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« Sì, sono John Lennon »

Life is what happens to you / While you’re busy making other plans – Beautiful Boy (J.L.)

Nell’ Upper West Side a Manhattan, tra il Dakota Building e Lincoln Center, c’è un bar che promette un vero caffè italiano – e non solo quello – a leggere bene l’insegna del Caffè La Fortuna. Come ormai tutte le mattine John Lennon consuma proprio lì la sua colazione. Quella mattina lo fa di buon’ora, con spirito sereno e una gran voglia di affrontare la giornata, piena di impegni già fissati e con quel pensiero nella mente di salire di nuovo sul palco per portare in giro canzoni vecchie e nuove. Nonostante Dicembre, quella domenica mattina il clima è mite in quelle strade a un tiro di schioppo da Central Park. Il primo impegno della giornata è una sorta di ritorno all’infanzia: lo aspetta un taglio di capelli alla teddy boy per un servizio fotografico per la rivista Rolling Stones. Deve ritornare a essere quello prima dei Beatles, quello del Kaiserkeller di Amburgo, con giubbino di pelle, stivali a punta e risse a più non posso. Quel salto indietro però non è accompagnato dalla rabbia di quei tempi, è invece sereno e solo un po’ nostalgico. La nostalgia è per Liverpool, che non vede da oltre un decennio. Pare che quella notte abbia fatto l’alba a guardare in direzione della città portuale inglese, che lo porta a una tenera telefonata alla zia Mimi, con cui è cresciuto, per avvisarla che presto si sarebbero riabbracciati.

Di rientro alla sua residenza, al Dakota, oltre le foto, da cui, per mano della fotografa Annie Leibovitz, verrà fuori anche l’ultimo memorabile scatto consegnato alla storia (quello di John, nudo, avvinghiato a Yoko) c’è da fare anche un’intervista con l’emittente RKO. La promozione del nuovo disco ha dei ritmi a cui non era più abituato dai tempi di Love Me Do. Il centro della vita di John è ritornata a essere la musica, così, nel pomeriggio alle quattro decide di andare al Record Plant.

Chiede un passaggio alla troupe televisiva che aveva ospitato a casa, per non aspettare la sua automobile. Nelle vicinanze del grosso edificio neo-gotico, in cui da anni ormai dimora insieme a Yoko, sostavano sempre quelli che lo stesso John battezzò “Dakota groupies”, capannelli di suoi fans che gironzolavano lì intorno per vederlo, salutarlo, ma da qualche giorno anche con un motivo in più: farsi autografare Double Fantasy, il nuovo disco. John firma qualche copia e va a lavorare su un pezzo per Yoko Ono “Walking on Thin Ice”, rimasto fuori dalla recente tracklist appena uscita. Ci lavora diverse ore, e la giornata sembra prendere la piega giusta, quando Geffen, il discografico, conferma che nonostante la tiepida accoglienza della critica, le tracce stanno per diventare disco d’oro. John è soddistatto del lavoro in studio e riversa tutto sul nastro per riascoltare poi a casa. Ormai sono passate le dieci e Yoko propone di andare a cena da Stage Deli. Per John va bene ma prima vuole passare un attimo al Dakota. La limousine nera accosta di fronte all’ingresso mentre John si avvia verso il portone seguito da Yoko.

il numero di Rolling Stone del 22 gennaio 1981

“Mr Lennon!”

Mark Chapman è una new entry nei Dakota groupies già da qualche giorno. A New York è arrivato il venerdì e fino a quella domenica ha bighellonato nei dintorni della 72esima strada per avvistare Lennon. I Beatles, e John in particolare, erano la sua passione fino a diventarne un’ossessione. Quella musica per anni è stato il suo rifugio, al riparo dalla rigidità del padre militare e da quanti lo bullizzavano per il suo sovrappeso. Per sfuggire al disagio che subisce nella realtà, batte varie strade, tra cui anche la droga e l’lsd in particolare, prima di rifugiarsi nella fede. Viene travolto da una fervente passione cristiana che lo spinge ad abbracciarne la parte più estrema. Nella sua mente i Beatles resistevano ancora, tant’è che nello zaino aveva messo 14 ore della loro musica in nastro prima di volare da Honolulu a New York. Ha sentimenti contrastanti però, sente che in qualche modo questa nuova vita di John è un tradimento verso i Beatles e, di conseguenza, verso tutti gli ideali che avevano rappresentato per lui. Nel frattempo aveva maturato un’altra ossessione, questa volta per un romanzo di Salinger, Il giovane Holden. E quando tutte quelle ossessioni diventarono voci che si affolavano nella sua mente, si convinse di dover seguire delle chiare indicazioni: ormai aveva un compito da portare a termine. Per questo Manhattan era diventata la sua meta.

