All’Handmade Festival di Guastalla ci sentiamo come a casa, e non è soltanto per il sangue che ci scorre nelle vene. In questi dieci anni, da quel piccolo concerto nel garage, è diventato qualcosa di vicino a una grande reunion di famiglia, piena di invitati che non conosci, i nuovi mariti delle cugine lontane e parenti che non pensavi di avere. Si tratta di un modo diverso di vivere un festival, una versione slow che ti spinge a scoprire, senza tensioni, e magari appassionarti a quello che non avresti mai pensato. Amicizie, più che sconosciuti da evitare o da guardare con sospetto. Una lezione su come la musica serva per dare un senso ai legami e a come sia più bello farlo quando si è nella propria dimensione.
Quest’edizione si è arricchita di un palco, il quarto, e di una verve molto più indirizzata verso tutte le colorazioni possibili dello psych, dal martello cileno dei Föllakzoid, alle modulazioni di Chris Cohen, le evoluzioni dub dei Rainbow Island e le dissonanze di Stromboli, senza tralasciare la componente più folk di Califone, in un live semplicemente poetico, i 60’s e i 70’s ricalibrati dei Triptides fino alla disobbedienza dei Movie Star Junkies. Si mescola tutto insieme, e lo fa con estrema naturalezza, perché questa è la formula vincente dell’Handmade, essere se stessi senza paura e farsi volere bene proprio per questo.
Parole di Francesco Pattacini
Foto di Alise Blandini