Il ballo più terribile di tutti

All’inizio degli anni Cinquanta negli Stati Uniti d’America, la radio era un riferimento importante per scoprire ed ascoltare musica; rappresentava un mondo di suoni nuovi a cui avvicinarsi per esserne rapiti per sempre. Chi parlava in radio e sceglieva la musica da trasmettere aveva inevitabilmente un potere enorme nella sua diffusione, nella scoperta di nuovi talenti e nella creazione di nuove tendenze. In un paese diviso tra bianche e neri, talvolta anche fisicamente, con bagni e sale da ballo separate, la musica era un terreno borderline. Molta di quella che piaceva ai bianchi la suonavano i neri. Si stava appena superando il periodo delle race record: le etichette della musica incisa dai neri per i neri.

Ricostruire un po’ di questo background storico è decisivo per comprendere le origini dell’esplosione del rock’n’roll, che passerà alla storia come un fenomeno “bianco”, troppo bianco, rispetto alla sua vera genesi. A inizio Novecento, i dischi si stampavano solo per incrementare la vendita dei fonografi che ne potevano riprodurre il suono. Quando il costo di questi antenati dei giradischi scese, una fetta crescente di afroamericani poteva finalmente permetterseli e le race record, che spopolavano soprattutto tra gli anni Venti e Quaranta, si accaparrarono i migliori artisti neri da mettere sotto contratto, spaziando dal jazz, al gospel, al blues. Ma come già detto, questa musica nera piaceva anche ai bianchi che ne acquistavano i dischi tanto da incrementarne notevolmente le vendite già dalla metà degli anni Venti. Un duro colpo al mondo delle race record lo assestò però la Grande Depressione, la crisi economica che sul finire degli anni Venti, dall’America si diffonderà in tutto il mondo, distruggendo e azzerando quasi completamente i mercati. Da lì a pochi anni, con l’aggiunta degli stravolgimenti complessivi portati dalla Seconda Guerra Mondiale, niente sarebbe stato più come prima e si mescoleranno le carte anche nella musica. Tutto quel mondo afroamericano delle race record cominciò a convergere sotto la più accettata definizione di rhythm and blues. Fin dalle battute conclusive del conflitto mondiale, le città di mare, soprattutto europee, divennero porti privilegiati per accogliere queste nuove sonorità; non a caso Amburgo, Liverpool e la stessa Napoli, dove erano di stanza le navi americane cariche di soldati con i loro dischi, avranno inizialmente “scene” musicali più vivaci e importanti delle loro stesse capitali. È in quelle città che succederanno, seppur a livello embrionale, le cose più interessanti, fra cui le prime contaminazioni musicali.

Chuck Berry

In America, i primi anni Cinquanta fecero da incubatori per tutto ciò che sbarcherà successivamente dalle navi e dalle radio in Europa. Il rock’n’roll ha origini nere, radicate nel blues più ritmico che si sviluppa in quel periodo, ma troppo spesso, quelle origini, vengono imbiancate dalla storia commerciale successivamente intrapresa dall’industria discografica. Ciò non sminuisce affatto il talento e il peso che musicisti bianchi come Jerry Lee Lewis, Buddy Holly e soprattutto Elvis Presley, hanno avuto su intere generazioni. Ma non furono i soli, basta infatti sfogliare le biografie delle principali rockstar bianche degli anni Sessanta e Settanta, come Stones, Beatles, Cream, eccetera, per capire, l’influenza sulla loro formazione artistica che hanno avuto musicisti come Chuck Berry, la troppo poco ricordata Sister Rosetta Tharpe, Maddy Waters, addirittura le corde acustiche di Robert Johnson e tantissimi altri. È dalla musica nera che hanno attinto a piene mani, e, ben lungi dal negarlo, lo hanno, in ogni occasione, sostenuto come un vanto. Ma torniamo alle radio, alle origini della diffusione di questa nuova musica, anzi meglio, alle voci radiofoniche che l’hanno lanciata. E a proposito di questo, tutte le tracce e gli indizi portano ad Alan Freed, che pare abbia avuto il merito di pronunciare per la prima volta il termine rock and roll dal microfono di una stazione radiofonica, riferendolo a “una strana forma di rhythm and blues”. Non è questa la sede per descrivere nei dettagli l’impatto complessivo avuto dal rock and roll da metà anni Cinquanta in avanti, a livello musicale, politico, sociale, commerciale, culturale e di costume. Ci basti tenere in conto che, nonostante i vantaggi che il sistema capitalista si assicurò, creando una nuova fetta di mercato incarnata dai teenegers a cui vendere musica, quello stesso sistema si scontrava con la carica di ribellione che quella stessa musica, per movenze e messaggio, si portava dentro.

L’anno 1954, con l’uscita del brano Rock Around the Clock di Bill Haley, secondo storici e critici musicali, rappresenta un po’ la data di nascita del rock; ma lo è probabilmente più per l’industria del rock, delle case discografiche e della loro capacità di creare l’immagine delle rockstar. Qui invece vogliamo solo sottolineare e descrivere uno dei primi momenti in cui questo fenomeno comincia a essere gente in carne e ossa sotto a un palco. Vogliamo proiettarci in una sera precisa, quella in cui si tiene il primo concerto rock della storia e capire come si possa essere arrivati fin lì.

 

Alan Freed lavora e vive a Cleveland, e dal suo seguitissimo programma radiofonico lancia un appuntamento per una serata dal vivo, con lo slogan “Most Terrible Ball of All”, il ballo più terribile di tutti. Il 21 Marzo, la sera in cui si salutava l’inverno del 1952, alla Cleveland Arena, in Ohio, si tenne il Moondog Coronation Ball. I primi biglietti andarono a ruba immediatamente, tanto che se ne dovettero stampare altri per una nuova serata. A questo punto però, fu commesso un errore clamoroso (non si sa quanto volutamente).

Nella stampa dei biglietti, tutti venduti a un dollaro e mezzo, non c’era differenza alcuna tra una serata e l’altra, né venne differenziata la data dei due giorni di concerto, per cui, all’Arena, la sera dell’equinozio di primavera, si presentarono moltissime persone in più rispetto a quante ne potesse contenere la sala. Non poche in più, ma alcune migliaia in più. Stime dell’epoca parlano di diecimila spettatori all’interno e altrettanti fuori. Tuttavia la serata ha inizio e la prima sorpresa arriva quando “Moondog” o “King of the Moondoggers” – questi i soprannomi del dj radiofonico Alan Freed – si presenta sul palco. Il noto presentatore, che al suo programma passava solo musica nera, era davanti a una platea formata in gran parte da afroamericani. Fino a quel momento era solo una voce, molto familiare, ma niente più che una voce, che solo in quell’istante si scoprì essere di colore bianco. Svanito lo stupore, la serata doveva avere inizio. La band di punta era Paul Williams and His Hucklebuckers, sostenuti da altre band come Tiny Grimes and his Rockin’ Highlanders e i Dominoes and Varetta Dillard. Ma questo programma rimase solo sulla carta perché, poco dopo l’inizio, venne giù la vetrata d’ingresso sotto la calca delle migliaia di spettatori che rimasero fuori e che al sentir le prime note provarono a farsi spazio verso l’interno. Accorse la polizia, gli idranti dispersero la folla a fatica, in quello che di fatto fu l’esordio dei concerti rock nella storia. Il bello doveva ancora venire.

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