Quella domenica pomeriggio John aveva autografato anche la sua copia di Double Fantasy, ma non finiva lì; Chapman non abbandonò la postazione, attese, fino a sera, il ritorno del musicista inglese, con gli occhi puntati sulle pagine di Salinger. In quelle ore, pian piano, incarnò il protagonista del romanzo, che in un paranoico intreccio avrebbe dovuto vendicarlo. Nello zaino non aveva soltanto i nastri pieni di musica, ma anche una calibro 38 che impugnò come nei polizieschi, flettendo un po’ le gambe e distendendo le braccia in avanti, poco dopo aver pronunciato “Mr Lennon!” e poco prima di sparare 5 colpi di pistola fin dentro il ventre del Dakota.

messaggio di Natale ai newyorkesi di John e Yoko

Liverpool

In America è l’otto Dicembre, in Inghilterra già il nove. È il 1980 a Manhattan, quando si capisce che i Beatles, seppure lo avessero voluto (e non lo volevano) non si sarebbero mai più potuti riunire su un palco, perché quella terribile manciata di colpi di pistola mette per sempre fine alla vita di John Lennon. Dopo cinque anni di silenzio discografico e di vita casalinga, dedicata alla crescita del figlio Sean (avuto da Yoko Ono), il fondatore dei Fab Four aveva appena rilasciato quella che diventerà la sua ultima intervista per il lancio dell’attesissimo disco Double Fantasy: disco in cui infondeva nuova energia vitale alla generazione dei quarantenni, la sua generazione, che si trovava a dover ricominciare a vivere superata l’epoca del Peace & Love.

Ripercorrere all’indietro la vita di John Lennon, seppur velocemente, significa addentrarsi nel cuore, nelle viscere, nei drammi e nei sogni del Novecento. Un visionario che ha saputo cogliere sin da subito i fermenti e le novità di un secolo in forte accelerazione. Nasce durante uno dei più tremendi bombardamenti di Liverpool nel 1940, perde tragicamente, a ritmo quasi incessante, le persone più care della sua vita. Dentro si porterà sia la rabbia che lo avrebbe fatto passare come il temibile teddy boy del quartiere, pronto a fare a botte con tutti, che una delle cariche artistiche più intense e geniali di sempre. Nel chiuso della sua stanzetta impara a scrivere canzoni e a disegnare storie. Mentre fuori da quelle mura la città prova a togliersi di dosso prima la polvere e il ricordo della guerra e poco dopo i vincoli e i lacci dell’età Vittoriana per aprirsi al mondo che comincia a cambiare.

John è affascinato da Elvis Presley, Chuck Berry, Buddy Holly, e per questo mette su uno dei tantissimi gruppi skiffle della città: i Quarrymen, prendendo il nome dalla scuola d’arte che frequenta. Fa presto a incrociare sul suo cammino Paul McCartney, con cui comporrà il più grande duo cantautorale di sempre. Comincia così a comporsi il primo nucleo della band che diventerà leggenda. In questa unione un ruolo importante ce l’hanno gli autobus di Liverpool, non solo perche il padre di George Harrison ne è uno degli autisti, ma perché proprio su quei mezzi avverranno due cose fondamentali: Paul McCartney e George Harrison si conoscono proprio perché soliti viaggiare sulla stessa linea, e un autobus è il luogo in cui si svolge il “provino” che Paul e John fanno a George, alla fine della corsa, verso un deserto capolinea di periferia. Paul è convinto delle capacità di George, tanto da presentarlo a John, il quale però, ritenendolo troppo giovane, con i suoi quindici anni, preferisce fare quella audizione al riparo da qualsiasi occhio indiscreto. Il resto è storia.

A ritorno dai mesi passati in Germania, a farsi le ossa a suon di cover rock’n’roll nei locali di Amburgo, si unisce a loro anche il batterista Ringo Starr. Tra il 1962 e il 1970, i Beatles magicamente inventano un suono irripetibile e per certi versi ancora misterioso. Impossibile sintetizzare: basti sapere che quasi tutto quello che oggi ha a che fare con la musica pop rock, prende le mosse da Beatles e dintorni; non solo dal punto di vista sonoro, ma anche per quanto riguarda la comunicazione, la promozione, la grafica e l’organizzazione. Fa una certa impressione pensare che quando i Beatles di fatto si sciolgono a mala pena rasentano i trent’anni, e neanche tutti. Musicalmente, in sette, otto anni, si va dal rhythm and blues alla musica contemporanea, passando per il rock, il pop, il country e la musica sperimentale, tutto con un’originalità senza pari. Una piccola sintesi di tutto questo è probabilmente il brano A Day in the Life, paradigmatico se lo si analizza nella sua evoluzione e registrazione in studio.

