviamo davanti alla musica – di fronte a un palco o sopra di esso – che riusciamo a mettere più in difficoltà gli stereotipi associati alle nostre culture, che si tratti di italiani, inglesi o tedeschi – a questo proposito, varrebbe la pena dare almeno una menzione nominale al trio punkettino Häxxan che ha aperto allo Shokoladen, e ai Patrick Bishop, una dimostrazione crauta dei danni che i National hanno fatto al pop internazionale, che invece hanno introdotto la serata al Privatclub, entrambi gruppi senza infamia e senza lode – o anche no, a seconda dei punti di vista. Ma tutto sommato, quale che sia la band in questione, difficilmente si rimane delusi dalla performance di chi viene dall’isola.

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