L’uomo in rivolta | Diego Armando Maradona

Argentine soccer superstar Diego Armando Maradona cheers after the Napoli team clinches its first Italian major league title in Naples on May 10, 1987. (AP Photo/Meazza Sambucetti)

Chi è stato davvero Diego Armando Maradona? Quali i percorsi che hanno portato alla nascita e all’affermazione di uno dei personaggi più affascinanti, determinanti, controversi della storia dello sport? A provare a rispondere ai tanti quesiti intorno alla figura de el pibe de oro – il calciatore campione del mondo con l’Argentina nel 1986, l’ultimo re di Napoli, l’unico e finora l’ultimo a portarle uno scudetto, il provocatore politico, l’amico di Fidel Castro e Hugo Chávez, l’uomo antisistema – è Marco Ciriello, napoletano, classe 1975, scrittore, blogger e giornalista de Il Mattino di Napoli per il quale cura da anni rubriche di critica letteraria e di approfondimento sportivo.

Lo fa attraverso un libro – Maradona è amico mio, edito dalla casa editrice 66th and 2nd nella collana Vite inattese – che fin dalla bellissima citazione in esergo – Ogni storia che ho scritto è un’autobiografia / nessuna è una confessione – tratta dall’Amos Oz di Una storia di amore e di tenebra, tradisce la sua natura di biografia spuria e getta un ponte chiaro e immediato sulla sua cifra di biografia doppia che mescola a quella del campione argentino, quella della sua storia personale.

È dal terrazzo di Posillipo con vista sul golfo – “eravamo un riassunto borghese della città, un esterno terrazzo che come e più di una commedia eduardiana ci facevamo apologo” – che Ciriello vede arrivare Maradona come “un profeta a sovvertire tutto quello che sembrava insovvertibile, in una strut­tura che aveva nel dominio della classe nordica mondiale la sua normalità” e, da quel momento, in quel parlarsi di case distanti e pure visibili tra loro, la vita di Maradona diventa in qualche modo lo specchio, la misura su cui tarare la propria.

Come per Todd Haynes nel bellissimo biopic su Bob Dylan Io non sono qui, Ciriello sa bene che un racconto omogeneo su Maradona è un’impresa fuori da ogni possibilità e che il solo tentativo per cercare di coglierne l’essenza è provare a offrire a sé stesso e al lettore una miriade di momenti della sua vita, realizzando un caleidoscopio di frammenti e di intuizioni che mescolano la vita del calciatore a quella dell’uomo, dal suo privato alle apparizioni e dichiarazioni del personaggio pubblico.

Il libro è così strutturato in quaranta capitoli che portano semplicemente il nome di una città e una data – senza ordine cronologico – in un continuo viaggio nel tempo che mette in luce ancora di più la compresenza in Diego del bambino e dell’adulto, del ragazzino che sognava di vincere il mondiale nei campi polverosi di Villa Fiorito e dell’uomo che, come il Napoleone di Manzoni, avrebbe visto molti altari e molte polveri nella sua lunga carriera e nella sua vita. Solo due capitoli sfuggono alla regola, uno, intitolato – non a caso – Che cosa è Maradona? e l’altro quasi a fine libro – Claudia, «rubia» – dedicato all’amore della gioventù e sua prima moglie, l’“Evita del calcio argentino” Claudia Villafañe: “Non è una donna, è un genere. È una nazione femminile capace di coprire ogni ruolo – dall’angelo al demone, dalla madre all’amante, dall’amica alla nemica –, in una comple­tezza che somma tutti i ruoli femminili di una telenovela”.

29 giugno 1986, Estadio Azteca di Città del Messico: l’Argentina di Maradona è Campione del Mondo

Maradona è un Lenin allegro e soprattutto cazzaro che, scremando tutta la parte noiosa, arriva al sodo in un solo tocco o in una sola frase, a seconda del campo. Che tiene insieme Joe Strummer e Fidel Castro, gli sceicchi e i po­veri, l’umanità e l’eros, Borges e Boccaccio, in una metamorfosi continua che aveva solo un comune denominatore: la rivolta. Ma­radona è un rivoltoso, che giochi a pallone o no, per questo la sua è una avventura irripetibile.

I capitoli che formano il libro sembrano quasi le Variazioni Goldberg di Bach: seguendo un tema che diventa ossessione, Ciriello svela anfratti reconditi; alterando il tempo e lo spazio mostra dettagli, sfumature, facce diverse dello stesso mito e dello stesso campione. Maradona è definito di volta in volta come qualcuno che “rappresen­tava una corruzione luciferina, dovunque passasse niente rimane­va uguale”, “il ragazzo che aveva scavalcato la condanna, che era evaso dall’automatismo di classe, attraverso un corridoio che gli aveva permesso di lasciare quella condizione sociale”, “guascone e con una cialtroneria allegra che gli permette di prendersi questioni inutili con mezzo mondo, ancora oggi”, “Aguirre, furore, ma non di Dio, ben­sì di sé stesso”, un uomo che “ha acquisito una conoscenza bibli­ca del dolore, ha bordeggiato la morte seriamente un paio di volte, ed è stato capace di trasformare le alluvioni in chance, le cadute in forza”, infine un “transfert: attraverso lui in tanti potevamo essere altro e ot­tenere vittorie, compiere imprese, perfino rubare e cavarcela”.

