Prima che morisse sua madre era irritabile. Prima che sua madre morisse era. Ricominciamo. Prima che sua madre morisse lei, sua madre, era irritabile. Ricominciamo. Prima che sua madre morisse, lei, sua madre, irritava lei, Felicia.
Inizia così “Riproduzione”, l’esordio nel romanzo del poeta e scrittore canadese Ian Williams, vincitore del Giller Prize 2019, giunto in Italia grazie a Keller Editore nella traduzione di Elvira Grassi. Williams, originario di Trinidad, è cresciuto a Brampton, in Canada, nella regione dell’Ontario e vicino a Toronto, e durante i suoi ringraziamenti al momento della vittoria, in una serata di gala come se ne vedevano tante in epoca pre covid, senza mascherine e distanziamenti, ringrazia con trasporto l’icona assoluta della letteratura canadese, e mondiale, Margaret Atwood. In una intervista successiva Williams ha aggiunto che il primo libro che ha acquistato con i propri soldi è stato proprio “The circle game”, raccolta di poesie di Atwood. Dalla punta di diamante non si prescinde, ma esiste un’intera letteratura canadese moderna che fortunatamente arriva in Italia e dimostra cosa è possibile fare con le parole.
In “Riproduzione” siamo proprio a Brampton e il romanzo si apre, in pieni anni ’70, nel reparto di cure palliative dell’ospedale locale, in cui la madre di Felicia e quella di Edgar, vicine di letto, stanno morendo. Felicia ha diciannove anni, proviene da un’isola caraibica non meglio precisata, il resto della sua famiglia non può entrare in Canada per mancanza di visti e lei rimane sola a vedere la madre morire. Quella di Felicia è una storia di immigrazione, di ghetti culturali e di sopravvivenza agli albori di una generazione vigorosa di “Black Canadians” di cui lo stesso Williams fa parte. Edgar, invece, è bianco, privilegiato, ha più di trent’anni ed è il rampollo di una ricca famiglia tedesca. Viziato, immaturo, e privo dell’intelligenza emotiva necessaria per intrecciare relazioni e gestirle senza rovinare tutto.
Se due persone che procedono in linea retta si incontrano in una stanza di ospedale, è un vertice o una intersezione? Perché due linee non possono essere amiche né dare vita a una forma di qualche tipo?
Edgar e Felicia si avvicinano, si sostengono, e si amano per un tempo breve e confuso, in cui lei fa in tempo a lasciare la scuola per accudire la madre di Edgar, e poi a concepire un figlio con lui, che chiamerà, ironia della sorte, Armistizio, detto Army. I loro rapporti si inaspriscono fino a una rottura improvvisa durante la gravidanza, ma Edgar tornerà nella vita di Army molti anni più tardi, privo, di nuovo, degli strumenti emotivi per essere padre davvero.
Il martedì Felicia si persuase che il ritardo fosse solo di una settimana, non già di una settimana. Il mercoledì, si fece la doccia sfregandosi vigorosamente la pelle, nella speranza di ferirsi. Il giovedì, scoperchiò una complicata relazione biologica tra dolore, maternità e gravidanza. Perché queste cose nessuno le spiegava alle donne?
La vita di Felicia scivola così, in un romanzo profondamente maschile che prova a raccontarla prima nell’innamoramento fugace, poi nella maternità e in mezzo, nell’accudimento, caratteristica per la quale sembra più portata, intenta com’è ad arginare i colpi di testa di Army, i ripensamenti di Edgar e la rigidità del padrone della sua casa, Oliver. Ma Felicia è una donna a cui l’autore regala capacità di sopravvivenza, testardaggine e una fede cieca a cui si affida con trasporto. Ma tutto questo non basta a farla spiccare in un romanzo che seguirà piuttosto l’evoluzione della sua famiglia atipica e sbilenca di cui Army è il centro assoluto, per casualità, ma anche per un particolare spessore che Williams dà al personaggio.
Mamma tu sei la mia mamma?
Certo che sono la tua mamma.
La mia mamma vera?
Allora perché non hai un marito?[…] Ma come fai a essere una mamma se non hai un marito?
[…]
Sono la tua mamma. Non parlare così.
Non sei solo una signora?
[…]
Se la prima parte del romanzo, quella dedicata alla relazione tra Felicia ed Edgar, si suddivide in 23 capitoli, lo stesso numero delle coppie di cromosomi contenuti nelle cellule umane, questi poi si ricombinano nei 16 capitoli della seconda parte dedicati a quattro voci differenti: Felicia, Army, Oliver e sua figlia Heather. La terza parte esplode in 256 sezioni brevi, ovvero 16 x 16, fino alla quarta e ultima in cui, usando le parole di Williams, la crescita esponenziale incontrollata fa sì che il romanzo sviluppi un tumore, ovvero frasi brevi che viziano la prosa dello scrittore, ma che estratte formano un testo a sé, cioè un nuovo organismo di senso compiuto. In questa struttura cervellotica, Williams mette tutta la sua capacità di sperimentare generando un romanzo che si riproduce da solo, in una metafora complicata eppure geniale del processo di formazione di una famiglia, il centro dell’analisi contenuta in “Riproduzione”: come si forma, come si sgretola prima ancora di nascere, come sopravvive o si riforma per necessità.
«Non tutti sono fatti per riprodursi» è scritto nei risvolti della copertina e nel romanzo, a testimoniare che quella di Felicia è l’eccezione che conferma la regola. Ma in “Riproduzione” Williams inserisce il tesoro più grande, ovvero la dedizione, di autore, per costruire un romanzo corale per davvero, pieno di punti di vista che si moltiplicano man mano che si prosegue nella lettura. Punti di vista inseriti nella grande area metropolitana di Toronto tra gli anni ’70 e gli anni 2000, con tutte le difficoltà che questo comporta per una donna nera come Felicia e un ragazzo «birazziale» come Army. Qualcuno nella storia di Felicia ha visto una forte critica sociale in cui «le donne sono costrette a portare sulle spalle i fallimenti, grandi e piccoli, degli uomini bianchi», definizione che calza perfettamente su una Felicia provata da queste dinamiche, resistente, ma sempre in secondo piano rispetto a quel complicato disastro che sono Edgar e il figlio Army. Felicia, però, è drammaticamente la donna della letteratura a cui ci si è abituati per forza di cose: bistrattata da maschi distratti e insensibili e costretta da loro a questa sopravvivenza.
Come le cellule in un organismo vivente “Riproduzione” si ricombina, muta e cresce, spesso incontrollabile, altre volte domato dalla prosa poetica di Williams e dalle sue scelte stilistiche: le ripetizioni, gli elenchi e le sorprese disseminate nelle oltre seicento pagine del romanzo, tra formule matematiche, spartiti e testi di canzoni. È tanto “Riproduzione”, è un esperimento letterario a tutti gli effetti di cui vanno riconosciuti i meriti, soprattutto nella parte finale, in cui la famiglia atipica protagonista si smembra e si ricompone in equilibri diversi. E questa famiglia non è altro che la metafora dell’inaspettato mondo delle relazioni umane che Williams ha saputo riprodurre in tutta la sua bizzarria.