Mi sono imbattuta in Alix Garin un po’ per caso, seguendo il catalogo di Bao Publishing, e attratta da Non mi dimenticare, fumetto d’esordio dell’autrice che aveva tutte le premesse per fare piangere una ragazza cancro come me. Ispirato alle vicende personali di Garin stessa, Non mi dimenticare è un commovente racconto on the road di una nipote che fugge con la nonna la cui memoria è minacciata e ormai inevitabilmente corrosa dall’alzheimer. Quando mostrai il volume sul mio profilo instagram, una mia amica che vive in Belgio mi scrisse subito di averlo letto anche lei – le era stato consigliato da un libraio come fumetto bello e utile per praticare il francese –, consigliandomi subito dopo anche Impenetrabile, che di lì a qualche mese sarebbe stato pubblicato anche in Italia.
Il titolo di Impenetrabile dice già tutto. Una notte qualcosa nell’equilibrio della vita di Garin si incrina. Mentre sta avendo un rapporto sessuale con il ragazzo che ama e con cui convive, improvvisamente sente dolore. Un dolore che viene inizialmente taciuto, nascosto, ma che per questo non scompare. Come molte donne che si ritrovano a vivere dolori simili, Garin si costringe a rapporti sessuali dolorosi, fingendo un piacere che il compagno non riesce a leggere come forzato. Il dolore diventa troppo, Garin sanguina e solo in quel momento esplode di rabbia nei confronti del proprio ragazzo. Da quel momento inizia la trafila tra specialisti: ginecologhe, sessuologhe, terapiste, alla ricerca della causa del dolore e di un percorso efficace di guarigione. È l’inizio di un viaggio non solo medico, anche di vera e propria riscoperta di sé, tra le strade di una città vibrante come Berlino, dei bisogni del proprio corpo e dei propri sentimenti.
Il dolore di Garin è fisico e poco conosciuto, e colpendo la sfera sessuale del suo corpo di donna, inevitabilmente si irradia alla coppia e al giudizio su di sé come soggetto incapace, anche solo per un lasso di tempo circoscritto, di provare desiderio. Impenetrabile però non è solo una storia del dolore di Garin, ma anche una storia di rinascita, di riscoperta e, in ultimo, di amore. Di una coppia che nonostante le difficoltà e i tabù riesce a ritrovare nel sentimento condiviso la volontà di raccogliere i cocchi e di ricostruirsi in nuovi incastri.
Grazie a Bao Publishing, ho avuto la fortuna di poter fare alcune domande a Garin, chiedendole di vaginismo, colori e del suo personale che diventa politico. Potete leggerla qui.
Ciao Alix, prima di tutto grazie per quest’intervista e per questo fumetto bellissimo che hai realizzato. Impenetrabile arriva dopo il tuo debutto di successo con Non mi dimenticare, di cui in parte accenni. È vero che la seconda opera è sempre più difficile della prima?
Credo che ogni libro comporti una sfida, diversa dalle precedenti. È sempre così, quando si cerca di uscire dalla propria comfort zone e di sperimentare. Il primo libro è difficile perché dobbiamo dimostrare a noi stessi che possiamo farcela. Il secondo libro è difficile perché dobbiamo dimostrare agli altri che possiamo farcela.
La realizzazione di Impenetrabile non è stata facile, sia da un punto di vista psicologico sia da un punto di vista fisico. Ho dubitato più volte di me stessa, ma in fin dei conti sono molto soddisfatta del risultato e stupita nel vedere con quanta emozione è stato accolto dal pubblico e benvenuto dalla critica.

Non mi dimenticare aveva tracce del tuo vissuto, con dei sentimenti legati ai rapporti familiari con cui è facile empatizzare, ma con Impenetrabile sicuramente ti sei presa un rischio in più nell’esposizione di te stessa, parlando di vaginismo, un disturbo con cui molte più persone di quanto si pensi sono costrette a confrontarsi.
Non importa se si tratta di fiction o non-fiction, per me è fondamentale impreziosire la storia con esperienze personali vissute sulla propria pelle, per dare onestà e rendere il racconto credibile. Non mi dimenticare è un fumetto fiction arricchito da ciò che provavo osservando la progressione della malattia di mia nonna. Con Impenetrabile è stato diverso: volevo che fosse autobiografico al cento per cento, per squarciare il velo della vergogna che pesa sulle persone che soffrono per una sessualità diversa dal “normale”. Volevo spezzare i tabù, puntare l’attenzione su tutto ciò che la società non racconta o che racconta poco: non solo il vaginismo, ma anche l’assenza di desiderio, le fantasie femminili, l’eccitazione del tradimento, la comunicazione all’interno di una coppia, la ricerca di sé, il perdono. Volevo che la storia fosse universale, perché credo che questi temi riguardino tutte e tutti di qualsiasi genere e classe sociale.
