Proviamo a riordinare le idee sui dischi usciti nel corso del 2019 e a fare il punto sugli album italiani che sono riusciti a colpirci. Qui sotto trovate una top 10 che aiuta a recuperare un ascolto a chi si è perduto per strada tra le uscite. Un buon ascolto a tutti, per prepararsi al prossimo anno con le orecchie in forma.
10. CATERINA BARBIERI – ECSTATIC COMPUTATION
Mego
La producer bolognese Caterina Barbieri, di stanza a Berlino, ormai non è più davvero una sorpresa. Questo Ecstatic Computation è solo una conferma di come la sua musica riesca a travalicare i confini nazionali. E noi ce la ascoltiamo.
9. I HATE MY VILLAGE – I HATE MY VILLAGE
La tempesta international
Quattro dei musicisti più talentuosi del panorama italiano contemporaneo insieme per il supergruppo I Hate My Village. Si tratta di Adriano Viterbini dei Bud Spencer Blues Explosion, Fabio Rondanini, batterista negli Afterhours e nei Calibro 35, Marco Fasolo dei Jennifer Gentle e Alberto Ferrari dei Verdena che porta con sé chitarra e voce. Così diversi, ma mossi dalla stessa passione, quella per la musica africana e non solo. (Recensione)
8. DIMARTINO – AFRODITE
42 Records / Picicca
Quando abbiamo intervistato Dimartino per farci raccontare il nuovo album Afrodite, ci ha raccomandato di tenere d’occhio le parole di questo nuovo lavoro, il quarto album di inediti del cantautore siciliano – tra gli apripista della scena musicale indipendente italiana. Dimartino intanto è maturato, è diventato padre, e ci ha regalato un’ulteriora prova del suo talento artistico. Afrodite è un meraviglioso viaggio in cui lasciarsi perdere, ascolto dopo ascolto.
7. CACTUS? – NO PEOPLE PARTY
Costello’s Records
C’è ancora spazio per l’indie rock anni ’00? Dopo l’EP d’esordio del 2016, in cui debuttavano chiedendo scusa per l’accento, con “sorry for my accent”, i Cactus? tornano a pubblicare un disco, il loro primo full lenght. Le sonorità e le basi della band vicentina sono sempre di alta qualità: un perfetto stile british indie rock, tutto in versione lo-fi, che intrappola e si appiccica addosso, come fosse qualcosa che cerchi da tempo e non riesci a trovare. Perdersi ascoltando No People Party è facile e bello. (Recensione)
6. UZEDA – QUOCUMQUE JECERIS STABIT
Temporary Residence Limited
Otto tracce nuove, poco più di una mezzora di musica, tiratissima, ruvida, purissima. Suona così Quocumque jeceris stabit, quinto disco della leggendaria band siciliana, nata a Catania nel lontanissimo 1987. Cinque ragazzi appassionati di musica americana, della meglio gioventù americana, quella che parlava un linguaggio fatto di vera musica indipendente, di rock, noise, hardcore punk, post hardcore. Quocumque jeceris stabit è un atto di resistenza, sta lì con le sue tre punte a ricordarci questo: che si rimane in piedi, che non ci si arrende, che non si può essere sconfitti fino a che si è profondamente se stessi.. (Recensione)
5. COMA COSE – HYPE AURA
Asian Fake
Entrare nel mondo dei Coma Cose non è una passeggiata, ma un’avventura fatta di neologismi e di generi che si aggrovigliano tra di loro come una matassa dove è impossibile dividere il punk, dal pop e dall’hip hop. Le parole sono importanti, ma anche i riferimenti da cui attingono i Coma Cose hanno un valore prezioso per capire il loro universo colorato di sfumature. Da Donatella Rettore a Franco Battiato, guida spirituale di Hype Aura, nonostante le basi rappate, il flow e le parole che suonano come coltelli, perché i Coma Cose giocano con la canzone d’autore e con il cinema in Squali, dove girano le parole di uno dei capolavori di Steven Spielberg, Lo squalo, suonando un po’ come la metafora che ci rappresenta meglio oggi. La scoperta di Hype Aura va assaporata ascolto dopo ascolto. (Recensione)
