Ci dicono che la nostra impulsività sia una delle caratteristiche che più ci distinguono dalle persone degli altri paesi, insieme a quelle più malevoli sull’essere poco onesti o tentare di farla franca in ogni occasione. Fondamentalmente sono degli stereotipi che si tendono a ripetere o a riproporre ogni volta che qualcuno compie un gesto altrimenti ingiustificabile o fuori dal campo delle relazioni umane. Se ci guardiamo bene accade, e viene sfruttato, anche in casi molto più seri, da personalità che basano il loro appoggio, appunto, sulla discriminazione del diverso. Se i rom rubano e i musulmani sono tutti integralisti, allora, è anche vero che gli italiani sono tutti dei gran prepotenti. Con quelli più deboli, si intende, con quelli che mostrano i muscoli, spesso, abbassano facilmente il capo. Ma nessuno può vivere pensando ogni giorno a queste cose, soprattutto dei propri connazionali anche se, ogni tanto, le forze per respingere questa idea scarseggiano.
Mi è capitato, ma forse anche alla maggior parte delle persone di questo pianeta, di osservare tanti tipi di persone a tanti dj set differenti. Non si tratta solo di studiarli per un piacere personale nello stalking, o per verificare alcune informazioni facilmente rintracciabili su Linkedin o sulla pagina dei gruppi di recupero della scuola superiore. A tratti diventa una questione di sopravvivenza personale non accostarsi ad alcuni di loro o, meglio ancora, non diventarlo. Perché certe volte, se non li vedi fra il pubblico, vuol dire che sei proprio tu quel tipo di ascoltatore che odi. Non pretendiamo una scientificità che non esiste e nemmeno ci appoggiamo su basi antropologiche o approfondiamo le condizioni ambientali che provocano certe reazioni. Raccogliamo qui una serie di esperienze che, se Cesare Lombroso avesse visto i tempi dei dj set di oggi, avrebbe potuto considerare una base di ispirazione per le sue teorie a cui, comunque, non avremmo creduto.
Tralasciando il mondo dei festival, in cui le categorie si restringono a due sole definizioni, fra il mondo di chi c’è per la musica e chi per una serie di motivi e condizioni parallele, è molto più interessante affondare le mani nelle situazioni in cui tutti siamo finiti. Quei momenti in cui un concerto finisce precocemente e non si sa più dove sbattere la testa, spesso perché si è sopravvalutato il clamore delle sensazioni che abbiamo alimentato troppo a discapito della realtà dei fatti. Capita così che arrivi qualcuno, sconosciuto o meno, a cui spetti il difficile compito di chiudere la serata e protrarla nel tempo all’inverosimile, per riempire l’incasso del bar o soltanto perché fino a una certa ora nessuno se la sente di tornare a casa. Questa figura, che tre quarti delle volte non viene nemmeno pagata, diventa così il centro dell’odio e dell’amore di ogni parte del pubblico rimasto, a cui basta un solo pezzo per decidere se andarsene o meno. C’è chi gli dà un limite ristretto di occasioni e chi invece gli si scaglia contro non sapendo come muoversi. È proprio fra questo gruppo di incontentabili che si concentra il nostro occhio e, vogliamo sottolinearlo, parliamo di situazioni in cui il dj set deve semplicemente chiudere, non fare uno show indimenticabile.
#1 Il concorrente post moderno di Sarabanda
Immagine luminosa e riconoscibile, passa metà del tempo a parlare, riconoscendo ogni singolo suono che esce dal sotto cassa. Sarebbe in grado perfino di suddividere i diversi campionamenti utilizzati per epoche, influenze di stile e tipo di bacchette utilizzate per spaccare la batteria, finendo poi per rompere altro alle persone che gli stanno attorno.
#2 Il nostalgico
Inevitabilmente con un jack e coca in mano. Ah quando c’era Lemmy e i dischi erano ancora in vinile e non su uno schermo scaricati da YouTube…
#3 Il capopopolo
È forse la personalità più insopportabile e problematica. Ti chiede di mettere la sua traccia perché il suo gruppo di amici non si diverte e la sua musica è inevitabilmente la migliore, come il suo stile di vita e i locali che frequenta. Poco importa se dopo che l’hai accontentato metà della sala si svuota. L’importante è che venga acclamato dai suoi due amici come uno che al mondo ci sa stare, non come qualcun altro.
