Ho conosciuto Philippe Petit, l’uomo che nel 1974 ha attraversato le Torri Gemelle camminando su un filo d’acciaio, al Festival della Mente il giorno dopo la presentazione del suo nuovo libro, “Creatività. Il crimine perfetto“. La curiosità di incontrarlo, però, era tale che mi sembrava limitativo parlare delle sue pubblicazioni. Così ci siamo fatti una chiacchierata su diversi altri argomenti.
Nella pagina successiva, l’intervista originale in inglese.
Tutta la tua vita ha ruotato intorno alla creatività e di essa si compone. Ci sono molte occasioni nelle quali creatività e logica tendono a scontrarsi e – per quanto ne so – nella maggior parte dei casi è più probabile che vinca la logica, dal momento che cercano continuamente di insegnarci che è quella la chiave per far funzionare le cose. La tua storia, però, potrebbe dimostrare che questo non è sempre vero. Hai ma sentito la pressione della logica in quel che hai fatto?
È vero, spesso logica e creatività rischiano di collidere e quando questo accade bisogna fare una scelta. Io, però, ho sempre cercato di tirarmi fuori da questa sorta di contesa. Perciò sì, come tutti sento la pressione della logica, ma nel momento in cui decido di ribellarmi al suo peso – e al peso di tutte le costrizioni che tentano di impormi – questa cessa di essere un problema per me.
Hai chiuso il tuo discorso TED lanciando un invito a volare sul mondo, guardandolo da una prospettiva diversa, e, cito, «quando vedete le montagne, ricordate: le montagne si possono spostare». Potrebbe davvero funzionare per chiunque? E se avessimo tutti quest’opportunità, come potremmo realmente essere salvati dalla creatività? C’è qualche ingrediente misterioso di cui abbiamo bisogno per utilizzare la tua formula magica?
Per quanto riguarda la prima domanda, direi assolutamente di sì. Certo, è necessario definire le montagne. Per me si è trattato, quell’unica volta nella mia vita, di mettere tra le due torri più alte del mondo un cavo d’acciaio – e di farlo illegalmente. Per qualcun altro, ad esempio, riprendere a camminare senza stampelle dopo un brutto incidente alla gamba, ecco, quella potrebbe essere una grande vittoria. Se si capisce subito quali sono i propri obiettivi e si procede per gradi, affrontando prima gli ostacoli più piccoli, allora ci si può rendere conto che davvero si possono spostare montagne enormi. E la creatività è un’invenzione umana, è respirare, è vivere, il problema sta solo nel fatto che le persone il più delle volte si dimenticano di creare. Quindi, sì, possiamo essere tutti salvati dalla creatività – anche se in questi termini suona un po’ come se parlassimo di una religione. Senza creatività non c’è vita! Sarebbe bello ricordare alle persone, partendo dai bambini nelle scuole, che è ciò che siamo e che se vogliono godersi la vita devono renderla così come la desiderano, inventando il proprio destino ogni giorno. E sì, sicuramente ci sono degli ingredienti segreti, dal momento che è molto difficile capire cosa significhi “creatività”. Eppure, per quanto sia un concetto complicato e fragile, credo che chiunque si possa accorgere facilmente se viva trascinando i piedi, con la schiena curva, o se si svegli ogni mattina con l’idea di poter fare qualunque cosa tra le più incredibili e insolite – ovviamente, per me è questo l’unico modo di vivere.
Questa è una curiosità personale. Quando sei lassù a camminare tra le nuvole e i sogni, com’è la musica? Certo, non penso che porti con te qualche aggeggio, ma immagino anche che il cielo non sia sempre così silenzioso – al di là di tutti i rumori naturali che sono intorno. Vorrei sapere se c’è qualche tipo di musica, qualche melodia che hai nelle orecchie quando cammini lassù.
È la prima volta in tutta la mia vita che mi fanno questa domanda. Beh, non sono un musicista, ma amo la musica: è il mio motore, mi spinge a fare qualsiasi cosa. Quando mi esercito sul filo, almeno tre ore al giorno, metto sempre un pot-pourri di suoni vecchi e nuovi da diverse parti del mondo. Durante le mie performance ci deve sempre, sempre essere della musica. Ci sono volte in cui addirittura dirigo io stesso dal filo. E quando non è così, ho comunque della musica in testa o – come giustamente hai detto tu – forse è nel cielo: potrebbe essere il suono del silenzio o quello della natura. In ogni caso è ciò che mi dà forza.
Non posso fare a meno di vederti come un cantastorie – l’unica cosa che ti manca forse è uno strumento che accompagni le tue parole. Credo che tu abbia immaginato più volte di arrivare un giorno ad avere un’infinità di cose da raccontare alle persone. Ti ha mai incoraggiato questo pensiero? O hai sempre vissuto solo il momento presente? E ti capita mai di sentirti come una sorta di Omero dei nostri giorni, un poeta cieco la cui cecità gli ha aperto le porte di mondi fantastici che non tutti possono vedere?
