Letteratura

Cosa abbiamo letto nel 2021 | L’indiependente

Per brindare alla fine dell’anno abbiamo messo insieme una selezione di letture, libri usciti nel 2021 che ci hanno colpito e accompagnato negli ultimi mesi. Per chi ha voglia di recuperare una lettura, un breve viaggio attraverso il 2021 e le sue parole. Con l’augurio di un buon nuovo anno, pieno di mondi e parole nuove da scoprire, più ricco di letture sospese.
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Le cattive – Camila Sosa Villada

Sur, trad. Giulia Zavagna

Le cattive è il racconto in forma ibrida – romanzo, memoir, confessione – di un gruppo di giovanissime ragazze trans che, alla fine degli anni novanta, animavano la vita notturna del Parco Sarmiento nella città argentina di Córdoba. Sosa Villada – che faceva parte di quelle ragazze – è abilissima con la sua voce leggera a dare vita a un amarcord delicato, struggente e allegro che racconta di un universo femminile dominato ogni giorno dalla precarietà e dalla violenza; quella della miseria e della solitudine, quella degli sguardi indiscreti del mondo borghese, quella drammaticamente tangibile di clienti e forze dell’ordine. Non risparmia niente nel suo racconto: la sua è una rappresentazione incredibilmente onesta che non fa sconti al suo mondo e alla sua stessa vita: Le cattive è un ritratto dolceamaro di una casa di orfane, di donne a loro modo disperate eppure mosse da un istinto di vita straordinario che le rende – tra loro e con il lettore – complici in una natura fragile e determinata a un tempo; una storia di ostinazione, d’identità. Un viaggio profondo dentro i meandri anche oscuri della propria fragilità e dei propri desideri, il riconoscimento del valore di un’umanità bellissima e disarmante che nulla rinnega e nulla tace. Un’opera che sta qui a testimonianza di un insegnamento, a ricordarci che mai saremo in grado di riconoscerci se non guardando dentro i nostri personali e privati abissi.

Fabio Mastroserio


L’abito bianco – Nathalie Léger

La nuova frontiera, trad. Tiziana Lo Porto

Di libri meritevoli usciti nel 2021 ne ho letti diversi, ma a volerne scegliere solo uno, forse il più significativo tra tutti, non ho dubbi e dico un bel ricordo di quella sposa che si lancia sotto un cielo grigio per salvare il mondo, l’artista Pippa Bacca, scritto da Nathalie Léger (e di sicuro qualcuno si ricorderà di lei per aver letto Suite per Barbara Loden) arrivato in libreria a maggio di quest’anno per La nuova frontiera nella traduzione dal francese a cura di Tiziana Lo Porto. Un libro su Pippa Bacca, per Pippa Bacca e per tutte noi. Con L’abito bianco, infatti, Nathalie Léger incrocia più sguardi, mescola aneddoti e ricordi, cerca risposte. Sotto la storia di Pippa Bacca e la sua tragica e prematura fine, troviamo la storia personale dell’autrice, o meglio quella di sua mamma. Al centro c’è una profonda infelicità coniugale in seguito tramutata in un senso di ingiustizia che nessuno meriterebbe nella vita. La stessa ingiustizia che è toccata in sorte a Pippa Bacca, serena e sorridente sposa in viaggio.

Federica Guglietta


Camila Sosa Villada

Kim Ji-Young, nata nel 1982 – Cho Nam-Joo

La Tartaruga, trad. Filippo Bernardini

Alle porte dell’autunno del 2015 Kim Ji-Young, 34 anni, un marito, una figlia e una casa nella periferia di Seoul, mostra i primi segni di «strani disturbi» che la famiglia non riesce a interpretare e frenare. Comincia a parlare come se fosse la madre, prima, poi una compagna di università morta anni prima, fino a perdere progressivamente la sua identità. Quello che segue questo incipit oscuro è la vita dettagliata della protagonista, dall’infanzia fino al presente narrativo, e la sequenza meticolosa che l’autrice, Cho Nam-Joo, mette insieme è una spaventosa rappresentazione della condizione femminile nella storia più recente della Corea del Sud. Siamo di fronte a una penalizzazione sistematica e subdola delle ragazze e delle donne vessate da giudizi, aspettative e imposizioni sin dal momento della nascita. A illuminare il finale, prevedibilmente poco consolatorio, un breve saggio di Kim Ko-Youngcho, docente di Women studies, che analizza la storia della protagonista e rivela un doloroso arcano: questo è un romanzo sulla misoginia e, in quanto tale, parla di tutte le donne del mondo.

