Da quasi un anno fotografa le cose abbandonate. Ogni giorno ci sono almeno due lavori, a volte anche sei o sette, e ogni volta che lui e i suoi colleghi entrano in una casa si trovano di fronte le cose, le innumerevoli cose smesse e lasciate indietro dalle famiglie che sono andate via. Tutti gli assenti sono fuggiti di fretta, nella vergogna, nella confusione, e non c’è dubbio che, ovunque vivano ora (se hanno trovato un posto dove vivere e non sono accampati per strada) le loro nuove abitazioni sono più piccole di quelle che hanno lasciato. Ogni casa è una storia di fallimento – di bancarotta e di morosità, di debiti e di pignoramenti – e lui si è assunto il compito di documentare le ultime tracce residue di quelle vite sperse per dimostrare che un tempo le famiglie svanite sono state lì, che i fantasmi di persone che lui non vedrà e non conoscerà mai sono ancora presenti nel disordine delle cose seminate nelle case vuote.
(P. Auster, Sunset Park)
L’estate che non vuole arrivare, fredda come l’aria buttata in faccia quando scendi nei subterranean tapes.
EMPATEE DU WEISS, Old Tricks For Young Dogs, Autoproduzione
1 maggio
In un mercato saturo di parole, come è quello italiano, la scelta di un genere strumentale può portare tanti vantaggi quante complicazioni, che poi si mostravano anche in The Scomposer, il precedente lavoro degli Empatee du Weiss, questo ensemble tzigano e variamente assortito di fiati, percussioni e corde. Ma se la scelta si sarebbe potuta ridurre a due direzioni, quella di proseguire comunque con la proria idea o quella di stravolgerla completamente, Old Tricks for Young Dogs, invece, cerca di farle proprie entrambe con esiti tutt’altro che scontati. Le parole ci sono, frutto anche della collaborazione con i sussurri di Max Collini (Diavolo in Levare) e la voce di Matilda De Angelis (già Rumba de Bodas, vista anche in Veloce come il vento della Fandango) in Shut Up! e Grooviere, oltre a Moleman, ma non per questo arrivano a eliminare la parte ska jazz originale, piuttosto coesistono, aiutano il ritmo ad assumere nuovi strati e contaminazioni di sensi. Potevano perdere la bussola, aggiungendo parti del tutto nuove, ma non è accaduto, anche se alcune melodie sembrano replicarsi fra loro quello degli Empatee è un tratto che non può che confermare la chiarezza e determinazione del proprio progetto musicale.
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NI NA, Holy Ghosts, Nimiq Records
3 maggio
Ci è voluto tempo perché arrivasse un disco di questo tipo, in cui la sperimentazione non si fa per questo ostile e complessa ma riesce, al contempo, a solleticare certe parti più sensibili al movimento. Only Ghosts dei Ni Na, all’esordio con un 13 tracce, è un disco fatto per l’estate, anche per quella che ancora non sembra poter arrivare. Le sonorità sono una convergenza di ritmi diversi, che si possono estendere dall’elettropop dei primi Mgmt a una più tech in un solo brano (Cheesecake), dalle esperienze più commercial (UNP e Only Ghosts) fuse insieme ad alcune più indie e ricercate (SandMan e True Romance). Quello che ne esce è un’esperienza sonora completa, che non può che trascinare, fatta per stare bene piuttosto che per sorprendere, gusto divertito che non deve per forza strafare per farsi piacere. È proprio l’uso di basi conosciute che si sviluppano poi in maniera indipendente a rendere questi fantasmi più amichevoli, finendo per creare quell’immaginario di cui abbiamo così tanto bisogno dopo mesi di buio e umidità. Una riappropriazione avvenuta di quello che, almeno da giovani, ci spetta.
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TOM ADAMS, Voyages by Starlight, Kowloon Records
6 maggio
Il modo migliore per assaporare i brani di Tom Adams è probabilmente tornare a casa dopo una pioggia inaspettata, col freddo che lentamente se ne va. Un preciso momento di pace, tutta la casa immersa nel buio, nell’attesa di qualcuno o qualcosa. La fragilità è sempre stata un elemento aggiunto, per chi ha compreso quanto può una canzone aiutare un’altra persona prima che se stessi, e i viaggi di Adams sembrano puntare in quella precisa direzione. Luogo di tutto e di nulla, proprio come quello dell’addio di The Last Farewell, violento e in qualche modo dolce dentro Fade. Il pianoforte è supportato dalla voce malinconica e da un limitato utilizzo di strumenti elettronici, che aiutano ad allargare gli spazi di silenzio, dove Jon Hopkins incontra a tratti il Jeff Buckley più rauco. Le cinque ballate di Voyages by Starlight sono appunto della materia che si perde nel buio dello spazio, proprio così ben rappresentata da Stellar che, senza conoscerne provenienza e destinazione, diventa calda se raggiunta nel momento opportuno, ma troppo dolorosa quando arriva all’improvviso.
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JUJU, S/t, Sunrise Ocean Bender
6 maggio
Dopotutto sono i nostri sogni di gloria, ma quanto ci feriscono. Capita ancora troppo spesso, e non abbiamo imparato le giuste lezioni, e ci facciamo scappare dalle mani alcuni album promettenti. Fughe di cervelli e di capitali, ma anche di menti e chitarre che hanno portato Gioele Valenti (aka JuJu ma anche Herself) e la sua band a uscire con un’etichetta americana. Ci basta solo sentire accennato l’intro di Asmael per capire il perché. Lo shoegaze, quando è così mescolato di elementi del sotterraneo, non può avere vita facile qui. Eppure JuJu è un album estremamente in grado di farsi comprendere, capace di mantenere la propria misteriosità intatta ma anche di fornirti il massimo supporto possibile per sprofondarci dentro. L’uso del refrain è ben dosato, serve a rievocare atmosfere quasi da idillio vittoriano (Dance With the Fish), o ad allontarci del tutto, provocariamente, da ciò che siamo abituati ad ascoltare (We Spit on Yer Grave), con una buona psych a tratti tribale (Sunrise Ocean), come la cover art di Géricault sta a rievocare. Se questo non è un paese per shoegazer forse, a perderci, siamo proprio noi.
