Interviste

Annie Ernaux, la scrittura come il sesso e una chiacchierata con L’orma editore

Quando Annie Ernaux è stata insignita del Premio Nobel per la Letteratura 2022, Silvia D’Onghia su Il fatto quotidiano ha scritto: «Ogni volta che questa splendida donna di ottantadue anni prende in mano un bisturi a forma di penna per scorticare e mostrare al mondo una parte di sé, si scopre che a sanguinare siamo noi».

L’assegnazione del Nobel è stata una gioia condivisa, un momento di festa e di speranza, per quanto mi riguarda ero di fronte al computer, a seguire in diretta streaming l’annuncio dell’Accademia svedese e quando hanno fatto il suo nome, ho lanciato un urlo ieratico, devoto a Ernaux e alla breve chiacchierata scambiata con lei al Salone del Libro di quest’anno. Era come se a vincere fosse stata una mia cara zia, un fatto circoscritto alla famiglia, alla famiglia di tutte noi donne.

Ernaux fa uso della sua esperienza personale per dare carne alle lotte di classe, agli aborti sofferti, alla morte meschina e alla vergogna, preconizzando con uno stile lineare e piano quanta più letteratura possibile. Ed è letteratura l’ultima opera uscita per L’orma editore il 9 novembre, Il ragazzo, un libriccino di appena sessantaquattro pagine dove Ernaux fronteggia la retorica di una relazione tra una donna e un ragazzo di trent’anni più giovane.

Il racconto si apre con la premessa temporale che i fatti accaduti appartengono a cinque anni addietro alla narrazione, come a suggerirci, direbbe De André, che la memoria è già dolore. Ma sono le parole successive, incasellate come lame affilate, a dichiarare gli intenti di questa scrittura.

«Spesso ho fatto l’amore per obbligarmi a scrivere. Volevo trovare nella fatica, nella derelizione che ne segue, delle ragioni per non aspettare più niente dalla vita. Speravo che la fine dell’attesa più violenta che ci sia, l’attesa di godere, mi facesse provare la certezza che non esiste piacere superiore a quello della scrittura di un libro».

La scrittura è godimento, è sesso, è la vita dell’aitante ragazzo – il suo amante universitario – fra le sue braccia emaciate, braccia che hanno retto il peso della madre malata, messo al mondo i figli, viaggiato, scritto libri. La scrittura diviene sé stessa nella riscoperta di quei piaceri, di quella giovinezza che sa di non dominare più. Il ragazzo la «strappa» dalla sua generazione, l’intento istintivo e tellurico è portarla nella propria, attraverso commenti e aneddoti del mondo universitario, ma è un confine che non sorpassa: Annie rimane fuori, non per sua volontà, sono gli anni che le dicono chiaramente che non appartiene al mondo del suo giovane amante. Lui vive nel costante bisogno di soldi, gioca la schedina tutte le settimane, convinto di vincere prima o poi. Ha un registro rozzo, utilizza termini come «stop» o «basta» invece di «grazie» quando viene servito a tavola, non ha mai votato, né è iscritto nelle liste elettorali. Mentre è con lui, Annie ritrova una parte della sua infanzia, delle sue radici. È di nuovo a tavola con la sua famiglia, i cugini, di cui vanta la stessa pelle chiarissima. Stare con quest’uomo è come incontrare il passato in carne e ossa, è la restituzione di una memoria acuminata, lancinante, i cui gesti dimenticati fanno parte della sua eredità e perciò di lei. Il ragazzo è uno specchio.

«Trent’anni prima, alla sua età, mi sarei allontanata da lui. All’epoca non volevo ritrovare in un ragazzo i segni della mia origine popolare, tutto ciò che «faceva buzzurro» e che sapevo di aver avuto dentro di me. Che gli capitasse di pulirsi la bocca con un pezzo di pane o che appoggiasse il dito sul bicchiere affinché gli versassi altro vino mi era indifferente. (…) Con mio marito, a suo tempo, mi ero sentita una ragazza del popolo. Con lui adesso ero una borghese».