Alessia Ragno


Mai e poi mai il fuoco – Diamela Eltit

gran vía, trad. Raul Schenardi

Mai e poi mai il fuoco, romanzo originariamente uscito nel 2007 e portato in Italia quest’anno da gran vía nella traduzione di Raul Schenardi, è uno di quei libri che sapevo sarebbe entrato tra le letture significative dell’anno prima ancora di sfogliarne le pagine. E se leggete queste righe adesso, vuol dire che le mie aspettative non sono state deluse. I titoli che stanno arrivando in Italia di Eltit – l’anno scorso Manodopera – confermano il suo occhio politico, ancora una volta radicato nella storia del proprio paese, il Cile. Costruito come una sorta di lungo monologo della protagonista, il romanzo vede due ex militanti guerriglieri (auto)costretti in una clandestinità distante dalla società neoliberale portata avanti dalla dittatura e continuata fino al loro secolo. Il loro è un presente segnato dal disfacimento doloroso del corpo, dell’ideologia, con continui riferimenti a una “cellula” rivoluzionaria del passato e rimandi inevitabili ancora una volta a quell’unità base della vita biologica e quindi all’esperienza corporea dei singoli.

Martina Neglia


Diamela Eltit

Appunti sul dolore – Chimamanda Ngozi Adichie

Einaudi, trad. Susanna Basso

Ogni persona si trova quotidianamente di fronte a innumerevoli sfide, ma non c’è nulla di più difficile da affrontare della perdita di un genitore. Non esiste giorno più brutto nella vita di chi rimane. E rimanere è la vera sfida. Quasi impossibile restare lucidi e vigili quando tutto intorno sembra sfumare velocemente. Chimamanda Ngozi Adichie raccoglie in Appunti sul dolore le emozioni provate nei giorni successivi alla scomparsa dell’amatissimo padre avvenuta nel giugno 2020. Nei trenta frammenti che raccontano lo spartiacque tra il prima e il dopo il dolore è tutt’altro che inconsistente; è concreto, schiacciante, impenetrabile. Lontane dalla retorica del lutto, le sue parole rappresentano una ringhiera a cui aggrapparsi nel momento più buio. Adichie lotta contro la formalità dei riti creando un vocabolario inedito e privo di finzioni. Il rumore dei pensieri riempie il vuoto dell’assenza, non ci sono rimedi o consigli per superare un evento così drammatico. L’autrice non nasconde la rabbia di non aver potuto salutare per l’ultima volta il padre a causa della pandemia. Oggi rinunciare agli abbracci, subire attese estenuanti e accettare le distanze geografiche fa parte della vita, ma anche della morte. Tra i libri letti nel 2021 Appunti sul dolore è l’unico che mi ha davvero aiutato a convivere con un sentimento tanto doloroso quanto universale: la mancanza.

Ilaria Del Boca


Splendi come vita – Maria Grazia Calandrone

Ponte alle Grazie

Roma. 1965. Una bambina di otto mesi viene ritrovata sul prato di Villa Borghese. La madre Lucia Galante si è tolta la vita gettandosi nel Tevere insieme all’amante, dopo aver mandato una lettera a “L’Unità”. “La bambina trovata a Villa Borghese si chiama Maria Grazia Greco”. Quella bambina dallo sguardo tenero e innocente sarà poi adottata da Consolazione e Giacomo Calandrone e diventerà una delle voci più affermate della poesia italiana contemporanea. Splendi come vita è “una lettera d’amore”, come dichiara l’autrice all’inizio, una prosa lirica che indaga su un mistero affettivo profondo, viscerale.

Nunzio Bellassai


Lei che non tocca mai terra – Andrea Donaera

NN Editore

Miriam, dopo un incidente, è entrata in coma e Andrea, che di lei è innamorato, siede tutti i giorni lì vicino a lei e le parla. Le racconta la sua quotidianità, costruendo, assieme a lei, sé stesso e il mondo che ha attorno mentre Miriam, nel buio, torna indietro con la memoria a un passato di luci e ombre. Una storia dalle tinte gotiche, un romanzo crudo e vero come la realtà con cui dobbiamo avere a che fare tutti e tutti i giorni. Tra magia e disillusione, Andrea Donaera costruisce un romanzo popolato da personaggi, molti e coloratissimi che gravitano attorno ai due protagonisti, che s’incagliano dentro il lettore. Un romanzo che è a tratti una favola nera e che, con delicatezza, scandaglia senza paura le profondità di sentimenti ancestrali.

