Cold Wave, incertezza e Doomers | Monument dei Molchat Doma

Mi sembra di vederli e sentirli ovunque.

Non so se è la mia filter-bubble o l’algoritmo che imperterrito sceglie di mostrarmi i contenuti più adatti a me. Amici (sul web e fuori) ne parlano, i loro ascolti crescono e Molchat Doma è diventato un fenomeno globale, di moda nel 2020.

Pochi giorni fa per Sacred Bones il loro ultimo disco Monument. Una cosa è certa, questo è l’anno buono del trio di Minsk che suona anacronisticamente new wave e post- punk. Nonostante il lavoro che li ha resi celeberrimi oggi risalga a due anni fa.

Avevo già accennato nell’intervista a loro di qualche mese fa del loro exploit dovuto anche alla presenza di uno dei loro brani (Cудно) su Tik Tok.

Una parabola ascendente insolita che faticano a spiegarsi anche loro. Una serie di fattori che convergono nella complessa contemporaneità musicale, nella quale da un giorno all’altro ritrovi sui tuoi brani milioni e milioni di ascolti da tutto il mondo, ma nel tuo paese natio sanno a malapena chi sei. (Lancerei un appello agli amici e lettori Bielorussi, per capire se questa mia supposizione sia vera.)

Nel 2020 succede anche questo, oltre agli incendi, le rivolte, la pandemia globale e lo scontro generazionale che sembra essersi riacceso solo online. Un’ epoca in cui tra le incertezze e le paure di tutti sta tornando di moda anche l’estetica sovietica e post. Tutto questo è la linfa vitale del successo di Yegor, Roman e Pavel.

L’alienazione, il dolore e il grande freddo sintetizzati nella loro poetica sono ciò che piace al tipico utente Doomer di inizio anni ’20.

Il Doomer è una maschera ricorrente nel mondo caricaturale dei memes degli ultimi due anni. Si tratta di un ventenne che si rifà ad un immaginario cupo e “dannato”, che spazia e si amplia con lo sviluppo user generated del meme. Un personaggio attorno al quale è stato costruito un universo, con tanto di controparte femminile “doomer girl”, anche lei con tutta una serie di caratteristiche e stereotipi, sui quali gli utenti di tutto il mondo fanno ironia, rispecchiandosi.

Contrapposto all’ottimismo e alla superficialità del “Boomer” (la categoria sociologica al momento più bersagliata sul web) ha anche una serie di comportamenti tipici, modalità di vestire e ascolti musicali tipizzati, raccolti in playlists nelle quali guarda caso oltre ai grandi classici come The Cure, Joy Division figura in quasi tutte, la musica di Molchat Doma. Vi sfido a cercare “doomer” su Spotify o Youtube. Una gag che sempre di più assume tratti umanoidi, il “doomer” si fa portavoce di istanze anti-establishment e si rifà a estetiche underground. Litiga servendosi dell’ironia con la sua controparte più anziana, che lo accusa di essere “debole, incapace e ipersensibile”, caratteristiche che diventano il suo punto di forza in uno scontro che esula dal meme e che sempre di più inquina i feed di tutti.

È chiaro che si tratti di una battuta, di un “web joke”, ma è anche l’espressione più limpida e perversa di una tendenza globale molto forte sui media digitali, che contribuiscono a creare il terreno fertile dove attecchisce l’immaginario a cui ruotano attorno Molchat Doma e il loro terzo album.

Un terzo lavoro più maturo per quanto riguarda le scelte estetiche e musicali. Avrebbero potuto continuare sulla stessa linea, innovando poco o niente visto che il meccanismo è funzionante, ma hanno scelto di presentarsi in una veste più glam, in cui riprendono molto del loro primo lavoro.

Le sonorità anni ’80 sono più oscure ed è preponderante la componente goth come nel brano Обречен (che guarda caso significa dannato) in cui viene ribadita la condanna dell’uomo a non guarire dalla sofferenza.

Una maturità che si percepisce nella voce di Yegor, più definita e controllata meglio, meno simile all’ isteria canora del buon Ian Curtis, che più volte ha cercato di replicare. Un album che suona luttuoso e gelido, molto più cruento nei testi e nei sentimenti che vuole trasmettere, diametralmente opposto all’aria innocente e bambinesca di un Tik Tok.

Abbiamo anche una sorta di танцевать pt.2, che è Дискотека / Discoteque, un pop minimalista nei suoi suoni spaziali e decisamente danzereccio. Un’ altra traccia perfetta a parer mio è Ленинградский Блюз / Leningradskiy Blues, una linea di basso semplice che sostiene il tutto e la voce che si interseca alla perfezione con la chitarra, creando un effetto cupo e sognante ideale per raccontare un amore maledetto.

Il successo non ha dato alla testa a questi ragazzi di Minsk, che ribadiscono la solennità della loro narrazione: il freddo è reale e la puzza di morte di ‘sti tempi si sente ovunque.

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