Le parole di Clementi sono sempre una coltellata che ti si conficca nella schiena con una certa eleganza. Non sono i coltelli traditori di Bruto, ma somigliano a quelli sopraffini di Lorca, che cantano felici dentro la pelle come cento spade. Anche nel progetto Sorge la verve poetica e la descrizione della realtà di Emidio Clementi è al massimo della creatività, e sembra anzi uscirne fuori esaltata dalla soundtrack elettronica con cui accompagna la sua voce Marco Caldera. Il risultato è un letale mash up che racconta quest’epoca alla perfezione, incastrando versi e colonna sonora, parole e musica.
La guerra di domani è un disco impietoso, che si apre con una sorta di rap onirico di Clementi su Hancock 96: la voce è la stessa, continua a fendere, ma a fargli compagnia stavolta non ci sono gli arrangiamenti dei Massimo Volume, e così tutto sembra abbastanza aggrappato a un’atmosfera originale, dai tratti hip hop. Là dove ritroviamo una certa battagliera atmosfera che si fa più rock è nella traccia Nuccini, meravigliosa, dove Clementi invoca il suo compagno di viaggio (e di tour) Corrado Nuccini (Giardini di Mirò) con cui ha condiviso il giro d’Italia per portare in giro il Notturno Americano. Qui i luoghi evaporano attraverso le parole, tanto da toccarli con mano, La Spezia che di sera s’accende d’Oriente, Catania d’inverno, le stazioni, le valigie piene di parole, evocazioni di immagini tra mari e monti che raccontano in fondo l’intero disincantato paese. Una delle tracce più intense e corrosive di tutto il disco.
La stessa intensità la ritroviamo in Bar Destino, che già dalle prime note dell’intro trascina in un’incantata perdizione sospesa. Come sempre ci sono i volti nei testi di Clementi, personaggi che arrivano per un attimo e ti portano dentro la vita, dove il destino è un continuo andirivieni di presenze e assenze. ”E poi arrivi tu, e mi tiri per un braccio”, e in questo tu chiunque può vederci quel che vuole.
I volti ricompaiono infiniti nel racconto appassionato della famiglia Clementi, In Famiglia è una collezione di personaggi e storie, piccolissime e nostre, anche quando non sono propriamente le nostre. Ma è in questo incavo che il particolare diventa universale. Fa quasi commuovere quando Emidio ricorda la madre sola, e il padre scomparso che credeva il figlio sarebbe diventato un tossico, ”invece adesso che di anni ne ho 48 / sono qui che scrivo versi / mentre le mie figlie giocano in salotto”.
Il disco era stato anticipato dal singolo Noi facciamo ciò che siamo, un’invocazione ai maestri, che poi sono i sempreverdi riferimenti letterari di Clementi. Le parole sono ancora definitive, come ci ha abituato. I puristi della lingua, gli eserciti di poeti anonimi che reggono il vessillo delle figure retoriche, saranno in disaccordo, ma Emidio Clementi si conferma oggi il miglior poeta italiano contemporaneo, un decantatore di parole iperrealista. Ai puristi però mandiamo la lettera che Dylan Thomas mandò alla zia sul corretto approccio alla poesia moderna, che dice: sei una colta e gentile signora / che non conosce Eliot.