Voto: 7/10
Che il sound della band newyorkese si fosse completamente rivoluzionato era cosa ben nota a tutti, visto che i due precedenti album segnavano un significativo passaggio dal noise corrosivo degli esordi a una più fine canzone d’autore e a un sofisticato dream-pop. Se prima a farla da padrone erano le chitarre distorte, ora spessi strati di synth hanno preso il sopravvento, trasformando l’ultimo album dei Blonde Redhead in un punto di arrivo (o di partenza?), punto a cui tendevano quei “Misery is a butterfly” e “23” che avevano comunque un po’ l’aria di dischi di transizione.
Si potrebbe stare ore a polemizzare sul fatto che secondo alcuni i Blonde non sono più i Blonde, che è facile cambiare musica a un certo punto della propria carriera e giù a motivare le scelte con il fatto che l’età fa passare la voglia di distorcere le chitarre e mette a tutti quella di cullarsi dietro soluzioni sintetiche ed elettroniche, quasi più riflessive. Ma, motivazioni a parte, questo Penny Sparkle risulta un lavoro pieno di fascino, molto curato nella forma, intriso di atmosfere nordiche, come a richiamare le due città in cui è stato registrato (New York e Stoccolma).
Diciamocelo subito: questo non è un disco immediato, quindi se avete intenzione di sprecare giusto un’ora della vostra esistenza per confrontarvi con questo album per poi lapidarlo con gli amici al bar, lasciate stare. Impiegate il vostro tempo in qualcosa di meglio.
L’apertura molto facile concessa al singolo “Here Sometimes” mette l’ascoltatore a proprio agio, guidandolo per mano nel passaggio dalle vecchie alle nuove sonorità. L’atmosfera è scura, fumosa, quasi da night club. Le evoluzioni vocali di Kazu disegnano melodie malinconiche e sofisticate, dipingendo quadri eterei, impalpabili, mentre la mano dei due gemelli Pace si sente eccome, c’è tutto il loro gusto negli arrangiamenti di questo ottavo album, dalle ritmiche sempre ben curate ai conturbanti arpeggi di chitarra. Lasciatevi ipnotizzare dal “boing” iniziale della bellissima e ammaliante “Love or prison” o imprigionare dalla nervosa gabbia sonora di “Oslo”: non vorrete più uscirne. Sembra proprio che questi nuovi Blonde Redhead si sposino da un lato con le sperimentazioni radioheadiane degli ultimi album (“Will be there stars” ne è un esempio) e dall’altro con il Bristol sound, visto che le basi elettroniche trasudano trip-hop e l’accostamento ai Portishead risulta immediato.
L’autentica gemma del disco risulta “Black Guitar”, con l’apertura affidata alla voce di Amedeo Pace su un tappeto di synth che si apre poi in un rotondo e ossessivo arpeggio di chitarra che ricama, insieme alla voce di Kazu, una melodia evocativa e sognante.
Da ascoltare. Assolutamente.
Brani significativi: Here Sometimes, Love or prison, Oslo, Black guitar
Se ti piace prova anche: Radiohead, Portishead, My Bloody Valentine
vado ad assolutamente ascoltarlo
vai vai, in questo spazio la discussione musicale è libera, quindi spero di raccogliere il maggior numero di opinioni possibili in merito alle recensioni. Fammi sapere che ne pensi.
Sal’