Lo scioglimento non è indolore per nessuna band, immaginiamoci per loro, ma di fatto, da quando avevano rinunciato per sempre ai concerti, non avevano più avuto una vita in comune, se si fa eccezione per qualche settimana di ritiro spirituale in India. Già dalla registrazione degli ultimi album cominciano a definirsi diverse traiettore umane e artistiche che segneranno itinerari diversi, nuove bussole a cui affidarsi e una definizione delle personalità di quelli che per quanto in cima al mondo, erano ancora dei giovani uomini in formazione e trasformazione.

L’America

Sciolti i Beatles, John sceglie New York e Yoko Ono. Solitamente i dieci anni che trascorre negli States, sono visti come un segmento unico, ma nella realtà rappresentarono tutt’altro: saranno delle vere e proprie montagne russe, fatte di cadute e risalite. I primi anni sono quelli della piena visibilità, in cui John radicalizza le proprie posizioni politiche diventando pacifista e attivista contro le guerre e conducendo una campagna in particolare, quella contro la guerra in Vietnam: si schiera al fianco della sinistra radicale, dando voce e sostegno, anche in un suo porgramma tv, al Black Panther Party, atteggiamento e scelte, questi, che gli portano sul collo il fiato dell’FBI, ansioso di sfruttare qualsiasi cavillo per espellere dal paese “quell’inglese rompicatole” che mette al servizio dei “comunisti” la sua popolarità contro l’amministrazione Nixon.

Visto l’epilogo della vicenda, non sono pochi a sospettare che dietro quella dolorosa morte possa esserci lo zampino della Cia, tra questi anche il secondo figlio Sean. Ma gli anni Settanta di Lennon contemplano anche il cosiddetto “lost weekend”, un lungo periodo in cui si separa da Yoko e migra a Los Angeles, consegnandosi spesso e volentieri a epiche sbronze e – a notevoli quantità di stupefacenti – affiancato sentimentalmente da May Pang, pare per volere della stessa Yoko, e al bancone invece spesso e volentieri dal cantautore Harry Nilsson, e dai fidati Ringo, Mal Evans e Klaus Voorman (bassista e amico conosciuto ai tempi di Amburgo nonchè autore della copertina di Revolver), fino al folle batterista degli Who, Keith Moon.

La fine di quel periodo è segnata da una risalita sul palco, grazie all’amico Elton John che lo convince, anzi in qualche modo lo abbliga, a causa di una scommessa. Nel disco del 1974 di Lennon, Walls and Bridge, c’è un pezzo dal titolo Whatever Gets You Thru The Night, in cui Elton John è al piano e ai cori. Le sensazioni sono buone e Elton dice a John che se il brano salirà al primo posto della classifica Billboard, dovrà suonarlo dal vivo, in un suo concerto. John resta scettico sulla possibilità che ciò accada, ma sbaglia, e raggiunta la vetta (tra l’altro sarà l’ultimo singolo dell’ex beatle a farlo) Elton pretende il saldo del conto al Madison Square Garden di New York. Quella sera, di ritorno nel camerino, oltre all’affetto del pubblico, ritrova anche Yoko con cui si riappacifica, inaugurando un periodo di grosse novità e di isolamento dal mondo per 5 anni, prima di ritornare sul palcoscenico della storia in un modo grandioso e tragico allo stesso tempo. Più o meno nove mesi dopo il Madison nasce Sean, il primogenito della coppia, e il secondo per Lennon, dopo Julian, avuto in precedenza con Cinthya Powell.

In questo periodo l’unico pensiero sarà quello di crescere Sean. Nel periodo a stelle e strisce John in realtà ha sempre continuato a fare musica, a partire da quei cupi e sofferti rintocchi di campana che aprono lo splendido e viscerale album “Plastic Ono Band”, che vede nella tracklist pezzi come Mother, Working Class Hero, Isolation e God, ma continuando a regalare poi altri brani memorabili nei dischi seguenti: Mind Games, Imagine, Watching the Wheels, Power to the People, Woman, Jealous Guy, ognuno si scelga il suo, oltre all’inno Give Peace a Chance.

NEW YORK

“Con Double Fantasy mi rivolgo alla gente che è cresciuta con me e dico: eccomi qua. Voi come state? Come vanno le vostre storie? Ce l’avete fatta? Gli anni Settanta non erano uno strazio? Beh, ora siamo qui. Cerchiamo di rendere migliori gli anni Ottanta perché tocca a noi farli diventare qualcosa di importante.”

