Doveva fargli molto male, quell’impossibilità di comunicare con chi gli stava accanto, e proprio per quello probabilmente ne capiva più di tutti l’importanza. A quanto ci raccontano, David Foster Wallace non era un gran chiacchierone, parlava sì, di letteratura e di altre cose, ma quasi mai di se stesso. Più che per una questione di umiltà, per una impossibilità di scoprirsi. Un silenzio costretto più che volontario, un muro contro cui sbattere ogni giorno, fino all’ultimo, mentre la civiltà si auto convinceva del proprio post modernismo. Per tanti, come lui, c’è bisogno di un filtro capace di purificare quello che una bocca non può esprimere senza stravolgerne il contenuto. La scrittura è riflessione, una complicata e profonda analisi su quale sia il modo migliore per esprimere un sentimento o un concetto. A volte può essere una richiesta d’aiuto, molto più spesso è una vigile testimonianza dell’individuo che soffre il tempo che si trova a dover vivere. Far parlare gli Uomini schifosi, allora, è un modo per raccontare quelle vite che senza dialogo non esisterebbero e rimarrebbero nascoste, perché stravolte dalle descrizioni personali e dal senso di colpevolezza, da una o dall’altra parte. Non c’è solo l’immedesimazione su quale possa essere l’accento della persona depressa o quale sia il tono di chi costringe alla sottomissione le partners per provare qualcosa. È una ricerca sull’importanza che la parola ricopre nella difficile comprensione delle realtà personali e dei rapporti con gli altri, ma anche un campanello d’allarme su quello che stavamo perdendo.
L’assenza delle domande è quello che non esiste più, non ci importerebbero, perché le confessioni sono fondamentalmente egoistiche. Bisognerebbe considerare le storie degli uomini schifosi come un ultimo stadio a cui il parlarsi è arrivato. L’annuncio per una stanza vuota a cui è arrivato soltanto ciò che la risacca della società ha lasciato dietro di sé. Le persone normali non si parlano quasi mai, non hanno bisogno di farlo in questo modo, spesso non hanno nemmeno tanto da raccontare. Gli altri invece sì. Il segreto peggiore che esce da quel lato oscuro in cui le persone non sono più persone ma diventano cose, perché non si sente più il bisogno di parlarsi:
Di vederti come una cosa, sono capaci di vederti come una cosa. Lo sai che vuol dire? È spaventoso, noi sappiamo quant’è spaventosa come idea, e che è sbagliato, e ci crediamo di sapere tutte queste cose sui diritti umani e la dignità umana e quant’è terribile privare qualcuno della propria umanità di quella che noi chiamiamo umanità di qualcuno, ma metti che succede a te, allora sì che lo sai per davvero. Adesso non è più solo un’idea o una causa da reazioni stereotipate. Aspetta che succeda a te e allora sì che assapori il Lato Oscuro. Non l’idea di oscurità, l’autentico Lato Oscuro. E adesso ne conosci il potere. Il potere assoluto. Perché se sei davvero capace di vedere un altro soltanto come una cosa allora sei capace di fargli qualsiasi cosa, non si accettano più scommesse, umanità e dignità e diritti e correttezza…non si accettano più scommesse. (Brevi interviste con uomini schifosi, D.F. Wallace, p. 126)
Non c’è solo questo, ovviamente, dietro ai suoi uomini schifosi, c’è una società che si riflette su se stessa, in cui i segreti più profondi non si possono più contenere ma non c’è nessuno ad ascoltare. Farsi lasciare, per B.I. n.2, di cui non conosceremo mai il nome, ma che facilmente potremo ricondurre a tante persone che prima o poi si incontrano, è il modo più completo per sapere che qualcosa è capitato. Dalla fine il tutto, in cui l’addio segna e sancisce la definitiva esistenza di un rapporto. Ma è anche la vittoria simbolica delle parole sulle azioni. Non è mai un tradimento a porre fine a una storia, ogni contratto si chiude con una discussione. In questo modo tutti i comportamenti degli uomini schifosi hanno profondamente bisogno del confronto perché la loro vita abbia una minima efficacia. Ed è quello su cui bisogna concentrarsi di più. La perdita della nostra parola ci priva di quello che siamo, e del fatto stesso di essere. Forse è quello che ci sta capitando che Foster Wallace voleva, probabilmente, segnalarci. Le storie degli uomini schifosi non sono confessioni delle loro azioni, ma del modo malato, e della carica di piacere, che deriva dalla loro comunicazione. La persona depressa ha bisogno di parlare della sua depressione per sentirla, il monco senza descrivere il suo modo di sedurre le donne non può raggiungere il suo agognato tentativo di sentirsi umano. Ma è una lezione che non siamo stati in grado di accettare. Quello che la modernità vive oggi, nella letteratura e nelle esperienze quotidiane, è l’esatto opposto. La parola subisce l’agonia della necessità del fare qualcosa, e del mostrare come questa ci dia importanza. Non ci si stupisce più, quindi, se gli unici a potersi raccontare siano gli uomini schifosi, che per quell’atto soffrono più o meno consapevolmente. Il silenzio è smarrimento, è il luogo in cui si infilano tutte le paure. È lo scontro con le grandi città, la cui soluzione non è un fiume in piena di parole e nemmeno il suono del traffico. Lo è un rapportarsi diverso, intimo e spietato e che abbiamo paura faccia uscire quel lato che ognuno sente sporco. Quello che non troviamo più, quello che non ci permette più di trovare espressioni adeguate per descriverci o per sapere, soltanto, dove si è. Quello che si è perso, per una distrazione minima, quella di quando abbiamo smesso di parlarci. Le parole non sono scomparse, e nemmeno il raccontarci le cose, ma non è più certo che le nostre conversazioni non siano effettivamente diventate quelle fra uomini schifosi solo per il fatto di esserci dimenticati di come si stava bene.
Si credono generosi a letto. No, la fregatura è che hanno l’egoismo di essere generosi. Non sono meglio del porco, sono solo più subdoli. (Brevi interviste con uomini schifosi, p. 35)