Pensateci un momento.
E’ vero, siamo solo agli albori degli anni duemila, eppure non commettiamo un errore madornale a riferirci a questa come “una delle (non) collaborazioni più inedita del secolo”.
“Chi cazzo sono i Franz Ferdinand?”, si chiederanno i fan degli Sparks nati ben prima degli anni ’80.
“Chi cazzo sono gli Sparks?”, si chiederanno i fan dei Franz Ferdinand, nati tra gli ’80 e i ’90?
“Ma soprattutto, chi cazzo sono i FFS?”, si chiederà il vostro amico con ben poca dimestichezza per quanto riguarda il panorama indie rock contemporaneo.
Ai primi risponderemo che i Franz Ferdinand hanno avuto il merito di riportare in classifica le chitarre elettriche e l’alt rock in generale durante gli anni ’00 con un mezzo capolavoro (il loro omonimo disco d’esordio, del 2004) e un paio di dischi memorabili (You Could Have It So Much Better, del 2005 e Tonight: Franz Ferdinand, del 2009, tutti usciti per la Domino). Ai secondi risponderemo che gli Sparks sono un duo di fratelli losangelini che, emigrati in Inghilterra, diventarono eclettici esponenti del glam e prog rock, pur rimanendo felicemente outsider per entrambi i generi. Ai terzi, risponderemo con questa recensione.
Le strade di queste due band si incrociano più di 10 anni fa quando Alex Kapranos, leader dei FF, rimane elettrizzato dal 45 giri di Amateur Hour, singolo spaccaclassifiche del 1974 degli Sparks e, contestualmente, i fratelli Mael dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, sono colpiti in pieno da Take Me Out, la canzone che fece schizzare i Franz Ferdinand in cima alle classifiche di mezzo mondo nel 2004.
Registrato per la Domino a Londra in sole due settimane, FFS risulta essere ben più della somma delle singole parti: entrambi i gruppi riarrangiano i propri stilemi per suonare un disco diverso da tutto ciò che, legittimamente, ci si potrebbe aspettare da questa collaborazione, i cui presupposti sono da ricercare non tanto nelle affinità musicali, quanto nell’approccio ostinatamente ironico col quale questi due gruppi hanno sempre scritto e suonato i propri dischi. Nessuno dei due gruppi suona nel modo in cui hanno abituato i propri fan, quindi nessuno dei due prepondera sull’altro: il risultato sono 12 pezzi art-rock dal piglio più o meno danzereccio (fatta eccezione per la spledida ballata Little Guy from the Suburbs e l’improvvisazione ai limiti del jazz Collaboration Don’t Work), incredibilmente orecchiabili e difficilissimi da smettere di canticchiare.
Per entrambe le formazioni, questo lavoro è una manna dal cielo: i Franz Ferdinand ci riportano ai fasti dei primi dischi e gli Sparks ritornano prepotentemente nel panorama rock.
Uno dei dischi migliori dell’anno, partorito da una delle (non) collaborazioni meno prevedibili di sempre.