Tyler, The Creator – Flower Boy

Sono sicuro al cento per cento che se qualunque personaggio famoso facesse coming out non me ne importerebbe un accidente. Lo dico schiettamente perché è sempre meglio prevenire che curare: questa recensione, in quanto tale, non includerà pareri sul personaggio di Tyler, The Creator, semmai qualche considerazione sulla persona/artista del sig. Okonma, due figure strettamente connesse ma non di certo indivisibili.

Preferisco parlare di come un’entità tipicamente infantile decide di auto-ritrarsi nel 2017, anno in cui l’avanzare del tempo l’ha costretto ad abbandonare l’isola di Peter Pan e a passare il microfono al proprio io più verace.

Tyler decide di colorare la sua nuova creatura quasi interamente di giallo, e ricorda a tutti quanto sia importante il dono della sinestesia nella sua arte. Aprirei una piccola parentesi a riguardo perché sono sicuro che molti non abbiano mai sentito parlare della sinestesia come patologia, ma solo come figura retorica tra i banchi di scuola. Ebbene sì, la sinestesia è la malattia che permette di vedere i suoni sotto forma di colori, e non soltanto è una vera e propria patologia, ma è anche molto comune tra gli artisti; musicisti come Pharrell Williams, Kanye West, Mary J. Blige ed Hans Zimmer ne soffrono, oltre ovviamente al nostro amico Tyler, che dà molta importanza alla sua particolarissima condizione in fase di produzione. Ad esempio in IFHY chiede a Pharrell Williams di “aggiungere un po’ di giallo”… e riconoscerei quel giallo sino in capo al mondo.


Il giallo di Tyler, The Creator è un giallo fatto di organi, 80s profondi e suoni sintetici di vario tipo, spesso simili ad archi o chitarre, ed è una sonorità estiva, forse la più estiva che abbia mai udito. È calda, ritmata ma soprattutto nostalgica e malinconica, grazie ad una componente vintage molto più presente in fase di mixaggio che accentua questa sensazione. In ogni caso, non è l’unico colore presente nell’album, dato che possiamo ammirare molto verde, ad esempio in Foreword, e un bel po’ di azzurro qua e là, che si sa, col giallo ci sta particolarmente bene.

In questa storia interamente auto-prodotta Tyler decide di raccontarci le vicissitudini di un ventiseienne che ha finalmente raggiunto una consapevolezza assolutamente inedita: egli mette da parte le sedute fittizie da Mr. TC ed espedienti narrativi come la creazione di alter-ego e milioni di personaggi (ed era ora, sembrava di essere in un fantasy), per mettersi in gioco in prima persona, uscire da quella casetta nel giardino, con qualche rimpianto per il tempo perso e che non tornerà mai più, ma con la consapevolezza di essere diventato abbastanza grande per affrontare quel mostro nell’armadio che non smette di tormentarlo.

Se fino a questo momento gli era bastato saltare a bordo della sua McLaren e schivare gli ostacoli, sfrecciare sulla strada senza mai svoltare o tornare sui propri passi, oramai molte cose sono cambiate dall’inizio del viaggio: Odd Future, il suo gruppo storico ha cominciato a indebolirsi sotto il peso della fama, e con esso anche la sua attitudine rabbiosa e giovanile, motore dei suoi primi lavori musicali; di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, e Tyler comincia ad andare a fondo.

È lungo questo viaggio solitario che Tyler vaga tra ricordi e pensieri, tra suoni e colori a lui familiari, tra i periodi di incertezze, depressione e rabbia; anni e anni di vita che gli scorrono davanti agli occhi in quarantasei minuti e che, alla fine del film, gli lasciano quella consapevolezza di essere un fiore dal cuore d’oro che non ha intenzione di buttare altro tempo, prima di appassire.

Questo non è il disco di un ragazzo di colore che decide di dichiararsi omosessuale, ma di un uomo complesso che butta via tutte le maschere e comincia a vivere ogni giorno per quello che è, che decide di scendere da quella McLaren. Ed è bellissimo.

Siamo lontani dagli sprazzi di talento di un giovane incostante: stavolta, a parte inchinarci, possiamo ben poco.

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