Tutte le foto sono di Fabio Marchiaro
Le serate perfette non esistono, ma è nella memoria che diventano tali. Restano addosso come una canzone che non riesci a toglierti dalla testa, anche se fuori piove, anche se qualcosa è andato storto. Il concerto di Brunori Sas al Flowers Festival di Collegno è stato proprio così: imperfetto, intenso, bellissimo. Una di quelle sere che si ricordano anche — o forse soprattutto — per ciò che non ha fatto in tempo ad accadere.

Ad aprire la serata è stata Mille, cantautrice romana dall’energia travolgente. Con il suo piglio teatrale, ha trasformato l’attesa in un vero e proprio show: falsetti brillanti, momenti di dance-pop elegante e incursioni tra il pubblico che hanno spezzato ogni distanza. Mille non si limita a cantare: interpreta, gioca, danza, coinvolge. Una presenza scenica potente e carismatica, capace di passare con disinvoltura dalla leggerezza alla profondità, lasciando dietro di sé una scia di entusiasmo contagioso.
Poi è salito sul palco Brunori, e con lui quella sensazione precisa di essere nel posto giusto al momento giusto. Ha aperto con Il pugile, e da lì in poi la scaletta ha trovato un equilibrio perfetto tra malinconia e ironia, tra canzoni che accarezzano e altre che colpiscono dritte allo stomaco. La ghigliottina, L’uomo nero, Come stai, Il costume da torero: ogni brano è una finestra aperta sull’animo umano, sulle sue contraddizioni e fragilità. E poi, Per due che come noi, Al di là dell’amore, La verità. Un crescendo emotivo che il pubblico ha vissuto in totale sintonia, cantando ogni parola come fosse parte della propria storia personale.

Impossibile non tornare con la mente all’ultima volta che Brunori ha suonato al Flowers Festival nel 2017, durante il tour di A casa tutto bene. All’epoca fu Lucio Corsi a chiudere la serata dopo di lui, ancora poco noto ma già riconoscibile per quell’immaginario surreale, tra fiabe pop e visioni psichedeliche.
Il pubblico, allora, era più giovane, più sparso, forse meno consapevole di trovarsi davanti a un artista destinato a diventare una voce generazionale. Otto anni dopo, quel pubblico è cresciuto. Alcune delle coppie di allora ora tornano con figli e passeggini, altri portano sulle spalle nuove storie, ma lo stesso bisogno di riconoscersi in quelle canzoni.
Poi, all’improvviso, la pioggia. Un tuono lontano accolto con leggerezza, come uno scherzo. Ma nel giro di pochi minuti, il cielo si è rovesciato sul parco. Una bomba d’acqua vera, che ha cambiato tutto senza rovinare niente. C’era chi cercava riparo, chi rideva, chi continuava a ballare sotto la pioggia come se fosse parte della scenografia. Sul palco, Brunori ha resistito finché ha potuto, fedele al suo spirito ironico e tenero fino all’ultimo: “Mi dicono dalla protezione civile di fare in fretta, quindi queste sono le ultime due canzoni”. Neanche il tempo di finire la frase ed è scoppiato il finimondo.

E così, senza bis né saluti lunghi, si è chiusa la serata. Ma forse proprio per questo sarà indimenticabile. Quando anche un temporale sembra scritto da un cantautore, vuol dire che hai vissuto qualcosa di autentico. Brunori ha lasciato il palco come quei pensieri che non si chiudono, ma continuano a girarti in testa. Forse tornerà, magari con una canzone nata proprio da questo diluvio d’estate.
Perché anche questo è amore. Un amore che cambia con te, che si sporca di nostalgia, che cresce sotto la pioggia. Una lavatrice all’una di notte. Una doccia calda per scrollarsi di dosso l’acqua arrivata fin dentro le mutande. Un concerto al tempo dei monsoni.