Riguardo all’essere “extra partes” di Mario Monti: una menzogna ovvia

Monti ha recentemente dichiarato di essere extra partes, un’espressione che indica una presa di distanza da qualunque ideologia, rivendicando una legittimità che va oltre gli schieramenti e oltre le bandiere politiche. Il suo mostrarsi in questi termini lo pone al centro dei media nazionali come “uomo razionale”, come colui che in nome di un matematico benessere superiore prende la guida del paese senza  reggere bandiere, senza colori, ma solo con il buon senso economico che salverà precari, lavoratori, banche e industriali. Tutto questo non solo è spregiudicatamente falso, ma anche violento. Una violenza contro chi fa politica, lotta e crede nei “colori” che hanno contraddistinto il nostro vivere politico da molti anni.

Vorrei riportare proprio le parole usate dal Senatore, nel momento dell’annuncio della diffusione della propria agenda politica: «Non mi schiero con nessuno ma la mia agenda è chiara ed è aperta a tutti per coalizioni ampie. Alle forze che manifesteranno adesione convinta e credibile, sono pronto a dare il mio incoraggiamento e, se richiesto, anche la guida, e sono pronto ad assumere un giorno, se le circostanze lo volessero, responsabilità che mi venissero affidate dal Parlamento». Questo suo non schierarsi è menzognero nel momento in cui la sua linea è ascrivibile alla “Destra Economica”, quella neoliberista che ha portato alla flessibilità del lavoro e dell’uomo pensando che quest’ultimo possa non spezzarsi mai.

Nella sua “Agenda” troviamo molte espressioni che indicano proprio una chiara appartenenza a quella destra economica. Bisogna però fare un certo lavoro di scrematura per trarne il succo ideologico (questi tecnocrati a me sembrano molto più ideologizzati di quanto non riescano a nascondere), anche perché in quel documento troviamo parole quali “credibilità”, “approccio aperto”, “media europea”, “liberalizzazioni”, “coraggio”, “valorizzazione/dismissione” (ma non è un ossimoro?), “sacrificio”, “svolta”, etc. Queste parole sono messe lì con un chiaro intento da imbonitori e assolvono bene alla loro funzione caotica.

Una volta essersi districati in questa giungla di buonismo semantico ecco che esce fuori il corpus ideologico di Mario Monti: “Serve lavorare sulla produttività totale del lavoro e sul costo del lavoro per diminuire quel divario con gli altri Paesi europei che crea uno squilibrio di competitività“. Questa frase, per quanto sibillina ed enigmatica, svela il reale volto dell’agenda. Per poter ritornare competitivi, dato che evidentemente non lo siamo, bisogna aumentare la produttività, che è definita come la capacità di produzione dei macchinari e dei lavoratori, e far diminuire il costo del lavoro, che sono i salari pagati ai lavoratori: la flessibilità in uscita aumentata a dismisura al principio del Governo Monti (per mano di Elsa Fornero) è un buon primo passo. Questo essere “necessariamente” competitivi non è un dogma biblico, ma una scelta precisa.

Un uomo, Monti, salutato con il beneplacito di Marchionne – ricorderete la visita di Monti allo stabilimento di Melfi “applaudito dagli operai” – che gli ha dedicato un palco dove tenere il primo ufficioso comizio, svela una certa appartenenza di carattere politico. Marchionne, lo ricordo per chi si fosse perso la cosa, è l’ad della Fiat che a cadenza regolare minaccia di delocalizzare l’azienda e andarsene da qualche parte (Albania prima, Brasile poi). Inoltre anche il Vaticano, attraverso l’Osservatore Romano, ha salutato l’ingresso di Monti con un certo entusiasmo e infatti riferendosi all’espressione “salire in politica” coniata dal Senatore a vita, scrive che è «l’espressione di un appello a recuperare il senso più alto e più nobile della politica che è pur sempre, anche etimologicamente, cura del bene comune» . Considerata la bocciatura dell’IMU alla Chiesa direi che il tecnocrate è stato più che previdente. La gioia di questi due soggetti è già di per sé ideologia.

Concludo questo piccolo articoletto con una famosa riflessione di Pasolini. La rivolgo in particolar modo al Pd che ama definirsi “progressista” ed evidentemente, appoggiando anche solo lontanamente Monti, ha perso di vista la differenza tra quello che è lo sviluppo ed il progresso (per essere chiari, non credo che il PDL l’abbia mai saputo):

“La parola «Sviluppo» ha oggi una rete di riferimenti che riguardano un contesto indubbiamente di «destra». Chi vuole infatti lo «sviluppo»? Cioè, chi lo vuole non in astratto e idealmente, ma in concreto e per ragioni di immediato interesse economico? È evidente: a volere lo «sviluppo» in tal senso è chi produce; sono cioè gli industriali. E, poiché lo «sviluppo», in Italia, è questo sviluppo, sono per l’esattezza, nella fattispecie, gli industriali che producono beni superflui. […] Chi vuole, invece, il «Progresso»? Lo vogliono coloro che non hanno interessi immediati da soddisfare, appunto, attraverso il «progresso»: lo vogliono gli operai, i contadini, gli intellettuali di sinistra. Lo vuole chi lavora e chi è dunque sfruttato. Quando dico «lo vuole» lo dico in senso autentico e totale” (Qui trovate l’intero articolo).

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