Ora sappiamo cosa intendeva quando scriveva “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, che in tutti i sogni della tua filosofia“. Un’equipe di antropologi sudafricani ha rinvenuto tracce di cannabis e chiari segni di cocaina tra le pipe nel giardino di casa Shakespeare. Che siano passati secoli intanto fa niente, è abbastanza per dire con certezza che Shakespeare si drogasse tra una commedia e una tragedia. A questo punto è scattata la mania di riesumare il cadavere di William per sottoporlo ad un drug-test, tanto che si è subito evocato l’anatema shakespeariano: “sia maledetto chi sposta le mie ossa“.
Ad ogni modo Shakespeare si aggiungerebbe a una lunga serie di scrittori dal rapporto controverso con la droga. Ricordiamo l’oppio di Baudelaire, l’eroina, la codeina, la morfina, e via dicendo dell’onnivoro Burroughs, le Confessioni di un fumatore d’oppio di De Quincey, la follia drogata di Antonin Artaud, la mescalina beat, e una frase di Jacques Derrida:
Consideriamo la letteratura in un senso relativamente stretto che la distingue dalla poesie e dalle ‘belle lettere’ e che ne fa dunque un fenomeno esclusivamente moderno. Un fenomeno che ha le radici nel ‘600 o più probabilmente nel ‘700. Eh bien, ma questa novità moderna, mi chiedo, non è forse contemporanea all’esplosione di una certa tossicomania europea?