A volte le persone si riconoscono e riconoscendosi si influenzano. È quello che capita, appena bambini, ai protagonisti de L’Americano, l’ultimo romanzo dello scrittore Massimiliano Virgilio (Rizzoli editore). Leo e Marcello si incontrano nell’androne del palazzo il giorno che Marcello rientra a Napoli con la sua famiglia. Marcello è figlio di un impiegato del Banco di Napoli e di una donna che per hobby legge gli oroscopi alla gente. È un bambino intelligente, attento a non deludere i suoi e attratto da ciò che accade oltre i recinti, le raccomandazioni, le ramanzine. Leo, detto l’americano, non sa neanche cosa siano le ramanzine, passa i pomeriggi a palleggiare e a sfidare i pericoli per strada. Ha una folgore nello sguardo. Suo padre è un camorrista e sua madre, originaria dell’America, si impegna in una mensa di quartiere.
Leo e Marcello hanno in comune più di un aspetto: entrambi sono arguti, entrambi sono curiosi. Lo scarto tra di loro lo marca la possibilità. La possibilità di poter sfuggire a un destino preconfezionato, agli errori dei padri, alle contaminazioni. L’adolescenza li modella e li proietta verso la giovinezza prima e l’età adulta poi, senza un pallone da calciare e bravate da condividere. Verso scelte ed azioni irrevocabili, fino allo scioglimento finale. Intorno a Marcello e a Leo si muovono genitori, donne, figli e un apparato umano determinante per la caratterizzazione dei personaggi. Mentre le esistenze dei due si compiono lungo il ciclo di stagioni che li allontanano e li riavvicinano, si srotolano trent’anni di storia italiana, dagli anni Ottanta a oggi.
Napoli è il punto di osservazione, la città madre, quella a cui si torna, col fisico o con la mente, nonostante le fughe volute o obbligate. Se avete letto Virgilio, anche a prescindere dai romanzi, sapete che il suo sguardo su Napoli è esigente, critico, innamorato. Niente cliché, nessuna cartolina: solo il racconto di un non luogo, di una terra abbagliante, fetente, traditrice attraverso gli occhi di personaggi nati e cresciuti nei vicoli, dove i confini tra le persone sono inconsistenti. È per questo che Marcello si ritrova di fronte a Leo: insieme tenteranno di tirarsi via dalla fossa dei leoni che li risucchierà comunque. La consapevolezza nel maneggiare la materia narrativa e la struttura del romanzo (salti temporali, cambi nei punti di vista) attestano una maturazione di Massimiliano Virgilio come scrittore. È convincente questa epopea umana raccontata dal Sud, che richiama alla mente la visione di Giordana e di Tornatore.
Impossibile non pensare leggendo Alla meglio gioventù o a Nuovo cinema paradiso (le connessioni tra le vicende di due famiglie e la storia collettiva, il rapporto con le proprie origini, la fuga da un luogo maledetto eppur amatissimo, la relatività del concetto di salvezza se viene dalla testa e dai pensieri di un genitore o di un amico e non dalla tua). Già con Arredo casa e poi mi impicco (Rizzoli) questo fuoriclasse della scrittura ci aveva regalato emozioni palpabili, reali. Con L’Americano Virgilio si supera e si misura con la tecnica, fino a concludere un romanzo indimenticabile. Dentro ci sono i temi che animano la letteratura da sempre: la vita, la morte, il tempo, le relazioni umane, il fato, gli incontri. Accanto a tutto questo, c’è una componente pulp. La camorra è, infatti, una co-protagonista assoluta della storia, dall’inizio alla fine. La criminalità inficia le esistenze di Leo e di Marcello come se fosse inevitabile. Bene e male assumono sfumature precise solo dentro i personaggi, col tempo, e sarà questa consapevolezza nuova a sostenerli anche nei momenti più cupi. Leo, più di Marcello, intratterrà una lotta intestina con se stesso, vincendola.
L’intensità delle pagine (e questa è una prerogativa di Virgilio) lascia spazio ad un’ironia di sottofondo che talvolta deflagra in riflessioni assolute, in verità che ci galleggiano nel cuore in attesa di un nome. Virgilio le nomina, una ad una, senza risolverle. Le lascia affiorare per poterle narrare, agganciando al cuore i lettori. Un colpo da maestro, non c’è che dire.