Uno scontro tra due solitudini.
Due mondi che collimano in un’apparente e viscerale mancanza di dialogo.
Più leggero dell’aria di Federico Jeanmaire è stato pubblicato in Italia dalla casa editrice Pessime idee pochi mesi fa, ma ha visto la luce in Argentina più di dieci anni fa ed è stato insignito dal premio Nobel José Saramago, proprio un anno prima di morire, nel 2009 del premio Clarín de Novela. Federico Jeanmaire, tra i maggiori scrittori argentini contemporanei, ha vinto anche il Premio Emecé nel 2008 per il romanzo Vida interior.
L’anziana Rafaela, aggredita da un quattordicenne mulatto, riesce a rinchiudere il giovane ladro dentro il bagno di casa e lo costringe ad ascoltarlo, convinta che dal dialogo e dal racconto con un fine pedagogico possa scaturire la redenzione del ragazzo, della sua generazione. Questo fine, perseguito con costanza e determinazione dall’anziana signora, che rappresenta il classismo e il paternalismo di una certa generazione non solo argentina che pretende di insegnare, di risolvere tutti i problemi con la certezza della circolarità della Storia e dei suoi insegnamenti, in realtà rivela una disperata solitudine che rende il giovane Santi necessario per dare un senso a quel che resta della sua vita, per riempire le sue giornate.
Rafaela che è stata per anni maestra elementare percepisce il fine paideutico di quella reclusione come un’urgenza, ma rilegge tutta la sua storia personale e collettiva attraverso la lente di una vecchia borghesia superata che non riesce a capire fino in fondo la complessità della nuova generazione, le differenze culturali e ha un atteggiamento quasi da colonialista. Il personaggio di Rafaela rivela un’ipocrisia di fondo, perché, pur essendo attiva politicamente, convintamente antiperonista, rappresenta quella parte di società che crede di sapere tutto e di fare il bene per gli altri, ma assume un atteggiamento di superiorità, guarda dall’alto verso il basso chi non appartiene al suo mondo.
Nel romanzo Santi è un personaggio muto, i cui comportamenti e le cui parole sono scandite solo dal punto di vista della voce narrante che lo racconta come un soggetto instabile, una scheggia pazza capace tuttavia di provare sentimenti profondi e autentici, riversando sul ragazzo tutta l’instabilità derivante dalla mancanza di prospettive che l’età avanzata le fornisce.
La forma del monologo interiore, del flusso di coscienza di una narratrice più che novantenne, ma non per questo meno energica e vitale, permette di innescare il meccanismo di riflessione sulla differenza sociale e anagrafica che separa i due protagonisti. L’opera di Jeanmaire, raffinata e appassionante, non rinuncia a tratti di comicità per denunciare problemi sociali e politici rilevanti. In particolare, riflette sul razzismo di un Paese che è assuefatto all’idea di differenza, senza riuscire a operare la creolizzazione necessaria per permettere la naturale e pacifica convivenza di culture diverse che continuano a essere percepite come inferiori, quasi sbagliate, ammorbate da stereotipi incancellabili. Ma, alla fine, Rafaela e Santi sono accomunati da un’esigenza umana, universalmente valida e condivisibile, la solitudine, che li unisce in un dialogo fitto e li condurrà a un destino comune e ineluttabile.