Il coraggio di scrivere il sequel dell’Odissea

Δεν ελπίζω τίποτα, δε φοβούμαι τίποτα, είμαι λέφτερος.
Non spero in nulla. Non temo nulla. Sono libero.

Questo è l’epitaffio, l’estremo messaggio che i visitatori di Candia, sull’isola di Creta, possono leggere sulla lapide di Nikos Kazantzakis, uno degli scrittori più importanti della letteratura greca dello scorso secolo. Lì dove era nato, quando ancora era solo una provincia dell’Impero ottomano.

I primi lavori narrativi si collocano all’inizio del Novecento. Nel 1910, dopo aver concluso gli studi prima ad Atene e poi a Parigi, scrive la tragedia “Il capomastro”, in cui attinge alla tradizione popolare greca. Già traduttore dell’Iliade e dell’Odissea, Kazantzakis è ricordato per i suoi romanzi di successo, tra cui “Zorba il Greco” (1946) e “L’ultima tentazione” (1951). Ha sfiorato la vittoria del Premio Nobel per la Letteratura nel 1957, anno in cui a vincere è stato Albert Camus, il quale poi ha dichiarato che quel premio lo avrebbe meritato Kazantzakis “cento volte di più”. È stato candidato al Nobel per nove edizioni. Ma l’opera che ha consacrato la sua fama di scrittore è un unicum nel panorama della letteratura moderna, un’impresa d’altri tempi, che sancisce un ritorno all’epica omerica.

Nikos Kazantzakis definì la sua Odissea “il più lungo epos della razza bianca”. Un sequel coraggioso, un impegno lungo e logorante, terminato dopo più di tredici anni di lavoro, con sette stesure autografe. A Creta ha composto i primi cinque canti, ma la maggior parte dell’opera è stata scritta in pochi mesi a Egina, in isolamento volontario. Per la prima volta, a novembre è stata pubblicata la traduzione integrale dell’opera dall’editore Crocetti, nella versione composta da 33.333 versi decaeptasillabi (la penultima arrivava persino a 42.500 versi), suddivisi in ventiquattro canti, numero non casuale che richiama quello delle lettere dell’alfabeto greco e dei canti dei poemi omerici. L’uso del verso decaeptasillabo (diciassette sillabe) richiama l’effetto prodotto dall’esametro omerico. L’estensione del poema stupisce, ma ancora più sorprendente è il lessico folto di termini nuovi, complessi, di voci popolari recuperate dai pastori, contadini e pescatori delle coste dell’Egeo, l’opera di Kazantzakis supera in lunghezza il precedente omerico.

Il poeta di Creta modella la sua storia come uno scultore, lavora su un materiale che è il risultato delle sue influenze culturali, di tutte le sue esperienze intellettuali e persino religiose, sviluppando una dottrina ascetica, che trae spunto da principi di religioni diverse e ideali politici che sfiorano l’utopia.

“Anima, la tua patria è sempre stata il viaggio!
La virtù più fertile al mondo, la santa infedeltà,
segui fedele tra risa e pianti, e più in alto sali!”
da “Odissea”, N. Kazantzakis, Crocetti, Milano 2020

 

Nikos Kazantzakis

Odisseo è uno degli eroi che più incuriosisce i lettori di ogni tempo e società. Sin dal primo verso dell’Odissea omerica viene definito come “πολύτροπος”, epiteto già ambiguo che si può tradurre con “multiforme”, quindi anche “molto versatile”. Personaggio ingegnoso e astuto, maestro di inganni e raggiri (il che sarebbe confermato dalla sua discendenza da Ermes), Odisseo è anche l’uomo che non pone vincoli alla sua esistenza, affascinato dall’ignoto, pronto a superare le colonne d’Ercole e a infrangere le regole divine nella visione dantesca.

Tanti scrittori hanno reso Odisseo immortale, ponendolo come protagonista delle proprie opere. Celebre il poema di Tennyson che presenta l’eroe come icona del Romanticismo, così come i componimenti di Gozzano, D’Annunzio, Pascoli e Foscolo, ma la versione dantesca resta la più interessante e celebre. Dante lo colloca all’Inferno nella bolgia dei consiglieri fraudolenti, dove Odisseo, racchiuso in una fiamma insieme a Diomede, racconta il “folle volo” che racchiude in sé la ferma e assoluta volontà di superare i limiti della conoscenza umana, come si evince dal discorso che Odisseo fa ai suoi compagni.

“Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.”
da Inferno Canto XXVI, “Divina Commedia”

Nel poema di Kazantzakis ritroviamo tutti i personaggi secondari e le comparse che popolano il poema omerico (Menelao ormai debole e invecchiato, Elena sempre bellissima), ma anche presenze nuove e insospettabili, come Gesù. La trama parte da dove si conclude il precedente omerico, Ulisse però non è più il sovrano amato dal popolo. Infatti, decide di ripartire quando scopre che Penelope e suo figlio Telemaco, insieme alle donne di Itaca, stanno tramando contro di lui.

Una visione inedita della conoscenza domina questo poema che rivela tutte le potenzialità della natura umana, al centro di una nuova avventura. Protagonista indiscusso resta Odisseo, presenza che richiama prepotentemente l’eroe dantesco desideroso di sapere, di superare i propri limiti, alla ricerca persino di una presenza divina. Superuomo e asceta, paziente e subdolo, Odisseo rivela tuttavia il suo lato più umano, con un profilo psicologico inatteso, assai più profondo, che ribadisce la sua natura errante e inquieta. Un eroe figlio del Novecento.

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