C’è un episodio, tenuto fuori dal libro, quando il grande compositore Roberto De Simone – quello de La Gatta Cenerentola – portò al Teatro San Carlo la sua opera El Diego e Maradona regalò agli spettatori un video con un breve messaggio in cui diceva che ciò che esisteva tra lui e i napoletani potevano saperlo – appunto – solo lui e i napoletani. Ed è all’interno di questa comunicazione esclusiva, dentro questo culto che è, in fondo, il segreto recondito di ogni rapporto costruito sull’amore e sulla fiducia – moti dell’anima che possono nascere solo in presenza di una conoscenza reciproca talmente istintiva da regalare una forma di fedeltà assoluta – che è nato e cresciuto il mito di Maradona.

E ha ragione Ciriello quando scrive che “Maradona riusciva a essere sogno e ragione sociale (almeno a Buenos Aires e Napoli), compiere vendette, e ri­scattare umiliati e offesi” perché è dentro l’aspetto sociale che emerge il mito maradoniano. Maradona non sarebbe esistito in un mondo giusto, la sua statura esiste in funzione delle ingiustizie che ne hanno attraversato la strada fin da piccolissimo quando cresceva dentro a una baracca di lamiere dove “schivava le gocce della pioggia quando pioveva, che poi era un regalo perché di acqua corrente nemmeno a parlar­ne” e sua madre non mangiava per giorni per dare qualcosa in più a suo figlio, fino a quelle subite sui campi di calcio – la finale mondiale persa a Roma nel 1990 per un rigore inesistente regalato alla Germania, la contestata squalifica per doping quattro anni più tardi negli USA – che furono l’inizio della fase più critica della sua carriera e della sua vita, culminata con un arresto in diretta televisiva che, però, nonostante tutto, non lo colse impreparato nella sua capacità comunicativa fino al punto di regalare a milioni di telespettatori due battute con cui, come Muhammad Ali – con il quale, come Ciriello sottolinea a più riprese, sono molti i punti di contatto – seppe uscire dall’angolo più oscuro della sua esistenza rovesciando la trappola che era stata tesa alla sua ambizione di Icaro ribelle.


Ciriello non ne fa certamente un santo ma restituisce a Maradona i suoi meriti: quelli di sportivo innanzitutto, di un giocatore magnifico che “può slabbrare qualunque cosa, compresi spazio e tempo, unendo il concreto e l’astratto, il desiderato e il fisico” con i gol che sono “raid caravaggeschi, riven­dicazioni di bellezza che interrompono gli studi tattici, e mischia­no tutto in modo sbalorditivo” – e quelli di uomo diventato in patria “un’icona che se la gio­cava con altre icone abbastanza ingombranti come Carlos Gardel, Evita Perón e Ernesto Guevara”, capace di interrompere una conferenza stampa ai Mondiali per abbracciare la leader delle nonne di Plaza de Mayo, Estela Carlotto, che racconta ancora stupita la sua felicità; “uno che crede al va­lore politico dell’uomo di sport, che non ha paura di prendere po­sizione […] e a ragione, in un tempo freddo che non lo ridimensiona, anzi: più avanzano figure di calciatori che lavorano di pari passo alla loro figura estetica e ai loro gol, più Maradona giganteggia, in una sottolineatura involon­taria del calcio di oggi”.

…ripetendomi una strana frase che forse veniva da un romanzo di Osvaldo Soriano: il dolore è la moneta del cielo, tanto che mi misi a contarle, a contare tutte quelle monete, le mie e quelle di Mara­dona, finendo per arrivare alla conclusione che entrambi avevamo coscienza del vuoto che ci precede e di quello che ci aspetta, pre­murandosi e preoccupandosi della dispersione del proprio corpo e delle proprie azioni.

In un continuo contrappunto con la vita sregolata del genio, Ciriello apre spazi alla sua personale autobiografia tra un’infanzia felice spezzata dalla perdita del padre ai pomeriggi passati a giocare al Subbuteo con un’improbabile formazione del “Posillipo”, dalla sua “Coppa Uefa [che] si chiamava Consuelo” ai provini che ne spezzarono il sogno solo accarezzato di diventare calciatore, dalle scelte di ragazzo e poi di uomo, tra la facoltà di architettura “laureato con l’indolenza dei disertori” e la passione per la letteratura e il cinema “una dimensione riparatrice, quasi l’unico rimedio alla nostra fragilità […] L’opportunità di rigiocare quello che non ero riuscito a gio­care, come quella di decifrare quello che all’inizio era apparso ac­cecante e oscuro. Il cinema è stata la possibilità ulteriore, rispetto all’immutabilità di una perdita” fino ai percorsi lavorativi che l’hanno portato a essere l’uomo che è oggi.

