Vinyl sì, Vinyl no

vinyl la serie tv prodotta da scorsese e jagger

Parlare di musica sarà sempre interessante: non mancheranno mai punti di vista da condividere o disprezzare, correnti nascoste e riemerse, concerti per pochi che faranno la storia e inevitabili trend da cui gli adolescenti prenderanno ispirazione per uno stile di vita assolutamente trasgressivo e nella norma.

I discorsi sulla New York degli anni ’70, poi, avranno sempre un seguito, perché non ci si stancherà di ascoltare gli aneddoti della city invasa da quei figli dell’arte che ci hanno lasciati pieni di sogni e rammarico, a chiederci dalla fine degli anni ’90 cosa abbiamo fatto per meritare di nascere in un’epoca che non fosse quella e che non sembra promettere niente di lontanamente simile.

Non si può quindi negare che Scorsese, Jagger, Cohen e Winter abbiano avuto una buona idea. Poco originale, sì, ma tutto sommato molto furba.

Le vicende di Richie Finestra sono ammalianti e realistiche al punto giusto, la sceneggiatura è zeppa di riferimenti notevoli, i personaggi sono quasi tutti interessanti, la colonna sonora è ricca e, soprattutto, varia – è bello ricordare che tra gli ultimi ’50 e i ’70 le cose più importanti le ha dette la musica nera.

Ma allora perché il lancio della nuova serie marcata HBO si è rivelato un flop assoluto?

Un’ipotesi molto superficiale direbbe che fissare la data per la presentazione della pilot il 14 febbraio non sia stato un gesto particolarmente astuto, mentre un’ipotesi più analitica proporrebbe di riflettere sul tono di voce e sui modi con cui ‘Vinyl’ si è rivolto alle (pur sempre) migliaia di spettatori che attendevano impazientemente una produzione elettrica e scintillante – da personalità come Jagger e Scorsese ci si potrebbe aspettare di meno?

Cerchiamo di definire ‘Vinyl’: è una “docu-serie”? Più “docu” o più serie? Oppure è qualcosa che scimmiotta un po’ Tarantino e un po’ i capolavori del cinema musicale (si pensi a ‘24 Hour Party People‘ di Winterbottom)? Dopo due ore trascorse davanti allo schermo della TV, non l’ho ancora capito.

Il problema potrebbe risiedere proprio nella confusione con cui si esprime, per cui non è ben chiaro se la sua intenzione sia quella di sedurre l’osservatore, di spaventarlo, di informarlo, di annoiarlo o se siano tutte queste cose insieme – ardua impresa, c’è da dire.

Veniamo al dunque.

‘Vinyl’ sì: portare alle persone un po’ di cultura musicale di nicchia fa sempre bene, soprattutto se questo avviene tramite canali di comunicazione largamente estesi come HBO e Sky. È fantastico che si conoscano le storie dietro al successo degli Zeppelin, che si sappia come da sempre le case discografiche manipolano l’identità dei musicisti e che da un certo momento in poi “not giving a fuck” è diventato un tratto caratteristico molto più importante del sound ricercato.

‘Vinyl’ no: avere le idee confuse sul messaggio che si vuole trasmettere è sempre un problema, perché implica l’esser fraintesi e, spesso, conseguentemente ignorati. Al di là dell’interesse che gli appassionati possono mostrare per l’argomento, è necessario tenere in considerazione anche tutti gli altri, quelli che non sanno ancora di essere appassionati di musica e quelli che non lo sono affatto, ovvero persone che, in ugual misura, influenzano la riuscita o meno della produzione.

E poi, ‘Vinyl’ perché: la storia della musica è incredibilmente bella e piena di sorprese e vale sempre la pena spenderci tempo e denaro. Soprattutto se il denaro non è nostro.

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