Annie gli regala dei viaggi, gli paga da mangiare, adesso è lei a essere dall’altra parte, a ricoprire il ruolo di benestante. Ora è una scrittrice, una donna adulta che ha partorito, ha studiato, sa stare al mondo. Si ritrova in una posizione dominante, e a favorire questa condizione non sono soltanto i trent’anni di differenza, ma è soprattutto il benessere economico raggiunto ad averla resa intoccabile di fronte a un ragazzo a cui è appena iniziata la vita adulta. In cambio riceve piacere, desiderio, le fa riattraversare emozioni interrate, è come se vivesse daccapo una relazione amorosa con i propositi di un’adolescente, ma conservando il bagaglio delle esperienze passate.

Eppure, il vero limite di questo incontro amoroso è il suo corpo. Un corpo di donna che ha perso la sua impulsività, l’irrequietezza dei vent’anni, l’elasticità della pelle. Ora è oggetto degli sguardi degli altri, delle donne sue coetanee che cercano gli occhi del ragazzo, vogliono sentirsi desiderate per l’età che hanno, per ciò che sono diventate; delle ragazze più giovani, spigliate, irriverenti, che flirtano con lui «come se la presenza al suo fianco di una donna più vecchia fosse un ostacolo trascurabile, persino inesistente». Il suo corpo diventa il palcoscenico a cui la società associa la programmazione di uno spettac0lo impudico, immorale: diventano l’incesto. È contro natura che un ragazzo così giovane possa stare con una donna coeva di sua madre. A un certo punto, con tutto il dolore che l’inchiostro può conservare sulla pagina, il ragazzo le evidenzia che assieme sono più inaccettabili di una coppia omosessuale.

Ma è quando Annie rispolvera le fotografie della sua giovinezza che acquisisce una consapevolezza aspra: attraverso la sua esistenza, lui è la sua morte. «Come lo erano i miei figli, e come lo ero stata io per mia madre, scomparsa prima di aver visto la fine dell’Unione Sovietica, ma che si ricordava le campane a festa in tutta la Francia l’11 novembre 1918». Di fronte alle immagini, Annie sente gli anni addosso, come piombati tutto d’un tratto. Non prova disagio nel mostrargli le fotografie della sua infanzia, quando si è bambini è come se quell’universo si cristallizzi in automatico; lo straniamento avviene incontrando la venticinquenne che è stata: bella, giovane, attraente, Annie si sessualizza, si rivede perfetta nel suo corpo perfetto, e il confronto con ciò che è oggi, una donna invecchiata, è ancora più spietato.

«Avevo l’impressione di essere eterna e morta allo stesso tempo, come lo è mia madre in quel sogno che faccio spesso e per qualche istante, al risveglio, sono sicura che sia viva realmente in quella duplice forma».

La sensazione di morte ritorna, perché la giovinezza è ormai sfuggita e l’imprevedibilità di quegli anni in cui tutto era possibile si è trasformato in un presente stabilito, le scelte sono state fatte e i passaggi di vita rilevanti – come l’aborto clandestino, la malattia della madre, i figli – si sono espressi nella loro concretezza a riprova che il tempo è passato anche per lei come per sua madre e ancor prima per sua nonna, eppure l’amore del ragazzo conferma che le possibilità possono arrivare ugualmente, pure quando pensiamo che tutto sembra finito: l’eternità è nella memoria, ed è qui che risplende la delicatezza e la ferocia della letteratura di Ernaux. Noi sopravviviamo alla morte grazie al ricordo dei vivi, è attraverso l’ausilio dei posteri che manteniamo il nostro nome, la nostra essenza in questa duplice forma. Una morte, tuttavia, che non deve essere necessariamente fisica: per Ernaux forse è stata la sua vecchiaia di fronte all’acerbo amante, oppure lo scontro con una società ottusa e sleale che in una relazione condanna la donna più grande dell’uomo, ma applaude con goliardia se avviene il contrario.

A Più Libri Più Liberi, la fiera della media e piccola editoria indipendente, che si è svolta a Roma al Centro Congressi La Nuvola dal 7 all’11 dicembre, ho avuto modo di scambiare quattro chiacchiere con Nicolò Petruzzella, redattore e traduttore dal francese, persona squisita che ringrazio per il suo tempo. Petruzzella ha tradotto per L’orma editore, tra l’altro, Bernard Quiriny, Frédéric Pajak e Vincent Message.

Il mese scorso avete festeggiato dieci anni di attività. I miei più sinceri auguri. Com’è nata la casa editrice?

