Raccogliere la testimonianza delle donne che hanno partecipato alla Resistenza partigiana, costruendo uno Stato repubblicano dalle sue fondamenta, libertà e antifascismo. Farlo dando loro voce, che tante volte invece è stata taciuta in quanto appartenenti al cosiddetto sesso debole.
È l’intento di Bianca Guidetti Serra e del suo libro Compagne – testimonianze di partecipazione politica femminile, saggio edito da Einaudi nel 1977 e ripubblicato lo scorso aprile, a ottant’anni dalla sconfitta del nazi-fascismo, con l’introduzione di Benedetta Tobagi e la postfazione di Santina Mobiglia.

La portata pionieristica di Compagne
Torinese di nascita, figlia di un avvocato civilista e di una sarta, Guidetti Serra frequentò il liceo Massimo D’Azeglio, dove insegnava Augusto Monti e avevano studiato Giancarlo Pajetta, Cesare Pavese, Massimo Mila e Giulio Einaudi. Loro, però, quando la giovane si avvicinava agli studi classici, erano già al confino. Finito il liceo si iscrisse all’università; si laureò nel 1943 in Giurisprudenza, rientrando a pieno titolo nella generazione europea degli avvocati militanti che, nel corso della Seconda guerra mondiale, svilupparono il proprio senso critico-morale attraverso la lotta al nazifascismo.
Nel 1943, a seguito di una profonda riflessione sulla crudeltà del Fascismo e delle Leggi razziali attive dal 1938 – che avevano colpito l’amico Primo Levi e il futuro marito Alberto Salmoni – si iscrisse al Partito comunista e si attivò per la fondazione dei Gruppi di difesa, composti dalle donne dei partiti che aderivano al Cln. Nel corso della guerra civile lavorò come staffetta partigiana e fu nel nucleo organizzativo dei Gruppi di difesa della donna che sosteneva attivamente la Resistenza al Nazifascismo: la partigiana Nerina – questo il suo nome di battaglia – era responsabile del quinto settore di Torino (rione Centro), dove si occupò di raccolta fondi, propaganda, lezioni di vita democratica e di integrazione della donna nella vita politica e nella militanza. Bianca Guidetti Serra fu dalla parte dei diritti delle donne per tutto il corso della propria vita, anche in qualità di avvocata penalista in difesa dei più deboli.
Negli anni Settanta, in un’epoca in cui collimavano la riflessione della Resistenza partigiana e la lotta dei movimenti femministi per i diritti civili, Guidetti Serra ha incontrato, ascoltato e intervistato 51 donne torinesi, di origini umili e proletarie che, a loro modo, avevano preso parte attivamente alla lotta al nazifascismo. Nel 1977 le loro testimonianze confluirono in un racconto corale, pubblicato da Einaudi in due volumi: Compagne – testimonianze di partecipazione politica femminile. Il testo era di per sé pionieristico, non solo perché raccontava della partecipazione femminile alla Resistenza partigiana – apporto che, a guerra conclusa, venne sistematicamente messo da parte, se non quasi cancellato – ma perché, nel contesto di rivendicazione dei diritti civili della seconda ondata del movimento femminista, dava la possibilità alle intervistate di raccontare in prima persona le proprie gesta, restituendo finalmente la centralità di cui erano degne. E non attraverso qualche pagina di pamphlet o all’interno di un libro di storia, ma attraverso un saggio interamente dedicato a loro che desse rilevanza all’importanza della partecipazione femminile alla res publica. Un monito che, grazie alla sua riedizione, è ancora più profetico oggi, in un momento storico in cui ogni forma di attivismo partecipativo viene demonizzata e si assiste per lo più a una sua piatta forma performativa e che invita le giovani donne del Ventunesimo secolo a riflettere su quanto è stato raggiunto e sugli obiettivi che ancora mancano alla piena conquista della parità di genere e dei diritti civili.

