Il pleuvait des oiseaux (in italiano Piovevano uccelli) è un romanzo della giornalista e scrittrice canadese Jocelyne Saucier. Pubblicato in Canada dieci anni fa, è arrivato per la prima volta in Italia grazie a Gremese Editore nel 2013 ed è stato poi ripubblicato quest’anno da Iperborea (nella traduzione dal francese di Luciana Cisbani) per la collana Gli Iperborei, segnando così l’approdo della casa editrice indipendente specializzata in letteratura nordica a… un altro nord.
Jocelyne Saucier sceglie di raccontare, con una delicatezza che appartiene decisamente a pochi, la storia di tre persone: i tre ottantenni Charlie, Tom e Boychuck che, a questo punto della loro vita, decidono di ritirarsi dal mondo di vivere in questo bosco nell’Ontario settentrionale. In questa decisione alberga un certo spirito di indipendenza e di libertà poiché ognuno di loro riesce a preservare i propri spazi, ma anche di comunità, dato che i tre signori anziani non sono da soli. Intorno a loro si sviluppa una piccola comunità, composta essenzialmente da altre due persone, Steve e Bruno, molto più giovani di loro e che rappresentano quindi anche il solo anello di congiunzione con la vita al di fuori del bosco.
Una scelta che fa i conti con la consapevolezza di aver già vissuto gran parte della propria vita e che rende la morte un evento vicino, ma addomesticabile, che non fa mai paura. Charlie, Tom e Boychuck sono letteralmente tre eremiti dei boschi, figure che esistono ancora oggi nel nord del Canada. La stessa Saucier, pur non avendo abbracciato un cambiamento di vita così radicale, è parte anche lei di una comunità in mezzo ai boschi del Québec, a settecento chilometri a nord di Montreal. Le storie che Saucier ci racconta, sono reali, per più di una ragione. E la morte è sempre più presente di un pensiero laterale.
Della morte loro parlavano come si parla del più e del meno, alla fine ho dovuto abituarmici.
«Bella giornata.»
«Eh sì, bella giornata per morire».
Il fulcro del romanzo ha a che fare con la scomparsa, con questi tre ottantenni che, ognuno per le proprie ragioni, decidono di ritirarsi dal mondo. Non è più affar mio, io ho già dato, me ne vado a vivere nei boschi e chi s’è visto s’è visto – a una prima occhiata sembra proprio questo il loro messaggio per chi legge. Appaiono scorbutici, distanti, restii alle interazioni umane, abbastanza tutt’uno col bosco che li circonda. Ricevono visite di cui farebbero volentieri a meno o di cui non sono particolarmente orgogliosi (c’era stata una visitatrice, una fotografa, aveva fatto delle domande), ma a un certo punto si manifesta un’epifania capace di sbaragliare tutte le loro certezze, specie quelle di Charlie. Nel bosco arriva una donna, una vecchietta come loro tre eppure tanto diversa. Si chiama Marie-Desneige, è la zia di Bruno (è stato lui a scegliere di portarla nel bosco, per salvarla, per darle quello spiraglio di vita che non ha mai avuto) e ha passato buona parte della vita in un ospedale psichiatrico al 999 di Queen Street West. Proprio da questo momento la narrazione, che già poteva sembrare tenera, diventa commovente. Sarà anche perché, come la fotografa può essere considerata un alter ego di Saucier giornalista, il personaggio della nuova arrivata prende ispirazione da una zia paterna di Saucier stessa, una donna che ha avuto un’esperienza traumatica simile. A questa zia è, infatti, dedicato il romanzo.
Al tema della vecchiaia vissuta come un’età libera e felice, si aggiunge quello della malattia mentale e dello stigma che ne deriva. Marie-Desneige ha bisogno di riappropriarsi della propria esistenza, anzi: ha bisogno di nascere di nuovo, perché quella di prima non era vita. Insieme al suo arrivo, si fa avanti anche un mistero legato alla storia di Boychuck e ai Grandi Incendi del 1916, evento storico che fa da cornice al romanzo.
Piovevano uccelli di Jocelyne Saucier è senza dubbio una di quelle letture da cui ci si aspetta qualcosa che magari poi si rivela piacevolmente tutt’altro, e questo tutt’altro ha anche il piacere di arricchire chi legge dal punto di vista emotivo e umano. Un nuovo sguardo a un’età, la vecchiaia, che spesso viene giudicata diversamente.