Piccola e media editoria. Case editrici indipendenti. Spesso si usano queste definizioni, ma chi sono? Cosa le distingue dal resto del mercato editoriale? Marcos y Marcos è una di queste. Nata nel 1981, celebra nel 2021 i suoi quarant’anni di attività. Una casa editrice giovane che alimenta il fermento culturale delle tante, piccole realtà editoriali in Italia. Quelle degli esordienti, dei giovani, ma anche dei Premi Nobel e Pulitzer.
Claudia Tarolo, editor, traduttrice e co-editore di Marcos y Marcos, ci ha raccontato cosa significa dirigere una casa editrice indipendente oggi.
Lei, laureata in giurisprudenza, è passata dalla dirigenza di una multinazionale alla conduzione con Marco Zapparoli della casa editrice Marcos y Marcos. Alla competenza giuridica si aggiunge l’amore per i libri e la lettura, quanto influisce la Sua formazione in un campo dominato dalle leggi del mercato, come l’editoria?
La passione per i libri, per il testo, è naturalmente il primo motore, quello che mi ha spinto a fare il salto dalla grande azienda con le sue sicurezze a una casa editrice indipendente e spericolata. La formazione giuridica e l’esperienza professionale abbastanza variegata (ho lavorato per un anno anche al Sole 24 ore) che ho portato in Marcos y Marcos sono state sicuramente utilissime sotto molti punti di vista, direi soprattutto per l’abitudine all’analisi, all’oculatezza organizzativa, alla relazione con i collaboratori. Oltre alla competenza nella comprensione e stesura di un contratto, la capacità di gestire una trattativa. Per il resto, lo spirito della casa editrice non è cambiato: la speranza di combinare qualità ed entusiasmo creativo con le necessità aziendali ha contraddistinto la nostra azione fin dall’origine. E io mi sono sempre occupata prevalentemente di scelta di libri da pubblicare e cura del testo.
Marcos y Marcos è una realtà giovane e indipendente, tra le più affermate. Il vostro catalogo spazia dagli autori stranieri, Premi Nobel e Pulitzer, ai giovani italiani, passando per la poesia. A quali obiettivi punta oggi la Sua casa editrice rispetto al passato?
I nostri obiettivi sono immutati: pubblicare libri belli, che aprano finestre sul mondo, e fare ogni sforzo per farli conoscere. Sono cambiati i mezzi, piuttosto. Quarant’anni fa, quando è nata Marcos y Marcos, non esisteva internet, le case editrici indipendenti erano ancora una novità che attirava l’attenzione. Ora ci sono nuovi ostacoli e nuove occasioni, e noi dobbiamo continuare ad aggiornare le nostre strategie di azione e comunicazione. I libri, invece, anche nella loro consistenza fisica, sono sempre attualissimi, anzi, un punto di riferimento sempre più necessario in un mondo dove dispersione e frammentazione dilagano.
La scelta della poesia. In un paese fondato sulla tradizione poetica, in cui però si legge poca poesia, voi continuate a produrre tre raccolte poetiche l’anno nella collana “Le Ali”, curata da Fabio Pusterla, e investite sui giovani, attraverso l’iniziativa dei “Quaderni di poesia contemporanea” con cadenza biennale, che richiama i progetti di Tondelli tra gli anni ’80 e ’90 per la narrativa. Da dove nasce questa idea e perché credete ancora nel valore del poesia nella letteratura contemporanea?
La poesia è nel nostro DNA; il primo libro pubblicato da Marcos y Marcos è una piccola raccolta poetica, E da segrete scale di Georg Heym. Da allora non abbiamo mai smesso, e siamo molto orgogliosi di aver fatto conoscere in Italia due poeti del calibro di Umberto Fiori e Fabio Pusterla, di cui abbiamo pubblicato quasi l’intera opera. Ora con la nostra collana Le Ali, grazie alla direzione di Fabio Pusterla, ci proponiamo un obiettivo ancora più ambizioso: prendere posizione sul tipo di poesia che vogliamo difendere. Ogni anno infatti pubblichiamo un poeta “giovane”, o addirittura esordiente, un poeta importante e ingiustamente dimenticato (è stato il caso di Luigi Di Ruscio, Ferruccio Benzoni, e quest’anno di Adelelmo Ruggieri, che con il suo La città lontana aprirà il 2021). Siamo convinti che la poesia occupi uno spazio sempre più importante nella letteratura contemporanea, uno spazio in cui la parola risuona in tutta la sua potenza, in un certo senso si erge e ci guida in un mondo troppo dominato da immagini e rumori.
Negli ultimi tre anni due libri editi da Marcos y Marcos sono stati selezionati per il Premio Strega. Come ha vissuto da editor la partecipazione al premio letterario più importante d’Italia? Quest’evento può rappresentare uno stimolo per investire sulla letteratura italiana?