Storie di 51 donne, raccontate in prima persona dalle protagoniste
Principalmente operaie, militanti e antifasciste di Torino e dintorni, le protagoniste di Compagne si raccontano e donano a Guidetti Serra un vero e proprio germoglio di resistenza, coraggio e caparbietà: l’autrice sceglie di redigere il racconto dividendo l’opera in 48 capitoli che raccontano di 51 donne, tenendo fede all’oralità dei frammenti di vita in cui le protagoniste hanno raccontato. Inoltre, per tenere fede alla forma più primigenia del racconto e dare centralità alle partigiane, Guidetti Serra sceglie la forma della prima persona: in questo modo le distanze tra lettori e testimoni si accorciano, così come le barriere del tempo e – si spera – della classe sociale di appartenenza. I lettori sono immersi nella quotidianità delle piemontesi, che si raccontano a cuore aperto e sono state riportate fedelmente dall’autrice, compresi li dialettismi o gli eventuali errori grammaticali.
Il volume si apre con il tributo a Vera e Libera Arduino, operaie appartenenti ai Gruppi di difesa della donna trucidate dai fascisti nel 1945. Nel corso delle esequie – a cui Guidetti Serra e la sezione di Torino non parteciparono per motivi di sicurezza – centinaia di persone protestarono e molte di loro furono arrestate dalla polizia fascista. A ricordarle è il fratello Antonio, scampato fortuitamente all’eccidio delle sorelle e del padre.
Ci sono storie di donne strabilianti e solo all’apparenza comuni, come Cesarina Carletti e Odinea Marintze che hanno superato il carcere, il confino e la detenzione nei campi di concentramento. Carletti, figlia di operai e anarchica per ispirazione paterna, dopo l’8 settembre prese contatti con i partigiani e iniziò a fare la sua parte. Catturata dai fascisti e dai tedeschi durante un combattimento a Mezzanile a dicembre del 1943, è stata internata alla Casa Littoria, dove veniva torturata e interrogata costantemente affinché dicesse i nomi dei suoi compagni. Da lì poi è stata deportata a Ravensbrück, il più grande campo di concentramento femminile nella provincia del Brandeburgo e ci è rimasta fino alla fine della guerra.
“Io ho dato un padre, ho dato un marito, ho dato quasi me stessa, per cosa?”
Odinea Marintze, invece, nata in una famiglia socialista di Muggia fin da piccola ha lavorato per aiutare la propria famiglia. Già incarcerata prima della Seconda guerra mondiale per dei legami con dei partigiani della zona, allo scoccare del conflitto è stata di nuovo arrestata, per poi essere trasferita a Ventotene nel 1941. Dopo l’armistizio, l’esercito la mandò Ravensbrück e in altri campi ai lavori forzati, dove ritrovò alcune compagne che aveva conosciuto sull’isola qualche anno prima. Alla fine della guerra e con la liberazione dei campi di concentramento da parte degli eserciti alleati, Marintze si mise in marcia per tornare in Italia.
“Io rifarei la stessa scelta di vita. Sì, son convinta, son convinta. Quel che ho fatto non l’ho fatto per niente, non l’ho fatto così. Non so se avrei la forza di resistere l’età che ho oggi, non è più i trentasei anni che avevo allora. Non so quanto potrei resistere. Allora mia figlia non esisteva; adesso ho mia figlia che esiste e il bambino che esiste. Allora era molto più facile per me. C’era Pietro, c’era mia madre e i miei fratelli. Ma oggi c’è molto di più davanti a me. Ma se fosse da ricominciare non mi tirerei indietro. Direi che è un’altra pagina da fare. Non abbiamo conquistato ancora tutto”

Sebbene le interviste di Bianca Guidetti Serra rientrino in un perimetro geografico ben preciso, quello piemontese, e si riferiscano a un’esperienza partigiana ben delineata – quella comunista –e, per lo più, svolta dal basso, dalla classe operaia e da donne la cui istruzione nella maggior parte dei casi non è andata oltre la quinta elementare, Compagne assurge a exemplum della partecipazione femminile tout-court alla sconfitta del nazi-fascismo e, in questo senso, lo sforzo dell’autrice è davvero encomiabile. Nonostante l’orgoglio e l’ispirazione che si può trarre leggendo queste interviste, questi frammenti di vita di donne che ci hanno preceduto, in chi legge Compagne rimane, però, un senso di amarezza al pensiero di quante altre esperienze simili, di quante donne, in altre zone d’Italia siano state taciute, rimosse o semplicemente dimenticate. Vite ridotte a una riga sbrigativa nei manuali sul Novecento, granelli di storia portati via dal vento per sempre.