Per quanto riguarda il poter raccontare quel che facevo, beh, sì, ci ho pensato, ma non mi ha mosso direttamente. Certo, raccontare [il vero e proprio storytelling, ndr] è un’attività umana molto antica. Persino nella preistoria i nostri antenati si riunivano attorno al fuoco e mimavano le scene di caccia che avevano vissuto. Trovo che sia qualcosa di meraviglioso, perché ci permette allo stesso tempo di immaginare e sognare ed entrambe sono forme di creazione. Adoro raccontare storie, lo faccio continuamente – ho anche partecipato ad alcuni festival a cui venivano persone da tutto il mondo solo per condividere i propri racconti. È un’importante necessità umana, solo che spesso ce ne si dimentica. E rispetto alla cecità, in un certo senso ne ho fatto qualcosa di utile. Ovviamente, non auguro a nessuno di perdere uno dei propri sensi, ma alterarli può diventare un esercizio molto utile. Quando ci si priva momentaneamente di uno di essi, come la vista, tutti gli altri si rafforzano al punto da poter coprire l’assenza. Fare questo esercizio pratico mi ha portato a quella cecità in senso lato che, sì, mi guida attraverso esperienze che altrimenti non potrei avere.
Uno degli elementi principali delle tue creazioni è la precisione. Hai sempre dichiarato di prestare la massima attenzione ad ogni dettaglio durante le tue missioni. Quando hai attraversato le Torri Gemelle non c’è stato un solo elemento che avessi dimenticato di studiare – persino come erano vestiti gli operai che lavoravano lì. Quanto è importante nella vita non approssimare e sapere esattamente in quale direzione soffierà il vento?
In realtà, in quella notte al World Trade Center non ero pronto a tutto, ci sono state una marea di sorprese, veri e propri miracoli. È vero che la gente spesso mi ritiene un maniaco dei dettagli, ma d’altra parte se prima di salire su quel filo non avessi calcolato ogni cosa, sarei stato un pazzo – c’era la mia vita in ballo! Allo stesso tempo però, generalmente parlando, penso di essere una persona di estremi: amo e odio, faccio questo e poi il suo opposto, e ho sempre trovato molto affascinante l’equilibrio tra gli estremi. Così, oltre ad essere incredibilmente preciso, sono del tutto aperto a quanto mi si presenta, che siano coincidenze, incidenti, opportunità – cosa che per me si traduce nell’improvvisare e seguire il mio istinto, altro importantissimo motore creativo. Credo che seguire ciò che si sente sia sempre la cosa migliore, perché di solito è là che si trovano molta forza e verità. E nel farlo, non potrei dimenticare di ascoltare il vento e prestargli la massima attenzione – sarebbe ridicolo se non lo ascoltassi, dal momento che cammino nel cielo. Quindi contengo in me insieme la cura per i dettagli e la completa apertura al non programmato. In questo senso mi contraddico e sono felicissimo di farlo.
Parlando ancora di quando hai attraversato le Torri, si è detto che il tuo gesto non ha portato solo un sacco di attenzione, ma anche un vero e proprio affetto nei confronti di edifici che fino a quel momento non erano stati esattamente apprezzati. Si può dire che tu abbia dato bellezza a qualcosa che non era veramente bello. Ti senti mai così, quando giocoli o cammini sul filo, come fossi una sorta di Mida che trasforma le cose in oro?
Il confronto non è proprio esatto. Se provassi la stessa cosa mentre giocolo, significherebbe che le persone in realtà odiano la giocoleria e potrebbero cambiare idea solo dopo avermi visto farlo, ma non è così. Per quello che riguarda le Torri, invece, mi sono davvero sorpreso realizzando di averle rese umane semplicemente camminandoci in mezzo. E sentirsi dire da critici d’arte, politici e persone per la strada «sai, non è che ci importasse un granché delle Torri prima, ora invece le adoriamo» è stato meraviglioso. Quello che mi tocca veramente è quando vedo le persone che si lasciano ispirare – ed è molto di più di un gesto d’amore – come quando un bambino ti guarda mentre giochi con le palline e dice «oh come vorrei saperlo fare», perché è così che si sente vedendoti. Mi succede lo stesso sul filo. La mia storia è già diversa da quella di altre persone che camminano sul filo, perché io non sono cresciuto in un circo e ho imparato tutto da solo. Così è ancora più soddisfacente quando le persone invece di dirmi «ah, bello, sei bravo» mi dicono «mi hai fatto sorridere, c’è stato qualcosa in quello che ho visto che mi ha fatto sentire benissimo». Li ho ispirati. Credo che per un artista sia un gran bel complimento, migliore di qualsiasi altro. Quindi sì, cerco di portare bellezza, ma non una bellezza che esista per essere contemplata e basta. Quel tipo di bellezza che deve muovere qualcosa, ispirare, essere una chiave che metta in moto un meccanismo. Essere ispirati significa voler fare qualcosa o essere già sul punto di farlo ed è forse un’altra delle infinite definizioni della creatività.