Leggevo, tempo fa, che Voltaire non avrebbe mai detto Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo. Adesso, che sia stato il suo panettiere di fiducia o Evelyn Hall ad attribuirgli erroneamente questo scoppiettante aforisma ad effetto, poco ci importa. Oltre a costituire un’agile alternativa al meno diplomatico Ma che cazzo dici?, infatti, il breve inciso di Chicchessia racchiude splendidamente il mio sguardo sull’ultimo film di Clint Eastwood. Che paraculata, iniziare un articolo in modo così oscuro. E attingendo dal pozzo dei vari blogspot che vomitano citazioni random, per giunta. Ma quel che è fatto è fatto, e ciò che è scritto è scritto. Vado avanti e mi dolgo per aver profanato la coscienza dei più.
Clint Eastwood si sbilancia spesso. Non è Lars Von Trieer, ma si sbilancia spesso. Non si tratta di semplice arte provocatoria. Scorgo un sentimento autentico nelle sue dichiarazioni, qualcosa di diverso, per capirci. Puntualmente mi stizzisco, ma per lo meno non colgo la posa. Nei suoi film, è come se la faziosità dei particolari derivasse dal fattore Eastwood, un vero e proprio catalizzatore da palco scenico. Mi spiego meglio: se alcune delle sue pellicole fossero state, per assurdo, dirette da qualcun altro, la stampa avrebbe inneggiato all’interpretazione polisensa, a una ambivalenza in grado di descrivere e connotare, in positivo o in negativo, il suo eroe americano. E questo è ciò che ho letto negli ultimi giorni. In molti hanno spinto su questa forzatura, descrivendo il film come un’opera in grado di esaltare l’assurdità della guerra, il PTSD come metafora del senso di colpa e così via. Io, nell’occhio di Eastwood, vedo tutto tranne che questo. La guerra in Iraq ci viene proposta come una ancestrale (e paranoica) forma di autodifesa.
Penso che lo stesso Eastwood, come tanti sostenitori della destra repubblicana, debba convivere con tanti dubbi, con tanti demoni. È come se il film urlasse un mantra giustificatorio. È come se ripetesse che tutto ciò era necessario, ma contemporaneamente si interrogasse sull’eticità dell’azione.
I due ritratti della violenza
Il film ci consegna due immagini del conflitto armato:
-Quella del tiratore scelto appollaiato sul tetto più alto del circondario, che offre uno sguardo sulla città in sostituzione a quello del muezzin, un intervento occidentalizzante freddo e chirurgico, dovuto e legittimo, dove la metodicità è sia mezzo che fine, come in un’attività ludica.
-Quella della battaglia cieca durante la tempesta di sabbia: uno scontro al buio, senza bandiere, che smaschera una visuale nuova, caotica, goffa e caricaturale.
Personalmente, tenderei ad associare alla nostra storia la seconda prospettiva. Vuoi perché si sposa perfettamente con l’instabilità dei personaggi, che marciano bendati per tutto il corso del film, vuoi perché l’impatto visivo della scena è favoloso.
Insomma: un film sulla responsabilità, sulla predestinazione. L’esaurimento nervoso non deriverebbe tanto dalle cento e passa uccisioni, quanto dalla consapevolezza di non aver tratto in salvo i due SEALS, morti per mano del famigerato Mustafa (fantasia rapiscimi).
D’altronde il nostro protagonista è un personaggio anomalo, che svela la fragilità di un regista più vulnerabile del solito. Chris Kyle è tutto tranne che un superuomo. Non si bea del record di uccisioni, rifiuta il cameratismo e vive un logorante conflitto interiore.
Quando guardi le spalle a tutti, però, finisce che a te non le guarda nessuno. E sarà proprio questa sua missione di solidarietà a farlo fuori.
[ATTENZIONE: SPOILER]
Nel finale spazio per le riprese originali dei funerali di Kyle (mano sul petto incollata col bostik). La scena del poligono di tiro, invece, ci viene raccontata in poche parole bianche su sfondo nero. E questo è un bel tocco di classe.
[FINE SPOILER]
Occhio al personaggio: piccoli Bazin crescono
Ovviamente, per quanto narrativamente limpido, il film rimane molto complesso. Probabilmente neanche Clint ha capito bene cosa ha combinato. Figuriamoci Belpietro.
Per chiudere il cerchio e riapprodare al pensiero iniziale, azzarderei che American Sniper è lo specchio della fragilità di un vecchio repubblicano, e proprio per questo dovrebbe incuriosire anche i democratici più compassati.
Tra critica e botteghino, Clint Eastwood si sentirà comunque allegro. Dopotutto, ha pur sempre un raggio di sole nella borsa.