In Maradona è amico mio c’è una ricchezza di suggestioni, di frasi, di immagini, di iperboli intorno alla figura di Maradona che – anche quando si muovono lungo il filo sottile e rischiosissimo della retorica (ma si può davvero evitarlo al cospetto di un personaggio che ha fatto dell’eccesso la sua cifra più distintiva?) – danno la dimensione della scrittura di Ciriello da un lato e naturalmente della grandezza del personaggio dall’altro.

Solo più tardi avrei avuto la consapevolezza della supremazia degli anni Ottanta sul resto dei decenni. Solo più tardi avrei saputo che quella condi­zione pre-maradoniana, prima della gioia, era un fuoco acceso tra due notti. Solo più tardi avrei scoperto che il calcio, oltre a essere fisiologia sociale, è distrazione, soprattutto dal dolore e dalla pre­dominanza irreprimibile dell’irreversibilità del tempo.

Ma il libro è anche un’occasione per raccontare oltre il mito e l’uomo – e la storia di Ciriello – quella della Napoli degli anni ottanta “quegli anni erano sbagliati, che la politica, l’immaginazione, la cultura, ogni singolo fatto di quegli anni era da dimenticare perché all’origine dello sfascio, e bisognava rifare tutto daccapo” o ancora “in quella Napoli non si capiva niente, e forse so­no stati gli anni più caotici della città, quindi occorreva avere una parte, delle idee, e ribadirle per ordinare prima sé stessi e poi ave­re un orizzonte verso il quale muoversi” trasformando l’esperienza di Maradona – questa epifania della bellezza del calcio non come gesto estetico ma come rappresentazione di rivolta sociale, di sovvertimento dell’ordine precostituito – in una cartina di tornasole della città di Napoli e, dal golfo per estensione, di un’Italia al bivio dei grandi cambiamenti che si presentarono a cavallo degli ultimi due decenni dello scorso secolo.

Per raccontare Maradona non bastano le parole del calcio, perché Maradona è tra quei pochissimi di un empireo – insieme a gente come Muhammad Ali, George Best, Ayrton Senna – che hanno travalicato i confini stretti e spesso dominati dalla noia di un conformismo implacabile quanto irritante e petulante e, per questo, trasformati in miti assoluti perché emblemi di altro, perché capaci di una rivolta silenziosa o strepitante, dolce o aggressiva e disperata che, però, si è fatta specchio delle inquietudini del mondo e di tutti gli uomini che lo abitano.

Maradona non è giudicabile col metro dello sport; i suoi due goal all’Inghilterra al Mondiale del 1986 – quello di mano che compare sulla copertina del libro e quello, il più bello di sempre, appena quattro minuti più tardi – sono una questione che riguarda la guerra delle Malvinas/Falkland in una distanza lessicale che già dice tutto sul ruolo di quel lembo di terra. Ecco che quella “Guernica messicana […] è una trasgres­sione, da solo piscia sul punk e su tutte le storie che ne conseguo­no, rompe le barriere generazionali, linguistiche e geografiche, divenendo un’avventura erotica, trasformando il mondo in un unico paio di occhi strabuzzati che assurgono a testimonianza dell’istante del gol”.

E ha ragione Ciriello a tirare in ballo, per raccontare Maradona, Borges e Cervantes, Antonello da Messina e Caravaggio, Kusturica e Forman perché la parabola di Maradona sta tutta dentro a un mondo letterario, artistico, cinematografico. Raccontare Maradona, la sua “vita barbarica, brusca, eppure stilisticamente perfetta nelle sue oscillazioni ed ellissi, che sembrano scarabocchi solo per chi non vuole intensità, errori che paiono crateri solo per chi non ha coraggio” è restituire a quella vita il posto che le spetta che non è quello della cronaca sportiva, dell’ipocrisia dei media che solo pochi giorni fa tessevano le lodi del corrotto Michel Platini in un circolo terrificante di manovratori del calcio internazionale che hanno distrutto la bellezza del calcio – ma quello delle pagine di un romanzo bolañesco, nelle pieghe caotiche di una fanfara balcanica, dentro un bar di Cuba lontano dalle rotte degli europei stanchi.

Ed è quello che fa Ciriello in pagine dense in cui, mescolando la lucidità dell’uomo d’intelletto partenopeo alla passione più istintiva – che è stata capace di tenere davvero unita una città molto più complessa del blocco unico con cui dall’esterno si vuole rappresentarla e che invece cambia da un quartiere all’altro e, all’interno degli stessi, nelle ineguaglianze delle sue “frontiere verticali” come direbbe lo scrittore messicano Julián Herbert – restituisce tutta la ricchezza, il fascino, la difficoltà dei sogni e dei successi di un uomo che, più di molti altri, ha saputo rappresentare con tutte le sue contraddizioni lo spirito autentico di una città che non ha mai smesso di riconoscersi in lui e di amarlo.

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