Il tuo personale diventa quindi politico, nel momento in cui raccontare parti della tua vita posso aiutare a svelare molti tabù e molti non detti della vita di molte. Nella lavorazione di questo fumetto hai sentito più l’urgenza di raccontare qualcosa che fosse tuo o sapevi in qualche modo che questo avrebbe potuto far bene anche a molte altre donne che si ritrovano a leggerti?
Ero consapevole che sarebbe potuto essere di sostegno a un sacco di donne. E sono contenta che sia stato menzionato il termine “politico”, perché per me è alla base di tutto: scegliere cosa raccontare, cosa rappresentare o meno, è un atto politico. Chiarendo fin da subito che stavo raccontando la mia storia, volevo condividere lo sguardo e l’esperienza da donna: volevo dire chiaro e tondo che la vita non è quella delle favole, e che queste cose succedono con molta più frequenza di quanto pensiamo. E magari altre persone (gli uomini, per esempio) potrebbero restare sorpresi e imparare qualcosa da questo sguardo. Empatizzare. “Politico” non vuol dire “scontro”: al contrario, significa costruire ponti. E la nostra società ne ha più che mai bisogno.
Questo fumetto ha sicuramente una valenza informativa sul vaginismo, ma il vaginismo è in fondo un punto di partenza per parlare di tanti aspetti della vita di una persona. La tua è una storia di dolore, ma anche di rinascita. Come dici tu stessa questa “è una storia d’amore”. Volevi lasciare un po’ di speranza?
Sì, finora ho menzionato diversi temi, ma in fin dei conti si tratta di una storia d’amore. È la storia di una coppia che si trova a dover affrontare sfide alle quali non era preparata, imparare a capirsi e trovare soluzioni. E questa cosa, ovviamente, richiede tempo, errori, saper perdonare e saper amare. È la storia di una coppia che non vuole permettere alla società di imporle di separarsi, perché la verità è che si amano più di ogni altra cosa e vogliono dimostrarlo giorno dopo giorno.
Dal mio punto di vista non è solo questione di speranza, è questione di pedagogia. Volevo condividere ciò che avevo imparato vivendo questo tipo di esperienza. In quanto artista, “dare ciò che ho ricevuto” è uno dei miei mantra.
Impenetrabile è una narrazione autobiografica, che è un tema molto dibattuto in generale e lo è molto in Italia negli ultimi anni. Melissa Febos è un’autrice statunitense che tra le sue pubblicazioni ha un breve saggio intitolato Body Work. The Radical Power of Personal Narrative (in Italia tradotto da Nottetempo) dove parla dello stigma che spesso viene riservato ai memoir scritti da donne o da altre soggettività marginalizzate. Le donne che raccontano del loro vissuto, spesso legato anche a dei traumi causati direttamente o indirettamente dalla cultura patriarcale, vengono giudicate eccessivamente emotive e di conseguenza svalutate nelle loro creazioni artistiche. Come ti poni rispetto a queste affermazioni? Hai percepito dei pregiudizi rispetto alle tue opere?
La cosa interessante è che gli unici pregiudizi in cui mi sono imbattuta erano i miei. Ho interiorizzato così tanto la paura legata al discredito delle autobiografie al femminile che l’ho anticipata, anche se è qualcosa che non mi mai capitato. Eppure, ero pronta a giustificarmi, a spiegare che in un’ottica narrativa scrivere un’autobiografia è altrettanto impegnativo e tecnicamente difficile. Non bisognerebbe mai permettere a questo tipo di pensieri di prendere il sopravvento.
E, soprattutto, se ci sono persone a cui i miei lavori danno fastidio, ne sono contenta. Non è la fine del mondo non piacere a tutti. Non è grave “dare fastidio”, se questo significa suscitare un confronto. Per il resto, non ho tempo per gli hater.
Legato sempre all’argomento delle narrazioni autobiografiche. In questo fumetto ti esponi senza farti sconti, e anche tra i dialoghi e i pensieri che si leggono tra le tavole ti interroghi su come si può raccontare se stessi senza esporre di conseguenza anche le vite, i pensieri, e forse anche in parte le “mancanze” delle persone che ti sono più vicine. Come si trova una quadra tra l’esigenza di raccontare una storia e la volontà di preservare anche l’intimità altrui?
È qualcosa a cui stare molto attenti. Ho lasciato gli altri personaggi nell’anonimato, compreso il mio ragazzo (di cui ho cambiato il nome). Perciò la sfera pubblica non è mai stata un problema. Ma per quanto riguarda la sfera personale… be’, è stata una sensazione strana. Per fortuna siamo circondati da persone attente e comprensive. E allo stesso tempo ho cercato di aggiungere parecchie sfumature qua e là.
