Letteratura

Carmen Maria Machado: la donna pazza nella soffitta

Carmen Maria Machado sta leggendo ad alta voce un racconto tratto dal suo primo libro, quando un uomo di mezz’età, l’unico presente in sala, si avvicina e le fa una domanda. L’uomo ha una curiosità: come – e perché – l’autrice abbia deciso di affrontare il tropo “della donna pazza nella soffitta”, citato nel racconto “La residenza”. Questa interazione fra lettore e scrittrice costituisce un evento interessante, perché è proprio su questa immagine che si sviluppa la poetica di Machado, con la veemenza e determinatezza di una vera e propria missione letteraria. Infatti, la decostruzione della “mad woman in the attic” (di cui capostipite fu Bertha Mason in “Jane Eyre” di Charlotte Brontë) è precisamente la forza creatrice delle opere di Machado; sono proprio le modalità di questo sovvertimento a costituire l’elemento discriminante che la rende una voce unica nel panorama letterario contemporaneo.

Carmen Maria Machado nasce il 3 luglio del 1986 ad Allentown, terza città più popolosa della Pennsylvania. Attualmente vive a Philadelphia con la moglie Val Howlett, anche lei scrittrice. Ha ottenuto un Master of Fine Arts all’Iowa Writers’ Workshop, uno dei programmi di scrittura creativa più esclusivi degli Stati Uniti, che annovera fra i suoi alumni autori del calibro di Flannery O’Connor, John Irving (sotto l’egida diretta del professore Kurt Vonnegut), Ann Patchett, Raymond Carver, Denis Johnson e molti altri ancora. Nel 2017, solo un paio di giorni prima che nascesse il movimento #MeToo, portando alla luce le testimonianze di diverse attrici sugli abusi subiti per anni dal mogul hollywoodiano Henry Weinstein, usciva nelle librerie “Her body and other parties” (edito in Italia da Codice Edizioni con il titolo “Il suo corpo e altre feste”, 2019). L’esordio di Machado è una raccolta di otto racconti, dominati da soggettività femminili e imperniati su temi come la sessualità non eteronormata, la corporalità e l’essere grassa, la violenza sessuale, la maternità, il potere – anche pericoloso – della scrittura e il rapporto fra normalizzazione della violenza maschile e sacrificio femminile.

Attraverso una miscellanea di generi, che vanno dalla tassonomia della fiaba alle leggende urbane, dalle contaminazioni sci-fi allo humour grottesco e al weird, l’esordio di Machado segna un punto di rottura con il canone tradizionale: se le narrazioni dominanti intrappolano le donne in soffitta fino a renderle pazze, il minimo che queste possano fare è appropriarsi di quello spazio, facendolo loro.

Ne “Il suo corpo e altre feste” troviamo riscritture di racconti popolari, come “Il nastro” (ispirato alla raccolta horror per ragazzi “In a Dark, Dark Room and Other Scary Stories” di Alvin Schwartz): una donna, profondamente innamorata del marito e pronta ad assecondarne ogni desiderio, ha una sola richiesta per lui: che non le tocchi mai il nastro verde che lei porta sempre al collo. Lui se ne ossessiona, non resiste, dopo anni glielo sfila, senza nemmeno pensarci, e la testa della donna rotola giù.

Ci sono modelle nude usate come piatti in ristoranti sushi, uomini che tengono le braccia serrate strette sul petto e, quando le rilassano, le viscere cadono a terra. C’è una donna che ha appena avuto un parto difficile, che ha reso necessaria l’episiotomia (operazione chirurgica che consiste nell’incisione della parete posteriore della vagina per allargare l’orifizio vaginale, allargando quindi il canale del parto): suo marito, scherzando col medico, gli chiede se sia possibile aggiungere qualche punto; l’implicazione di fondo è che così la vagina della donna diventerebbe più stretta, conferendo un maggiore piacere sessuale a lui, a discapito della sofferenza di lei. C’è la dichiarazione della scomparsa di una sesta bambina nera, che ha interrotto l’ultimo episodio di una popolare soap-opera: alcune spettatrici chiamano indignate chiedendo come vada a finire la puntata; qualcuno invia al commissariato una busta con dell’antrace. Ci sono liste su liste: rapporti sessuali, frutta e verdure, mobili della casa di stanza in stanza, persone scomparse in circostanze misteriose.

Ne “L’inventario”, una donna elenca tutti i rapporti sessuali che ha avuto, mentre gradualmente il lettore scopre che è scoppiata una pandemia mondiale, che ironicamente sembra trasmettersi proprio attraverso i rapporti sessuali. Il racconto più celebre della raccolta, intitolato “Particolarmente esecrabili: 272 visioni di Law & Order: Unità Vittime Speciali” (incluso dall’Huffington Post nella lista “The 10 Best Short Stories You’ve Never Read”), è la ri-narrazione in chiave lynchiana, nella forma di brevi sinossi da poche righe, delle 12 stagioni di Law & Order. Alle indagini del duo Stabler e Benson si aggiungono doppelgängers, edifici e cemento che respirano come creature vive e affamate, ragazzine stuprate e uccise che tornano a perseguitare i due protagonisti giorno e notte, con campanelle al posto delle orbite, poteri di vaticinio passati da persona a persona come una condanna a morte. Machado fa a pezzi l’appetito del grande pubblico per la giovane vittima donna, e le tecniche narrative tipiche degli show polizieschi: in questo racconto, le vittime non si limitano a prendere lo spazio di quei tre minuti prima che parta la sigla, bensì restano per l’intera serie tv, e seguono e perseguitano, vendicative.