Streming parziale
VICTOR KWALITY, Koan, Sugar
6 maggio
Se quello dei Ni Na era un disco fatto di estemporaneità estiva, quello di Victor Kwality (voce dei LNRipley) non può che essere parte della playlist di un ritorno a casa da quello che ti sta cambiando ma che ancora non conosci. Scritto su aerei e treni in giro per il mondo, è proprio questo che rimane, insieme all’occhio pesto di chi ha fatto l’alba e ha già lo zaino sulle spalle per ripartire. Si tratta di un album denso, quasi materiale, pieno di richiami dub, dall’hip hop (Lost Son) a un pop sincero e trascinante, in quel Diario che già da sola basterebbe per chiudere il discorso. Kwality, invece, fa di più, e in questo c’è tanto di suo, origini ed esperienze, decontaminazioni necessarie per rispecchiare la parte più personale che un lavoro solista necessita. Koan è più di un tatuaggio che ti si attacca alla pelle, è il resoconto di tante cose incontrate lungo la strada, qualsiasi sia quella intrapresa. Tutto ciò che rimane, è sempre qualcosa di guadagnato, sia un Arcade Game o l’identità di Virgo.
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JOASIHNO, Meshes, Alien Transistor
6 maggio
L’esplosione degli ultimi anni dei The Notwist ha portato contemporaneamente alla riscoperta del movimento indie tedesco, nella maggior parte dei casi raccolto attorno alla loro etichetta, l’Alien Transistor. In pochi anni tante band mai uscite dai confini del paese si sono dichiarate, palesando la loro appartenenza al genere e al loro modo di rielaborarlo. Una famiglia, più che un’avanguardia musicale, che condivide arraggiamenti ed esperienze. È il caso, ad esempio, dei Joasihno di Cico Beck (parte dei Notwist, Aloha Input e, da poco, You + Your D. Metal Friend) e Nico Sierig, fra i progetti più interessanti che la Alien ha prodotto. Dopo due album fedeli alla linea della casa madre (A Lie del 2013 e We Say: Oh Well del 2011, che vi consigliamo di recuperare), con questo Meshes decidono di stravolgere ogni loro precedente componimento, in una sorta di live art composta da strumenti organici e completamente ideati da loro, che pone al suo centro il suono tout court. Vengono eliminate così le barriere per estendere a una forma completa dell’esperienza. Basta guardare i video che hanno rilasciato per comprendere il modo artigianale ma così innovatore di questa produzione (Nuh Nuh // Grounds) . Le voci diventato rarefatte (Temporary Parrallel) o frutto di campionamenti raccolti da radio o film, in cui l’ordine viene stravolto e nessuna traccia supera l’altra perché un continuum inscindibile in piccole parti. Da scoprire, come è successo quasi due anni fa in un locale di Berlino in cui ero entrato per caso e non sono uscito lo stesso.
GIULIA’S MOTHER, Truth, Inri
6 maggio
Cercare di sostenere una dichiarazione, come quella della verità, è un progetto piuttosto complesso. Ci sono così tante implicazioni che anche una piccola sbavatura può compromettere l’intero quadro. Se, da un lato, la limitazione a due elementi, chitarra-batteria, può favorire il suono più grezzo e sincero, dall’altra parte è pur vero che implica uno sguardo critico maggiormente concentrato. Perché è così che vanno le cose, si cerca di falsificare più di quanto ci sia in realtà e con i Giulia’s Mother è pressoché impossibile. I suoni sono grezzi, sì, ma puri e puliti, il folk è spoglio delle sue colorazioni più spensierate si raccoglie dentro di sé, duro come solo la verità può essere, così ambivalente quando ha a che fare coi sentimenti. Ma più che l’abbandono, Truth, ha a che fare con il confronto dei propri autori con l’esistenza, e quello che inevitabilmente si perde. Una saggezza di tipo quasi indiano, a cui i titoli delle canzoni fanno eco, che serve a guardarsi riflessi.
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WOW, Millanta Tamanta, 42Records
14 maggio
Che la musica dei Wow suoni a un certo modo della Rive Gauche o delle Vacanze Romane dei Matia Bazar, non è certo una novità, ma il riferimento più che musicale è di tipo culturale e di quel linguaggio tinto di psichedelia che soverchia certi punti di collegamento, finendo per palesarsi nella quasi ballata che dà il titolo all’intero album. E così si finisce facilmente in quell’ambiente delle gite fuoriporta anni ’60 di Aria, nelle dichiarazioni de Il mondo o di Ah ah ah, sotto forma di tributo a Nancy Sinatra. È perché il linguaggio che scelgono di utlizzare China, Leo e Le Professeur è volontariamente retrò, come non pensavamo potessimo raggiungere quei tempi ormai volati via. In questo senso la riscrittura di sonorità del passato, contestualizzate a quello che viviamo oggi, produce un risultato teneramente contraddittorio e disorientante, proprio come quegli anni che vogliamo ancora essere fatti di vite al limite.