L’orma è nata da un sodalizio intellettuale tra Lorenzo Flabbi e Marco Federici Solari, entrambi accademici: il primo con un percorso nella comparatistica, l’altro nella germanistica. Flabbi ha insegnato alla Sorbona, mentre Federici Solari ha continuato un percorso universitario in Germania, per poi fondare a Roma una libreria dell’usato (La libreria Libri Necessari, ndr). Ma è a Berlino che si riuniscono per pensare a un progetto editoriale: la loro idea è quello di coinvolgere intellettuali, scrittori, traduttori attorno a un progetto condiviso, insomma creare, come accadeva a inizio Novecento, “una rivista”. Così è nata L’orma editore. La svolta è avvenuta quando hanno chiesto all’editore francese Gallimard se fossero liberi i diritti di Annie Ernaux per l’Italia, stessa cosa all’editore tedesco Suhrkamp per quelli di Uwe Johnson. Sapevamo che Ernaux fosse un’autrice da major, ma per qualche ragione era sfuggita alla rete, così l’acquisizione di questi due autori – che usciranno nel biennio successivo alla nascita della casa editrice – è la conferma che il progetto può partire. Decidono così di mettere al mondo L’orma editore con sede a Roma, in via Annia (zona Colosseo).

Che poi, orma, è l’anagramma di Roma.

In realtà il nome nasce dalla contrazione delle iniziali degli editori: Lorenzo e Marco. Hanno pensato a vari nomi in quell’appartamento berlinese. Il più papabile era Port-Bou (dove Walter Benjamin si è tolto la vita, ndr), ma per i primi tempi era stata battezzata «Progetto Clarissa», prendeva il nome dalla cagnolina di Federici Solari. La scelta della città è stata aleatoria. Il fatto che “orma” sia l’anagramma di Roma è una bellissima coincidenza.

Ma soprattutto: chi è L’orma?

A parte i due fondatori, l’altra figura storica è Elena Vozzi, che è la caporedattrice. Si occupa di tutto ciò che passa dalla redazione, alla tipografia, ai social network. Fino a pochi mesi fa c’è stato Massimiliano Borelli all’ufficio commerciale, è stato sostituito da Claudia Romagnuolo, studiosa di lingue iraniche, traduttrice di René Barjavel e degli scritti inediti di Simone de Beauvoir. L’ufficio stampa è affidato a Beatrice Carvisiglia, Delphine Ménage si occupa della redazione francese, io, Nicolò Petruzzella, della redazione e traduzione dal francese. Ogni tanto abbiamo i tirocinanti e con alcuni di loro abbiamo avuto modo di lavorare finito il tirocinio, in più siamo affiancati da una serie di collaboratori esterni come i traduttori e i prefatori che negli anni sono diventati parte integrante della nostra comunità.

In via Annia è come stare in famiglia. Si è creato uno scambio culturale, è come se fosse un laboratorio di ricerca, la maggior parte delle decisioni sono condivise, Flabbi e Federici Solari hanno molto piacere a coinvolgere tutti perché c’è una grande fiducia reciproca. C’è una sorta di bellezza nel lavorare per una casa editrice indipendente: il lavoro non è alienante, la mattina si traduce, il pomeriggio si fa un po’ di grafica.

Quanto è difficile essere una casa editrice indipendente in Italia?

A questa domanda potrebbero rispondere meglio gli editori, ma posso dirti che rispetto al crollo del mercato editoriale del 2012 in cui si pensava che l’editoria si sarebbe pian piano ridimensionata perché i grandi gruppi non avevano retto all’impatto della crisi economica, in realtà è stato un periodo di rifioritura di case editrici indipendenti. Ne potrei citare decine che si occupano di fare ricerca culturale, a cui a volte sfugge alle major perché oberate di lavoro – non riescono a seguire tutto, purtroppo. Ci sono tantissimi esempi in questo caso: Annie Ernaux si è dimostrata una grandissima autrice che avrebbe rischiato di non essere pubblicata in Italia, era stata proposta in maniera randomica anni fa, ma poi non sono stati pubblicati altri titoli, forse perché un libro non aveva venduto bene, o chissà che altro. Ora, comunque, sembra un momento di grande fioritura dell’editoria indipendente, una delle cose belle del Nobel è stata la quantità di complimenti che ci è arrivata dai colleghi che lo hanno sentito anche come una loro vittoria. Nell’ambiente spesso ci si conosce, per dirti se 66thand2nd pubblica un premio Nobel, a me fa piacere.