Nel 2019 esce negli States il secondo libro di Carmen Maria Machado: non ancora un romanzo, ma un memoir; in Italia è uscito questo mese sempre per Codice Edizioni, con il titolo “Nella casa dei tuoi sogni” (in originale: “In the Dreamhouse”).
Navigando i confini tra la fiction e la non-fiction, il memoir di Machado si rivela una continuazione dialogica dell’operazione inaugurata con il suo esordio: quei nuclei tematici fanno ritorno, ma con un gioco di generi e forme ancora più estremizzato, creando uno spazio nuovo rispetto alle caratteristiche tipiche del genere memorialistico. Inoltre, questa seconda uscita nasce da un’altra esigenza, ovvero quella di raccontare la sua relazione abusiva con l’ex compagna. Contrariamente all’opinione diffusa circa scelte artistiche affini, nella stesura di questo memoir non c’è nessun potere catartico o terapeutico: per Machado è come affondare un coltello nella carne, o come sbucciarsi via la pelle con un pelapatate. Tuttavia è necessario.

L’opera di riscrittura a ritroso effettuata da Machado non si limita a un atto di ri-immaginazione del passato e dei canoni tradizionali – quello personale dell’autrice, ma anche quello collettivo di essere una donna, e una donna lesbica -, ma anche di ridefinizione degli spazi che questa memoria pervasiva abita. Il libro, che si apre con una dedica: “Se ne hai bisogno, questo libro è per te”, è suddiviso in vignette, ognuna intitolata “La casa dei tuoi sogni come…”, a cui si aggiungono spesso sostantivi, per esempio: “…Confessione”, “…Viaggio d’amore”, “…Romanzo pulp lesbico”, “…Utopia”.

Partendo dalla definizione di “violenza dell’archivio” di Saidiya Hartman, riferendosi all’oblio in cui versano molte storie distrutte o mai pronunciate, Machado costruisce un memoir dove ripercorre la sua relazione abusiva con l’ex compagna, “la donna della casa dei sogni”. La scrittrice mette a nudo i suoi archivi taciuti, cercando nuove forme di espressione che diano visibilità e rilevanza a una realtà, quella della violenza domestica queer (in particolare nelle relazioni lesbiche), spesso minimizzata e ignorata. La violenza sessuale nelle relazioni lesbiche, per dirla con Machado, è sempre stata sminuita, minimizzata, non presa sul serio, e le fonti sull’abuso domestico queer sono vergognosamente scarse: non per un’assenza di materiale, di storie vissute in prima persona o come testimoni, ma proprio per uno stereotipo di fondo, per una volontà di non vedere, spesso osteggiata proprio dalla stessa comunità lesbica.

In questo sperimentalismo formale, Carmen Maria Machado utilizza espedienti narrativi come il deja-vù, ovvero la riproposizione dello stesso capitolo in tre varianti, che rivelano un graduale e minaccioso cambiamento nella relazione – dal desiderio alla gelosia, dalla passione all’abuso -, nonché il capitolo “Choose your own adventure”: un meccanismo narrativo claustrofobico in cui i lettori diventano Carmen, e devono fare delle scelte che li reindirizzeranno a esiti differenti.
Più di tutto, la relazione che ha legato la scrittrice alla sua ex compagna è come una casa senza porte, senza armadi dove nascondersi, dove cercare riparo. È una casa di vetro dove il pubblico assiste alla quotidianità distorta dalle gelosie, dalle urla e dagli attacchi, inerme. È un palazzo dove gli altri vedono la porta d’uscita, ma non Carmen, non la vittima dell’abuso. Non è l’autopsia di una relazione finita, ma un primo piano sulla parabola più o meno lineare che le relazioni abusive seguono, come la struttura di una fiaba (o, ancora di più, un racconto dell’orrore). È anche dalle crepe di quei colpi assestati al muro che può emergere la via d’uscita.

Insieme a figure come Maggie Nelson e Eileen Myles, Carmen Maria Machado reinventa ex novo le modalità con cui raccontare cosa significa essere donna, queer e amare le proprie bizzarrie ed eccentricità, proprio perché risultano spesso aliene e incomprensibili al pubblico mainstream. A leggere i suoi due libri, in attesa che pubblichi altre opere, emerge il desiderio di avere la chiave per quella soffitta, dove forse tutte quelle donne pazze scrivono, ridono, creano storie e nuove forme con cui raccontarle.

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