Nello scrivere le sue leggi, probabilmente la natura non aveva considerato che alle circa due settimane necessarie per un processo di metamorfosi ci sarebbero state delle significative eccezioni. Ma il bruco Anthony Hegarty era già dotato di tale smisurato talento che gli son serviti ben sei anni di bozzolo – l’ultimo lavoro, Swanlights, è del 2010 – per evolversi nella farfalla ANOHNI, creatura tinta di inedite sfumature.
Nuova identità, dunque, tutta al femminile. Ma soprattutto nuova musica, cambiamento che però non giunge inaspettato: già al momento dell’annuncio di Hopelessness, più di un anno fa, la stessa cantante aveva parlato di “disco elettronico con qualche dente affilato” e la co-produzione firmata da Hudson Mohawke e da quel guru del synth di Oneothrix Point Never suonavano come garanzia certa del genere.
La marcata impronta elettronica del nuovo lavoro da solista è difatti piuttosto netta e ad una prima impressione può apparire come una brusca virata rispetto al chamber-pop targato Anthony and the Johnsons. Tuttavia quella voce ultraterrena, la stessa in grado di incantare in passato la scena newyorkese ed artisti del calibro di Lou Reed, è ancora adesso il filo rosso che non rinnega il passato, ma anzi lo esalta dando fluidità spontanea ad una creazione che si è semplicemente spostata di piano, accedendo ad un livello superiore.
Hopelessness è una raccolta di undici inni densi di significati e grondanti denuncia, che spaziano da quella sociale a quella politica, passando per quella ambientale. I testi emanano una carica emotiva travolgente, che trova il proprio fulcro nella rabbia. In una recente intervista a Pitchfork, ANOHNI infatti spiega che “la rabbia è un posto veramente bello in cui ballare” e che “le espressioni di rabbia sublimate in un qualcosa di bello sono tonificanti, soprattutto se senti che stai dicendo la verità”.
Il dittico iniziale formato da Drone Bomb Me e 4 Degrees (i due singoli estratti dall’album) colpisce subito con forza. Il primo è il punto di vista di una ragazza afghana che dialoga con un drone come fosse il suo amante, implorandolo di annientarla, distruggerla per potersi ricongiungere nella morte alla sua famiglia; nella seconda si parla il linguaggio dell’allarme ecologico per il surriscaldamento del pianeta, immersi in un panorama apocalittico composto da batterie martellanti e synth che sembrano sirene.
In Obama, ANOHNI elenca con dolore i modi in cui il presidente ha deluso coloro che credevano avrebbe cambiato le cose. La voce qui, da gorgheggiante e modulata, diventa monotòna, mentre recita un mantra sopra una palude di suoni distorti tanto cari a OPN in Garden of Delete. Uno dei pezzi più puri ed accessibili è certamente Why did you separate me from the Earth? costruito su un crescendo di accordi elettronici scintillanti; tuttavia la speranza di ascesa suggerita dall’incedere musicale risulta essere illusoria, non un uccello libero di volare bensì un “gruppo di colombe adagiate sulla neve bollente”. Crisis è una sfilata di colpevoli atrocità, compresa una menzione alle torture a Guantanamo e l’onnipresente spettro di droni volanti, con la voce di ANOHNI che nel finale si rompe in un diluvio di scuse.
Se ci si fermasse alla sola potente dichiarazione politica di cui è intriso, Hopelessness arriverebbe già molto forte, in particolare in un periodo in cui la musica ha perlopiù rinunciato ad essere strumento di critica. Ma il fatto che questo accada all’interno di una cornice musicale così abile nel coniugare l’intensità della materia a quel glorioso strumento che è la voce di ANOHNI – senza sopraffarla -, sublima il contenuto ideologico raddoppiandone l’impatto. E, anche se le ali di questa farfalla sono così pesanti nel tentativo di librarsi in aria, il valore indiscutibile di questo album ci dice quanto, dopotutto, la speranza ci sia ancora.