Di William Eggleston si conoscono le sue impressionanti fotografie, le stesse che raccontano l’America dei babyboomers attraverso un’improvvisa esplosione di colori – una delle prime esposizioni personali di Eggleston ebbe come oggetto proprio delle fotografie a colori, circostanza che remava decisamente contro a quelle che erano le consuetudini di quegli anni, ovvero un periodo in cui i critici d’arte prendevano sul serio solamente scatti realizzati in bianco e nero.
I suoi lavori ce li siamo ritrovati un po’ ovunque, a partire dai poster pubblicitari fino ad arrivare alle copertine dei libri che più abbiamo amato – il Saggiatore, ad esempio, ha usato più e più volte le sue fotografie per racchiudere le parole di Joan Didion. Oltre a questi spazi ormai divenuti classici, Eggleston è comparso anche sulle copertine di alcuni dischi che hanno poi ottenuto un certo successo. Nel 1974 i Big Star pubblicarono il loro secondo album, Radio City, e scelsero Greenwood, Mississippi, 1973, meglio conosciuta come The Red Ceiling, per la copertina del loro disco. Bene, erano gli anni della Factory di Andy Warhol, anni in cui Lou Reed e Nico si aggiravano tranquillamente per le strade del mondo a cantare le loro manie.
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Non per questo, William Eggleston, che è anche un bravissimo pianista, ha raccolto in Musik 13 brani per una durata complessiva di 58 minuti. Prodotto da Tom Lunt, l’intero album è stato eseguito dal noto fotografo/musicista con un sintetizzatore Korg a 88 tasti. Dall’incontro di queste due menti sofisticate – Eggleston da una parte, Lunt dall’altra – è venuto fuori un esemplare degno di essere annoverato nelle infinite liste composte da quell’elettronica sperimentale che prontamente fa girare la testa a tutti quei produttori chiusi nei loft spaziali di Berlino.
Musik cerca di riprendere alcune immagini della Memphis di cui lo stesso William Eggleston è figlio. Durante l’ascolto dell’album uscito lo scorso 20 ottobre, si ha come l’impressione che tutte le fotografie dell’artista statunitense si materializzassero sulla parete bianca che abbiamo proprio lì davanti – escluse alcune incursioni barocche. Le note lanciate qua e là danno vita ad un’atmosfera quasi surreale, ricca di sfumature ascendenti che scavano oltre ogni limite dichiarato.
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William Eggleston, che ha confessato in una recente intervista di non sentirsi affatto un vecchio settantottenne, bensì un giovane sedicenne, è riuscito a sorprendere tutti facendo confluire quello che è il suo mondo – e che noi abbiamo imparato a conoscere attraverso i suoi scatti – dalla fotografia alla musica. A dirla tutta, quello di Eggleston è stato sì un salto abbastanza netto da un confine all’altro, ma è anche vero che questa commistione di intuizioni e visioni, scivola prepotentemente in quella sfera espressiva di cui il cinema ne è competente. Se provassimo ad accostare le sue immagini alle note di Musik, allora assisteremmo alla nascita di qualcosa che indaga l’essere umano e se ne prende gioco fino alla nausea, come se fosse una delle ultime trovate di quell’altro genio del grande schermo – e non solo – che è David Lynch.
Selezionando il suo album su Spotify, notiamo fin da subito che non ci sono suggerimenti degni di nota legati a Musik. E questo non è affatto controproducente, tutt’altro.