Entriamo, se possibile, nel vostro mondo. Come scegliete i titoli adatti per la pubblicazione? Qual è l’iter nascosto dietro al testo?

Attingendo ai due bacini della letteratura europea che sono quelli francese e tedesco, la scelta dei titoli avviene nei modi più disparati: traducendo dalla francofonia e dalla germanofonia, ci sono case editrici francesi, tedesche e svizzere con cui lavoriamo da anni, in cui ci inviano le proposte. A volte le convergenze si intrecciano e magari non pubblichiamo quell’autore proposto inizialmente, ma un altro valutato in un secondo momento. Anche noi stessi facciamo ricerca, in fondo siamo tutti lettori e se un testo ci è piaciuto particolarmente, lo proponiamo per la traduzione. Riceviamo suggerimenti anche dagli accademici e questo ci aggrada, perché ritorna l’idea dello scambio culturale.

Quanto è importante la traduzione per la riuscita di un testo letterario? Tradurre è anche riscrivere, in un certo senso.

La traduzione è fondamentale. Le straordinarie traduzioni di Flabbi dei libri di Ernaux hanno contribuito a rendere riconoscibile una voce letteraria difficile e unica come quella di Annie. Flabbi, oltre a essere il traduttore ufficiale di Annie Ernaux, tra le altre cose ha insegnato traduttologia. L’orma editore si fonda con l’idea di fare traduzioni molto curate, perché vogliamo che i libri siano scritti in italiano. Negli anni è nata una sorta di scuola: io ho imparato a tradurre in via Annia, prima non l’avevo mai fatto, e si è creato un rapporto meraviglioso con tutti i traduttori, perché ricopriamo il ruolo anche di revisori. Prima dell’assegnazione della traduzione cerchiamo di riunirci per stabilire una linea, scegliere il registro. La fortuna di essere tutti traduttori è che la traduzione non si esaurisce nel solito lavoro solitario, ma si è sempre a fianco a qualcuno a cui chiedere consiglio. Ma la parte migliore, quella magica, accade nei lavori di revisione: la sinergia che si crea tra traduttore e revisore è incalcolabile, insieme si arrivano a scelte linguistiche più calzanti, raffinate.

Traduttori L’orma editore, Foto di Valeria Gargiullo

Forse è una domanda che vi hanno posto in molti, ma sono curiosa. Quanto è cambiata la vostra vita editoriale dopo la vincita del Nobel di Annie Ernaux?

Annie Ernaux era molto popolare ancor prima del Nobel, ha vinto il Premio Strega Europeo con Gli anni nel 2016, con ottime vendite in Italia e all’estero, il Nobel ha dato una spinta incredibile e abbiamo avuto poco tempo per festeggiare: ci siamo occupati di ristampe, logistica, insomma, oltre alla grande gioia, c’è stato molto lavoro. Com’è cambiata la vita editoriale forse non lo sappiamo ancora, dovrà passare del tempo, forse da gennaio 2023 sapremo dire meglio.

Annie Ernaux vi ha fatto scoprire a nuovi lettori.

Sì, sta succedendo in questi giorni in fiera: arrivano persone che hanno già letto Ernaux e chiedono consigli di lettura per altri autori e autrici. È molto gratificante.

Avete progetti dopo il Nobel? Avete intenzione di espandervi?

Dal 2020 la casa editrice pubblica libri in Francia con la sigla francese «Éditions L’orma» con cui abbiamo proposto per ora i «Pacchetti», questa collana tascabile che raccoglie carteggi e racconti, epistolari, discorsi e altri scritti in cui in Italia aveva avuto grande successo e che in Francia l’ha replicato in tempo record. «Les Plis» sono stati una soddisfazione. Stiamo pensando di presentare titoli di letteratura anche in Francia, al momento siamo nella fase di elaborazione del progetto.

Quali sono i prossimi appuntamenti della casa editrice?

A Più libri più liberi ci sono state diverse presentazioni: purtroppo quella con Giuliana Zeppegno è saltata per motivi di salute dell’autrice, ma abbiamo avuto Étienne Kern con il suo romanzo Il sarto volante che ha vinto il Premio Goncourt 2022 come miglior esordio, lo accompagno a Napoli il 12 dicembre all’Istituto Francese. La programmazione degli eventi è consultabile sulle nostre piattaforme social, in particolare Instagram o sul nostro sito web. In ogni caso saremo presenti alle altre fiere, tra cui il Salone del Libro di Torino.