Mattia Insolia


Chimamanda Ngozi Adichie

Annette – Marco Malvestio

Wojtek Edizioni

Esordio potente, turbante e forse non adatto ai deboli di cuore, Annette di Marco Malvestio racconta la storia di un’ossessione e di una passione che può essere vissuta solo univocamente. La voce narrante è Marco (un Marco Malvestio che non è il Marco Malvestio autore), un trentenne padovano ingabbiato in uno stage sottopagato presso una casa editrice veneziana, il cui unico strappo alla noia quotidiana è l’accesso – attraverso filmati e fonti documentali, ma soprattutto attraverso l’invenzione – alle zone buie nella vita della sua pornoattrice preferita – Annette Schwarz, attiva dal 2002 al 2014, anno in cui si è ritirata dalla scena. Intersecando tre campi della finzione – la pornografia, l’amore e la scrittura –, l’esordio di Malvestio si profila come un testo profondamente ibrido: romanzo-saggio, saggio, auto-fiction, meta-narrazione, “un romanzo a tratti pornografico sul porno”. Frutto di una fitta ricerca di documenti reali, interviste, saggi sulla pornografia e, in primis, materiale pornografico, i contorni di Annette che si fanno sempre più nitidi sono sicuramente frutto dell’idealizzazione dichiarata dell’autore, ma nella sua Annette non c’è la riduzione a stereotipo tipica delle proiezioni dello sguardo maschile, anzi. Viene quasi immediato comprendere il perché questo saggio-romanzo possa essere letto anche come una storia d’amore. E in un Paese in cui dal punto di vista culturale si accusa spesso un clima un po’ troppo democristiano e, come si dice in veneto, da “basabanchi”, leggere e regalare Annette garantisce finalmente del turbamento.

Sara Deon


Solenoide – Mircea Cărtărescu

Il Saggiatore, trad. Bruno Mazzoni

Mircea Cărtărescu scava la realtà fino all’ossessione subliminale del fantastico. Solenoide non è solo un romanzo, è quasi un mondo, un mondo dalle vibrazioni kafkiane narrato attraverso gli occhi del suo protagonista, un professore posseduto dagli abissi della scrittura che si muove in una Bucarest sospesa tra sogno e realtà, città traversa che si dilata dalla parabolica finestra di Ștefan cel Mare alle aule scolastiche fino agli anfratti sotterranei della trasognata capitale rumena. Un romanzo che ha un sapore iniziatico, e che è insieme un viaggio di ricerca dell’assoluto che apre le porte della percezione dei sensi, e una lotta di scrittura, la lotta umana e sovrannaturale dello scrittore che si cala sopra il suo quaderno (“che la scrittura ti consuma la vita e il cervello come l’eroina”). C’è la forza chiaroveggente della poesia, c’è la disillusione dell’infanzia con i suoi ricordi conturbanti, c’è la magia malinconica dell’Est, c’è il trompe-l’oeil della realtà oltre cui avanzare con tutto il carico di domande sul senso di vita e morte, c’è il corpo fisico, con i suoi pidocchi e la sua lenta consumazione, c’è una storia che non ha paura di essere scritta a cuore aperto, una storia che è insieme catabasi e ascensione. Mircea Cărtărescu, tra i più grandi scrittori viventi, con le oltre novecento pagine di Solenoide ci regala un’esperienza di lettura che scortica i sensi per farli come nuovi. Un romanzo che illumina la notte come un braciere. E che fortuna avere un traduttore che si è ficcato dentro l’ardua impresa di tradurlo.

Gio Taverni


Mircea Cărtărescu

Sotto la falce – Jesmyn Ward

NN Editore, trad. Gaja Cenciarelli

Questo è il mese che purtroppo ci ha messi di fronte a una nuova ondata di contagi da Covid-19 e alla scomparsa di bell hooks e Joan Didion. Da una parte una delle più importanti filosofe e pensatrici del femminismo contemporaneo che ha saputo evidenziare e analizzare l’esperienza delle persone nere quasi sempre trascurata dalle analisi prodotte dalle femministe bianche, dall’altra una scrittrice immensa apprezzata universalmente soprattutto per i memoir dove affronta il lutto per il marito e la figlia. Ecco, Sotto la falce di Jesmyn Ward è un memoir duro, durissimo, sul lutto e sulla perdita. L’autrice ha infatti, nel giro di pochi anni, visto morire molte persone vicine, tra cui il fratello Joshua. Qualcuno direbbe il caso avverso, ma la verità, come insegnano le ultime proteste del movimento Black Lives Matter dell’anno scorso, è che la sorte della comunità nera è spesso già segnata da un razzismo sistemico che ha conseguenze sulle possibilità materiali e la salute mentale, che l’autrice denuncia esplicitamente passando spesso dal personale alla condizione più generale della sua gente. Come dice la traduttrice, Gaja Cenciarelli, in questo libro “Ogni parola, una pietra”.