In questo fumetto si parla inevitabilmente di sesso, come atto, ma anche per il ruolo simbolico che questo ha all’interno delle nostre relazioni e della società in cui viviamo Una società in cui è impensabile non farlo o accettare che esistano persone che, anche solo temporaneamente, non provano desiderio di farlo. Allo stesso tempo, è una società in cui è ancora difficile parlarne serenamente senza cadere in giudizi o sensi di colpa. Cosa pensi potrebbe essere utile da questo punto di vista per migliorare?
Il modo in cui se ne parla. Il semplice fatto di discuterne liberamente e con onestà, per spiegare che la realtà è molto più complessa e sfaccettata di quanto abbiamo l’abitudine di credere. È la sensazione di solitudine ad alimentare il senso di colpa: quando ci viene detto che una cosa non è “normale”, perché invece “dovrebbe essere in un altro modo”. Quando invece riusciamo a squarciare il velo che ricopre l’argomento, è più facile capire che tutto è possibile, che non esiste un solo modello e che ognuno può fare ciò che preferisce. È un bel sollievo.
Trovo sia meglio rappresentare il sesso nella sua diversità, attraverso l’arte e attraverso l’educazione a una vita relazionale e affettiva, attraverso una riconsiderazione del concetto di performance. Dal mio punto di vista, sono le chiavi per formare persone in grado di compiere le proprie scelte in maniera consapevole.
Una cosa che ho notato subito tra Non mi dimenticare e Impenetrabile è l’uso dei colori e delle loro tonalità. Le tavole di Impenetrabile sono molto accese, sia quando sono cupe e buie nei momenti di sofferenza, che quando invece si riempiono dei colori più vividi legati alla riscoperta del tuo corpo e del tuo piacere. Come hai lavorato in questo senso?
Per me, il colore è parte integrante della narrazione. Non è solo una dimensione estetica, è una dimensione narrativa. Per creare le atmosfere di Impenetrabile, mi sono lasciata guidare dalle mie sensazioni, proiettando ciò che i miei ricordi mi avevano lasciato. Il colore può influenzare notevolmente la percezione delle emozioni. Volevo che il colore raccontasse l’evoluzione della psicologia dei personaggi. Ecco perché in Impenetrabile ho usato una palette più ricca e più variegata rispetto a quella di Non mi dimenticare. Avevo bisogno di più sfumature e di colori più vividi: in questo libro l’intensità emotiva è più forte che in Non mi dimenticare, che invece è un libro più dolce.
Quanto tempo hai lavorato alla sceneggiatura? È stato un lavoro impulsivo o qualcosa su cui sei tornata più volte?
Si è trattato di un lavoro estremamente impulsivo. Dovevo soddisfare un’urgenza: una volta presa la decisione di raccontare questa storia, volevo gettare su carta tutti i miei ricordi prima di dimenticare i dettagli. E il tutto è andato in maniera piuttosto spedita, istintiva. Ho scritto la prima versione della sceneggiatura in tre mesi, e le modifiche apportate in seguito sono state pochissime. Ha fatto eccezione la fase finale, quella prima di iniziare a colorare, in cui giravo le tavole al mio editore per ricevere le correzioni… volevo che fosse tutto perfetto! Questi mesi di correzioni mi hanno permesso di rivedere la struttura della storia (soprattutto l’inizio e la fine) per renderla più d’effetto. Ammetto che è stato difficile, perché riprendere la sceneggiatura a uno stadio così avanzato ha comportato un grande sforzo. Ma ero consapevole che tutto questo sarebbe servito a rendere la storia perfettamente funzionale e a non avere nessun rimpianto.
Nel fumetto accenni ad altri lavori che stavi portando avanti prima di realizzare che era proprio questa la storia di cui volevi parlare. Sono stati definitivamente cestinati o si stanno evolvendo? Hai già altri progetti nel cassetto?
No, non ancora. Dopo l’uscita del libro in Francia, mi sono lanciata in un tour promozionale mastodontico (fiere, interviste, dediche, viaggi) che mi ha richiesto parecchio tempo ed energie. Non ho avuto modo di vivere quella solitudine e quella calma di cui necessita l’atto creativo. Ma ora ho bisogno di tornare con i piedi per terra per ricominciare a scrivere… mi manca. Non vedo l’ora.
Ci consigli qualche fumetto o qualche opera di altro genere che ti è piaciuta particolarmente?
Ultimamente, ho apprezzato molto J’aurais voulu voir Godard, un fumetto di Philippe Dupuy. Mi è piaciuto molto En territoire ennemi di Carole Lobel. E, soprattutto, Les Jardins invisibles, di Alfred, uno dei miei autori preferiti: nello specifico, questo libro è un concentrato dei ricordi che hanno segnato i suoi ultimi anni, in maniera umana e poetica, con diverse storie ambientate in Italia. È un libro di una dolcezza unica, che fa bene all’anima, perché trasmette la voglia di vivere e di continuare a stupirci di fronte alla bellezza del mondo. E viviamo un periodo storico in cui ce n’è tanto bisogno.