a cura di Federica Guglietta
Meglio accettare il fatto di avere un padre assente che uno violento. Di questo si convincerà, negli anni, la protagonista di Meglio l’assenza di Edurne Portela, un romanzo che inizia proprio come un giallo e prosegue in un vortice arrabbiato e pieno di vita tra romanzo di formazione e memoir. Così Edurne Portela, scrittrice, docente, filologa e saggista di origine basca, sceglie di raccontarci com’era vivere nei Paesi Baschi a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta tra terrorismo, lotta armata, spaccio di eroina, disoccupazione e disastri ecologici. Si tratta del titolo che Edizioni Lindau ha scelto come terza pubblicazione per Contemporanea, sua nuova collana interamente dedicata ad autori stranieri di grande successo all’estero, ma ancora sconosciuti in Italia.
Meglio l’assenza è la storia della piccola Amaia e della famiglia Gorostiaga. La narrazione ha inizio quando Amaia ha solo cinque anni e cerca di spiegare a sé stessa e a Buni, l’amato coniglietto di pezza che porta sempre con sé, cos’è che succede tra le quattro mura di casa sua e fuori. Suo è il punto di vista, suo il racconto prima schiettamente restituito ad altezza di bambino e poi plasmato a furore d’adolescente, che Edurne Portela struttura in una prima parte sotto forma di diario per gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza (1979-1992) e successivamente in una seconda e ultima parte, meno lineare cronologicamente a causa dei tanti salti temporali che rendono chiaro al lettore il fattore dell’assenza in un periodo che vede Amaia ormai adulta e in cui il tempo della storia è fissato fino al 2009.
Non preoccuparti, Amayita. In questa casa ognuno sopravvive come può.
Per tutti è Amayita, Amaia, all’anagrafe Miren Amaia per scelta del suo papà (il suo aita), subito ribattezzata María dalla suora della scuola cattolica che frequenta, ed è la più piccola di quattro fratelli in una famiglia di sei in cui il capofamiglia sparisce spesso e volentieri per non si sa dove e per questo motivo ama, la sua mamma, è sempre molto sola e triste, si trascura e si barcamena tra il letto e il divano, dormendo per non pensare ai guai e trovando rifugio solo negli alcolici.
Ama ha ragione. Dovrebbe esserci lui là dentro, non mio fratello. Dovrebbe succedergli quello che dice ama. Ci lasci in pace. E crepi.
Per i quattro fratelli Gorostiaga la vita non è affatto semplice e ognuno di loro cerca di scamparla come può: il fratello maggiore, Aníbal, trova sollievo e fine nell’eroina; Kepa partecipa alla lotta armata, Aitor si butta a capofitto nello studio e Amaia si lascia travolgere da un’adolescenza vissuta senza freni tra primi contatti con l’altro sesso e sbronze. Tutto pur di non pensare a loro padre, Amadeo, l’aita ormai lontano di cui sembra impossibile comprendere le scelte e la violenza che ne ha sempre regolato i gesti.
Cosa si aspettava? Non appena cominciamo a parlare del passato vengono fuori tutti i fantasmi. Credeva che potessimo avere un rapporto normale?
In questo turbine di presenza e assenza, detto e non detto, presente e passato, Amaia adolescente cercherà di recuperare i rapporti con quel padre che ha letteralmente abbandonato la propria famiglia per chiudersi nella vita agiata e segretissima di una villetta sul mare. Costruire un rapporto dal nulla, continuando a sbattere contro quella porta chiusa che era l’assenza pesante di suo padre, le sembra impossibile e le lascerà profonde ferite e cicatrici che Amaia porterà dentro di sé anche nella sua vita da adulta, quando si affiderà al potere catartico della scrittura per tentare di rimettere insieme i cocci.
Fedele a uno stile che restituisce parola per parola le paure e i dubbi di una bambina che crescere potendo contare solo sulle sue forze, un andamento mimetico e altamente votato alla profondità emotiva anche quando il mondo fuori propone solo un inesorabile vuoto, Edurne Portela ci regala un romanzo travolgente, schietto e che riesce a raccontare al la solitudine che abbraccia la sua protagonista. Perché delle volte è sempre Meglio l’assenza.