4. ALESSANDRO CORTINI – VOLUME MASSIMO
Mute Records
Volume Massimo segna il debutto di Alessandro Cortini con la Mute Records, e ripercorre un passato condiviso che rispolvera tendenze e sensazioni dal gusto ‘70/’80. Già scorrendo i titoli degli otto brani ci si accorge di come questa contaminazione sarà il fil rouge che tiene insieme l’intero disco: giochi di parole rétro che strizzano l’occhio a Cecchi e Tondelli, sigle che sembrano uscite dal palinsesto RAI del 1982. Anche il nome, Volume Massimo, che ci ricorda inevitabilmente la band di Emidio Clementi, si porta dietro un riferimento temporale ben specifico. Con Volume Massimo, Cortini si conferma maestro della stratificazione e lo dimostra componendo un lavoro dalle infinite texture e sfumature, solo apparentemente minimal. (Recensione)
3. BE FOREST – KNOCTURNE
We Were Never Being Boring
Costanza, Erica e Nicola sono cresciuti e, dopo dieci anni sulle scene, ora non nutrono soltanto una fascinazione nei confronti dell’oscurità, la attraversano scendendo nell’abisso più nero e profondo. Non guardiamo quest’immagine semplicemente da lontano come spettatori, ma ne siamo parte, protagonisti inconsapevoli della realtà che ci circonda. Se Cold ci ha condotto sui ghiacciai del circolo polare artico ed Earthbeat di fronte a un falò in un deserto americano, Knocturne ci porta sul palcoscenico delle nostre vite. Knocturne è l’abisso e la secchiata d’acqua più gelida che possiate ricevere in pieno volto. Scuote e fortifica e, ascolto dopo ascolto, gliene sarete grati. (Recensione)
2. MASSIMO VOLUME – IL NUOTATORE
42 Records
I Massimo Volume si confermano tra le esperienze più raffinate e letali della storia della musica italiana degli ultimi decenni. Tornati in formazione a tre con Egle Sommacal in solitaria alla chitarra e l’assenza di Stefano Pilia, è probabile che avvertiate un leggero sottotono nell’incalzare di volumi dei due precedenti lavori, cosa che però ha il merito di rendere Il Nuotatore un disco che sposta la proposta dei Massimo Volume verso una volontà di scarnificazione dei suoni, e che fa da contraltare a dei testi dal linguaggio sempre più ricercato. Il risultato è un disco all’osso, magma vivo di un vulcano pronto a esplosive eruzioni. Il Nuotatore è un invito a staccare i piedi dal suolo per entrare sconfinati in un mondo di nove episodi popolati di storie e personaggi. Va allora ascoltato per intero, dall’inizio alla fine, con i testi preferibilmente a portata di mano. Libro di John Cheever in omaggio. (Recensione)
1. C’MON TIGRE – RACINES
BDC
A ben cinque anni di distanza dal primo album, tornano a spiazzarci i C’mon Tigre con il loro Racines. Il titolo è già manifesto per la band: le radici sono quelle della musica e della cultura a cui il duo cerca di risalire in una sorta di archeologia musicale che li porta a scontrarsi con generi, ritmi, strumenti diversi ma che i due fanno propri e che infilano nel loro zaino. I brani di Racines ci fanno perdere all’interno di una serie di incursioni nella musica africana, nel rock, nel jazz e nel trip hop anche in un unico pezzo. L’ispirazione mediterranea è fortissima e palpabile. Fuoriesce dalle note ma soprattutto dallo spirito e dalle atmosfere da olive sulla terrazza affaccio mare e da spezie tra le vie delle città. È una musica ispirata à la Corto Maltese: colta, nostalgica e resa forte dei viaggi in mare e delle culture conosciute uscendo dalla propria terra. Racines è un inno alla multiculturalità e alla molteplicità di generi e stili che vengono fusi e trasposti su pentagramma. (Recensione)