Dopo i cinque anni da casalingo, dedicatosi completamente alla crescita di Sean, è con queste parole dirette e senza fronzoli che John si rivolge alla sua generazione quella dei quarantenni, a cui dedica Double Fantasy. È un momento di grande ottimismo e serenità, e lo si avverte da tante piccole cose nella vita di John che racconta nelle lunghe e generose interviste che rilascia, in particolare quella del mese di Settembre su Playboy. Si respira aria di ripartenza, di un nuovo inizio; nei programmi c’è addirittura di rimettere in piedi una vera band per riprendere a viaggiare per il mondo.

Il 9 Ottobre in casa Lennon si festeggia un doppio compleanno, i 40 anni di John e i 5 di Sean, nato esattamente lo stesso giorno del padre. Yoko è dell’idea che quel giorno meriti qualcosa di speciale, e affitta 5 aerei che con un fumo colorato sorvolano Central park creando la scritta “Happy Birthday John & Sean – Love Yoko”. Quella iniziativa ovviamente accresce ancora di più l’aura magica di attesa intorno al ritorno alla musica del Fab Four, e così, con l’aiuto della ciurma di astrologi e numerologi al servizio dei Lennon, si sceglie anche a chi affidare interviste e soprattutto a quale etichetta consegnare le canzoni. Pare che a rispondere al volere degli astri fosse David Geffen.

Il 24 Ottobre esce in Inghilterra (Just Like) Starting Over, il singolo che anticipa l’uscita del 33 giri. Una fetta della critica lo tratta male e in generale viene accolto tiepidamente, in parte anche per la costante presenza di Yoko al suo fianco, che nella terra della corona è ancora percepita come la causa della fine dei Beatles. Tre giorni dopo, il 27, il brano è disponibile anche sul mercato americano. Finalmente il 17 di Novembre, Double Fantasy è nei negozi di dischi, e le giornate dei Lennon diventano sempre più fitte di impegni promozionali, i ritmi sono molto serrati, sembra davvero tutto così frenetico e diverso dai cinque anni passati quasi in reclusione tra pannolini e cucina macrobiotica. Ma ancora qualche giorno e tutto sarà diverso davvero, e purtroppo, per sempre.

“Sei sicuro di essere John Lennon?”

Ecco. Ora riavvolgiamo il nastro e torniamo all’inizio, della fine…
Mark David Chapman, dopo aver sparato non si è mosso di un centimetro, è rimasto lì, fermo, poggiato al muro, con il libro ancora in mano. Si fa ammanettare senza opporre resistenza. Ha portato a termine la sua folle missione, e ora è pronto per passare il resto dei suoi anni nel penitenziario di Attica. John, tra la disperazione di Yoko e i tentativi di soccorrerlo dei portinai del Dakota, tiene duro. Viene caricato in macchina, non c’è tempo per aspettare l’ambulanza. Uno dei due poliziotti provava a tenerlo sveglio:

– Come ti chiami?
– Lennon
– Sei sicuro di essere John Lennon?
– Sì, sono John Lennon
– Come ti senti?
– Sto male.

“Sto male” furono le sue ultime parole.
Le televisioni di tutto il mondo, nel giro di poche ore avevano la stessa immagine impressa: il volto di John Lennon. Le lacrime e le canzoni accomunarono invece tutti quelli che apprendevano la notizia. In Inghilterra, i “luoghi dei Beatles”, a partire da Abbey Road, furono immediatamente il punto di ritrovo di tanti che pensavano di condividere quel dolore per provare ad alleviarlo. Central Park, i dintorni del Dakota Building, e quelle strade di Manhattan, furono abbracciate da una marea umana che piangeva e cantava in una veglia funebre che andò avanti per giorni, scandita dai versi di Give Peace a Chance, che saliva in quel pezzo di cielo dove poche settimane prima aveva campeggiato quel nome fatto di fumo, prima di dissolversi. Quell’inno che John sperava che prima o poi potesse accomunare tutti, invece saliva per restare scolpito come pietra nella memoria collettiva.

Da quel momento esatto il teddy boy di Liverpool diventava un’icona contemporanea. Un’area di Central Park, sarà poi ribattezzata Strawberry Fields, e insieme al mosaico a ispirazione pompeiana “Imagine”, saranno meta di ininterrotti pellegrinaggi laici. Misha, Shasha, Charo e forse anche Salt e Pepper, continuarono a correre alla porta ogni volta che si apriva, per accogliere il loro padrone di casa, in quel maestoso edificio, che, da quel Dicembre, ormai appariva sempre più vuoto. Ci riprovavano speranzosi ogni volta ma, ogni volta, rimanevano delusi. Neanche quei piccoli gatti persiani si rassegnavano all’idea di non rivedere mai più John Lennon.