Che persone erano i Beatles? Chiede un radio ascoltatore in una diretta telefonica a John Lennon, che a un respiro da Yoko Ono risponde che i Beatles non ci sono più, ora è solo lui, John. Lennon infatti ha smesso da qualche tempo di essere un quarto dei Beatles per diventare tutto al più la metà di una nuova entità con Yoko Ono. Quella diretta radio vola nell’etere di New York perché ora è lì che vive, lontano dalle cattiverie che sempre più bersagliavano Yoko, additandola come la strega capace di dividere quella creatura a quattro teste che aveva meravigliato il cuore del Novecento. Ora vive nel Greenwich Village, che trova molto bello e alla moda.
John sta aprendo un’altra pagina della sua vita, si prepara a scrivere nuove memorabili canzoni e a sprigionare quell’enorme carisma che lo ha reso una delle icone del Novecento. I primi anni americani sono anche quelli dell’impegno pacifista, contro le guerre, in particolare quella di Nixon in Vietnam, ma anche contro quella inglese in Irlanda. Sono gli anni dell’impegno a fianco di Jerry Rubin e della sinistra radicale, delle simpatie verso il Black Panters Party, sono gli anni di Working Class Hero e di Imagine.
John era così, passionale e svelto di pensiero, capace di trasformare in azione e comunicazione la realtà che sintetizzava in testa, mettendoci sempre la faccia. Riusciva a capire dalla tv sempre accesa ai piedi del letto, l’America di quegli anni, dalle pubblicità e dai notiziari. La capiva così velocemente che cominciò a essere un problema per la rielezione del presidente Nixon, che tramite CIA ed FBI lo teneva continuamente d’occhio, lo sorvegliava tramite il telefono che spesso “faceva strani rumori”, provando più volte a buttarlo fuori dai confini a stelle e strisce, ma John restava aggrappato alle braccia aperte della statua della Libertà, fondando anche il nuovo stato di “Nutopia” e dichiarandosi suo ambasciatore. Sapeva il peso che un beatle, “quel beatle”, aveva sulla gente e in quello scorcio di inizio anni Settanta provò a far pesare positivamente quella fama, anche salendo sul palco per beneficenza o per cause di libertà, come nella partecipazione con qualche canzone al concerto per la scarcerazione dell’attivista John Sinclair per cui scrive anche un brano.
Il rapporto con Yoko in quella nuova vita è saldo, vivrà una flessione e un allontanamento alcuni anni dopo, nel cosiddetto “lost weekend”, mesi in cui ritornerà ad essere il teddy boy di Liverpool, pronto alle risse sopraffatto dall’alcol. Ma Yoko sarà sempre nella sua testa e nel suo cuore, in fondo la considererà un porto sicuro, capace di farlo crescere intellettualmente, proteggendolo dalla paura di perdere ancora le persone importanti della sua vita, come troppo spesso gli era successo in passato (la mamma Julia soprattutto, il padre visto poco e niente, il suo amico Stuart Sutcliffe e anche il manager Brian Epstein).
Quella tv ai piedi del letto nel piccolo appartamento del Village serve davvero a conoscere luoghi nascosti. Le strazianti immagini dei bambini rinchiusi alla Willowbrook State School, spezzano il cuore di John e Yoko che decidono di mettere su un concerto, a cui prederà parte, tra gli altri, anche Stevie Wonder, per raccogliere soldi da dare a quella struttura perché quei bambini affetti da varie patologie fisiche e mentali possano avere un po’ di sostegno e di sollievo.
È cosi che nasce One to One, titolo che auspica la possibilità di poter affiancare un infermiere ad ogni bambino. Quel concerto riporta per alcune ore John sul palco per un concerto intero, cosa che non succedeva dallo scioglimento dei Beatles. Palco da cui urlerà le nuove canzoni contro le guerre e le ingiustizie che intanto aveva scritto ascoltando il battito cardiaco degli States, e che lo vedrà lacerarsi in pubblico, seduto al pianoforte mentre canta la straziante Mother, un brano terapeutico che parla alle viscere di chi ascolta. È grosso modo questa la storia che viene raccontata con un buon ritmo e ottime scelte di immagini di repertorio nel docufilm One To One da Kevin Macdonald e Sam Rice Edwards.
Una storia mirata a quei pochi anni, che si chiude col trasferimento della coppia al Dakota Building di Manhattan, in quel palazzo dove Lennon sarà freddato dai proiettili di Chapman l’8 dicembre del 1980. E proprio da quello spicchio di cielo di Manhattan saliranno i canti collettivi di quella generazione che era cresciuta con lui e che ora sparge molto più di quelle sue ceneri che lui desiderava mandare in giro per il mondo. Ci sono tanti Lennon da narrare e mettere insieme per arrivare a raccontarlo tutto intero. Questo frammento americano della sua esistenza ne è uno spaccato essenziale e necessario, fragile e coraggioso, controverso e iconico, ma sempre profondamente umano.