Ci sono libri che ti agganciano subito – vuoi per una frase, una parola, lo stile – e poi ti deludono. La partecipazione iniziale non basta per tutte le pagine e il sentimento verso quel lavoro narrativo è ondivago. Al lettore resta addosso un senso di frustrazione, come se venisse fuori da una storia sentimentale che pareva promettente e invece non supera la prova di realtà. Ma ci sono anche i libri che ti prendono e ti conducono dove vuole l’autore, senza freni. La figlia unica di Guadalupe Nettel, scrittrice messicana tradotta in Italia da Federica Niola, prima per Einaudi e oggi per La nuova frontiera, è un romanzo che trattiene il lettore e lo coinvolge. Ciò avviene per tre motivi: i temi del romanzo, la struttura minimale di ogni capitolo e la scrittura fulminea e elegante della Nettel, che avvolge e scalda, accompagna e illumina. A pensarci, è questo che ricerca ogni lettore: riconoscersi, approfondire, intrattenersi, trovare nel testo che ha davanti una scintilla che lo induca a tornare, a indugiare, ad affezionarsi a una voce.
La voce di Laura, il personaggio a cui la Nettel affida le redini della narrazione, è un chiodo e al contempo un abbraccio. Laura è una donna cocciuta, indipendente e la conosciamo immersa nella sua esistenza: è convinta di non voler diventare madre e lo sa così bene che decide di sottoporsi ad un intervento chirurgico per scongiurare l’eventualità di una maternità indesiderata. Per Laura, e non solo per lei, le donne ad un certo punto negli anni si possono catalogare in quelle che inseguono una gravidanza e quelle che la rifuggono. Anche Alina, una cara amica di Laura, è convinta di non voler diventare genitore, finché il suo punto di vista cambia e la prospettiva di essere madre la riempie e la motiva. Le abitudini di Alina cambiano, e con esse anche i riti di cui è fatta l’amicizia con Laura. Il punto di vista delle due donne è confliggente ma l’affetto è più forte di ogni divergenza. Alina diventa madre di Ines, una bambina affetta da una patologia rara ma animata da un anelito vitale incredibile. Man mano che Ines combatte per esistere, sua madre intraprende un viaggio dentro sé stessa, alla scoperta delle sue ansie e debolezze. Non molto lontano, mentre una coppia di piccioni nidifica sul suo balcone e si ritrova nel nido un uccellino di un’altra specie, Laura si lega al figlio della sua vicina di casa, Doris. Sia lei che suo figlio sono vittime di un marito e un padre violento che ha marchiato con l’ira e la forza fisica la psiche dei suoi familiari. Laura si ritrova ad essere una sorgente di energia positiva e di amore incondizionato, suo malgrado, e in questo percorso inatteso riallaccia anche il rapporto con la madre. Le donne del romanzo sono interconnesse, congiunte da vicissitudini e sensazioni. Intorno a loro ruotano medici, baby sitter, mariti e il quotidiano con le sue pretese e frenesie.
De La figlia unica si è scritto che è un testo sulle declinazioni della maternità, ben oltre la biologia e il parto. Tutto vero, ma è anche un libro sulla sorellanza, sulla capacità di certe donne di fare squadra, di migliorarsi l’esistenza reciprocamente, di generare legami e prendersene cura. Come ha spiegato la Nettel in questa bella intervista curata da Francesco Raiola per Fanpage.it, la storia mette in luce la pochezza dei luoghi comuni sulla maternità (il peso che ha nel tarare la femminilità di una donna, la gogna, esplicita e implicita, a cui vengono esposte le donne che non desiderano diventare madri, la difficoltà e le incognite a cui la maternità espone una donna, ponendola, talvolta, dinanzi a vere aporie) e offre una visione alternativa alla limitatezza delle soluzioni che il pensiero collettivo prevalente riesce ad immaginare. Gli eventi del libro sono ispirati ai racconti di un’amica della scrittrice ma la finzione narrativa è dominante, è il linguaggio favorito e dunque prioritario. La relazione col corpo, i riflessi dei cicli della natura e degli eventi quotidiani sulla psicologia umana sono i nuclei della visione dell’autrice, sono i punti cardinali del suo sguardo. La fiducia nel genere femminile è in ogni pagina, come la consapevolezza dell’autrice di un portato vitalizzante che viene da lontano, ancestrale. Sul finale a pag. 205 la Nettel scrive “è vero che esiste il destino, ma c’è anche il libero arbitrio, e consiste nel modo in cui prendiamo le cose che ci tocca vivere”. E su questo concetto si fondano le decisioni, le azioni dei personaggi: un continuo opporsi al determinato, al così fan tutti per costruire punti di vista e campi di azione personali.
Sono le donne le api regina dell’alveare di trame che la Nettel ci consegna: un romanzo apparentemente snello, innervato di eventi, anche minimi, e di una vena di mistero, di irrazionalità, di magia che sospingono il lettore verso il dipanarsi della complicanza, che è praticamente la normalità in qualsiasi vita. E il bandolo della matassa sta nel virgolettato sopra, nell’intraprendenza di ciascuno, nel protagonismo esistenziale, nel non tradirsi, nell’ascoltarsi, nel volersi bene per volerne a chi ci sta vicino. A prescindere dai legami di sangue.