A distanza di tre anni dall’ultimo successo Beacon, i Two Door Cinema Club sono finalmente tornati con il loro terzo album in studio. Si tratta di un lavoro diverso dai precedenti, perché sembra non esserci più la stessa semplicità che ha sempre contraddistinto la band, ma una vera e propria svolta stilistica: come gli Arctic Monkeys (giusto per fare un esempio) anche Alex Trimble e compagni sembrano essersi spogliati delle loro paure per assumere un’attitudine decisamente più glam e da band di un certo livello. Questo cambiamento radicale lo possiamo notare in modo particolare nel nuovo modo di approcciarsi al live, dove troviamo Trimble con capelli lunghi tirati all’indietro e camicie a pois che probabilmente non avrebbe mai osato indossare fino a tre anni fa.
Questa svolta risulta evidente soprattutto ascoltando il nuovo disco, non tanto con la prima traccia Are we Ready (Wreck), pezzo di notevole fattura e con cori molto orecchiabili che ricordano quelli di I Can Talk di Tourist History, quanto con la seguente Bad Decisions, una miscela tra dance e funk rock senza alcuna pecca dal punto di vista strumentale, il cui cantato quasi totalmente in falsetto può risultare alquanto disturbante per chi è rimasto ancorato ai primi due album.
In ogni caso, queste prime due tracce possono tranquillamente essere definite come le più orecchiabili del disco e, non a caso, sono state scelte per la campagna di lancio del disco. Una minore orecchiabilità la riscontriamo nella terza Ordinary, pezzo dal retrogusto un po’ insipido che, pur non avendo nessuna odiosa componente glam, non ha neanche il ritmo incalzante a cui la band ci ha sempre abituati. Questa mancanza viene compensata subito dopo con Gameshow (già rilasciata come terzo singolo), dotato di un sound che ritorna ad avvicinarsi agli standard scatenati del trio nordirlandese.
Si procede con una tripletta di brani più sperimentali come Lavender, caratterizzato soprattutto dal basso roccioso di Baird e dalla voce di Trimble che sembra un po’ riprendere lo stile di Thomas Mars dei Phoenix; Fever, molto più coerente con la svolta glam/funk e di conseguenza caratterizzata dal falsetto del cantante e, infine, Invincible, l’unica vera e propria ballata pop presente nell’album, una bella sorpresa che convince molto più delle due precedenti.
Come ottava traccia troviamo Good Morning (già suonata live), in cui vi è un’ ottima unione tra chitarre e sintetizzatori, seguita da Surgery, brano molto sperimentale che si perde un po’ dal bridge in poi risultando poco orecchiabile e Je Viens De La, dove il frontman alterna note abbastanza basse nelle strofe, per poi progressivamente arrivare ad altri falsetti altissimi nei ritornelli, accompagnati da chitarre disco-funk anni ’80.
Il disco si conclude con ben 5 bonus tracks: le prime due sono le pacatissime Gasoline e Sucker, essenzialmente pop e senza alcun elemento rock, mentre tra le ultime tre abbiamo due remix di Ordinary e Bad Decisions (firmati rispettivamente Sam Holiday e Kev’s Summer Time Madness) e un brano live dal Bonnaroo 2016.
In generale, Gameshow è tranquillamente collocabile tra i migliori album indie rock usciti finora nel 2016, un ritorno tanto atteso quanto soddisfacente nonostante una svolta glam che non mette tutti d’accordo.