Il Premio Strega è senz’altro un indicatore di una tendenza più generale a valorizzare gli autori italiani. Anche i dati Istat parlano chiaro: piccola flessione della letteratura straniera in favore di quella italiana. Sono cresciute persino le vendite dei diritti di traduzione all’estero. Noi sulla letteratura italiana abbiamo sempre investito; forse in questo momento di maggior diffusione è più difficile, paradossalmente, ottenere attenzione proprio per l’abbondanza della proposta. La nostra regola continua a essere molto semplice: pubblichiamo solo autori in cui crediamo sino in fondo e ci battiamo con tutte le nostre forze per farli conoscere.
Come riesce a scovare il testo inedito con potenzialità, capace di sfondare, nella massa degli invii spontanei e non? Alcuni parlano di fiuto, altri di pura casualità, di manoscritti finiti sulla scrivania accidentalmente o di incontri illuminanti. Per Lei come funziona?
In vent’anni di esperienza mi è capitato di tutto. Il nostro autore italiano più venduto, Fulvio Ervas, è arrivato in casa editrice con un manoscritto inviato per posta, tra i tanti che arrivavano ogni giorno; Doris Femminis è stata il suggerimento di Luca Mengoni, il pittore che illustra le copertine della nostra collana di poesia; Giorgio Caponetti era il proprietario di un agriturismo dove mi è capitato di pernottare. Quello che in ogni caso deve scattare è una sorta di innamoramento per il testo. Tra centinaia di testi che comincio a leggere, arrivati da tante fonti diversissime, mi accade di rado, e quando accade è una felicità assoluta, di incappare in quello che mi appassiona e che mi viene voglia di pubblicare e difendere.
Com’è cambiato il mestiere dell’editor con la pandemia? E quanto ha influito la chiusura delle librerie e il lockdown in generale sulle vendite e sulla pubblicazione dei nuovi libri?
La pandemia, soprattutto nella fase iniziale, è stato un vero shock. Di colpo tutte le librerie chiuse, tutti i festival cancellati, Amazon che non consegnava più i libri… Avevamo lavorato tanto su un romanzo italiano, Eva e le sue sorelle di Tieta Madia, sembrava partire benissimo e invece è uscito proprio nel giorno della chiusura ed è stato molto penalizzato. Lo stesso si può dire dell’Inguaribile di Tommaso Soldini. Avevamo programmato un fantastico tour per farlo conoscere, trovando le persone giuste per accompagnarlo, e ci è crollato tutto all’improvviso. È stata una mazzata da cui ci siamo ripresi con molta fatica, soprattutto grazie all’intraprendenza dei librai indipendenti che hanno dimostrato un’incredibile capacità di reazione e resistenza. Anche la legge sul libro, entrata finalmente in vigore, vietando lo sconto ha finalmente rimosso un fattore di ingiusto vantaggio per colossi e store on line. Insomma, siamo abituati a lavorare in condizioni estreme, e alla fine ci siamo adattati persino alla pandemia. Sperando riprendano presto gli incontri e gli scambi che sono la linfa della nostra attività e della nostra vita, per ora teniamo duro, riduciamo le tirature perché le vendite medie sono calate, ma non smettiamo di credere in un buon libro.
L’editor è anche uno scrittore, almeno in parte. Non ha mai nutrito il desiderio di darsi alla scrittura creativa, non abbandonando l’impegno di editor, ma facendo convivere le due anime?
Mi piace molto lavorare sui testi altrui e mi piace molto tradurre. Quasi ogni anno mi concedo di tradurre un romanzo, naturalmente scegliendo quelli che mi sono più congeniali. Ecco, per ora l’attività parallela di traduttrice appaga il mio desiderio di praticare la scrittura, seppure, diciamo così, di secondo grado. In futuro, chissà.
Pensiamo al futuro. Quali sono le opere di prossima pubblicazione alle quali ha lavorato?
Nell’ultimo periodo ho rivisto soprattutto traduzioni di autori stranieri. Il prossimo che esce è Swing Low, di Miriam Toews, tradotto da Maurizia Balmelli; l’ultimo libro che ci mancava per completare la pubblicazione di tutta l’opera di Miriam Toews fino a questo momento. Poi ci sarà il nuovo romanzo di Tibor Fischer, che ci ha deliziato nel 2020 con la sua Gang del pensiero, ed è riuscito persino ad approfittare di una miracolosa finestra nella pandemia per fare un bel tour italiano: Come governare il mondo, tradotto da Marco Rossari. Proiettandoci ancora più in là, un romanzo africano di un’altra autrice che è già nel nostro catalogo: Il grande azzurro di Ayesha Harruna Attah, tradotto da Francesca Conte.