#4 Il distaccato
A differenza del concorrente postmoderno di Sarabanda si appoggia al muro e sta in silenzio. Guarda tutti con fare depresso e sognante, si chiede come dev’essere divertirsi nel mondo normale. A lui la musica che c’è non interessa, è abbastanza incuriosito da chi sta guardando pronto ad attaccare la preda che più manifesta i suoi stessi sintomi.
#5 L’hardcore
C’è sempre un motivo per spingere, anche con le note di Gigi D’Alessio (un dj set che lo prevede è hardcore già di suo).
#6 Il re dei social
In media ha quindici gruppi Whatsapp, a cui deve inviare per ogni traccia almeno una registrazione in cui urla. Sennò che gusto c’è. Se non fa dei video è perché la batteria è già morta per la quantità di selfie e video che ha appena realizzato con lo smartphone.
#7 Quello che, musica o meno, si gode la serata o se ne va
Forse dovremmo imparare da loro. Non serve molto per divertirsi, basta lasciarsi andare o, nel caso, andarsene da un’altra parte.
Ci può stare un’insoddisfazione di fondo, e anche un’eccitazione ingiustificata all’arrivo della canzone che ha segnato terribilmente la tua adolescenza. Un po’ meno lo scatto d’ira o lo sconforto se non ti senti preso in considerazione. Si formano così degli strati di tensione insopportabili, in cui le armi di difesa sono per la maggior parte dei casi inutili. Ognuno, del resto, dà un valore differente al tempo che possiede e, probabilmente, qualcuno dovrebbe capire che forse non è così prezioso come crede. Sta qui l’impulsività, nel finire a bordo palco a parlare con le persone e a fare richieste credendo che il proprio background pop sia più profondo di quello di un altro, del fatto che al tuo gruppo di persone non piaccia quanto sta accadendo, nonostante alle altre trenta (forse venti?) non importi e si stiano concentrando solo a far scendere a un livello legalmente accettabile la propria situazione interiore. Si innescano così numerosi meccanismi di risposta anche in chi sta cercando di fare il suo lavoro. Il rifiuto ad accontentare, di chi ha una linea ben precisa da seguire per la propria esibizione, chi ci prova ma non ci riesce, e chi diventa un jukebox personale nelle mani di qualcuno che potrebbe tranquillamente farselo a casa. Qualche volta si arriva all’insulto, ai fischi e alle minacce, quando basterebbe andarsene via. Questo perché non ci sono davvero capacità di crescita, in nessuno dei due aspetti. Non nel ragazzino che si sente buttare giù, né nel pubblico che non può essere soddisfatto in ogni suo desiderio.
Facciamo fatica a comprendere questo scarto e le possibilità che possono esserci in situazioni come queste. Metà del background, spesso, si basa sulle scelte di qualcun altro, su un ascolto sconvolto che porta a scoprire mondi nuovi. È anche vero che, molto spesso, questa contaminazione non avviene, perché non è sostenibile o perché non gliene si lascia il tempo. Abbiamo vissuto tutti questa fase, e ancora la viviamo quasi ogni weekend. La selezione e la differenziazione dei diversi locali in cui finire hanno creato tante realtà e gusti differenti, ed è inevitabile che quando avviene un mescolamento queste situazioni diventino più complesse. E se parliamo dell’impulsività italiana è proprio perché è qui che l’abbiamo vissuta. Non sappiamo davvero come finiscano i dj set nella bettola di Leicester o in quella di Friburgo. Non ci interessa. Si tratta soltanto di cercare di salvare quanto ci è possibile, e non diventare quel tipo di persone che possono rovinare una serata gli altri.
Fate un servizio utile alla musica e alle persone, se un dj set vi fa schifo andatevene, non pensate di poterlo cambiare attaccando il vostro cellulare alle casse, perché la metà delle volte non lo riavrete più indietro e, forse, è anche meglio così.
[Questo articolo è volutamente dedicato alla ragazza che pur di ascoltare Timbaland alla festa di laurea di una sua amica ha messo le mani addosso al sottoscritto]
L’immagine di copertina proviene da un interessante articolo sulle persone incapaci di divertirsi alle feste ad Amsterdam. (Fonte Yelp, tutti i diritti esclusivi)