Martina Neglia


Dora e il minotauro – Slavenka Drakulić

Bottega Errante, trad. Estera Miočić

Ultimo tassello della trilogia dedicata a ricostruire le vite di grandi donne del passato come Frida Kahlo e Mileva Einstein, Slavenka Drakulić rende protagonista la voce di un’artista che nella sua vita dovette lottare con tutte le sue forze contro uno sguardo androcentrico che mirava a ridurla al solo status di moglie, musa o amante: Dora Maar. Ripercorrendo la sua infanzia e formazione da Buenos Aires fino all’entrata nel Movimento Surrealista a Parigi, la Dora Maar di Drakulić svela a ritroso le tappe che da promettente giovane fotografa surrealista l’hanno trasformata nella musa di Picasso: la “Donna che piange” del suo celebre dipinto. Sarà infatti l’incontro con Picasso a segnare la fine dell’artista Maar, in una relazione che non ammetteva altri protagonisti al di fuori del pittore di Màlaga. In maniera forse ancora più tagliente rispetto alle altre due opere della trilogia femminista, Slavenka Drakulić libera Dora Maar dall’essere meramente una musa o un oggetto di contemplazione, restituendo così il ritratto di un’artista che dietro la macchina fotografica osserva, seleziona, e racconta la sua storia.

Sara Deon


Atti di un mancato addio – Giorgio Ghiotti

Hacca

Crescere, diventare adulti, modificarsi perseguendo noi stessi, creature in continuo divenire. L’ultimo romanzo di Giorgio Ghiotti, una storia di formazione che passa attraverso la perdita, è uno scavo nel cuore dell’età in cui ognuno di noi è in cerca di ciò che è o che potrebbe essere. Lavora per sottrazione, Ghiotti, facendo scoprire ai suoi protagonisti, universitari che si affacciano or ora sul mondo, il vuoto. Quel vuoto, che satura e impregna, lasciato da un’assenza improvvisa, da una scomparsa. Un romanzo poetico, una storia di perdita e costruzione narrata con uno sguardo lucido e una penna stupefacente.

Mattia Insolia


Slavenka Drakulić

Chimica – Weike Wang

Edizioni Clichy, trad. Fabio Cremonesi

In un mondo scientifico asettico e indifferente, quello della ricerca in campo chimico, la scrittrice Weike Wang, al suo esordio nella narrativa, inserisce la vita complicata e infelice della sua protagonista, una donna americana, figlia di emigrati cinesi, di cui non rivela il nome. Dopo una crisi personale innescata dalla insoddisfazione per il lavoro, Wang costruisce un romanzo che è il ritratto di una donna, anche in questo caso, fiaccata dal ruolo impostole dalla società in cui vive. La crisi si traduce nel fallimento della sua relazione e nella serie di bugie che racconta ai genitori intransigenti. L’unico spiraglio di verità è nei dialoghi con la sua terapeuta e nei lunghi monologhi con sé stessa, in una prosa che è uno “scattering” di pensieri e ricordi improvvisi, ma comunque ordinati. Wang racconta, così, le difficoltà dell’essere compiute, di trovare il proprio posto nel mondo e concedersi la libertà di cui tutti i femminismi parlano, ma che nella pratica ancora latitano.

Alessia Ragno


Pancia d’asino – Andrea Abreu

Ponte alle Grazie, trad. Ilide Carmignani

Esordio della giovanissima scrittrice canariense, Andrea Abreu, Pancia d’Asino racconta una storia apparentemente semplice: in un’imprecisata estate agli inizi degli anni duemila, due bambine di dieci anni trascorrono il tempo in attesa dell’inizio del nuovo anno scolastico. La panza de burro che grava sulle loro teste – un fenomeno di nuvole basse, tipico dell’isola – non solo appare come un tetto asfissiante che ne riduce ancora di più sogni e ambizioni, ma si fa presto metafora fisica di un’oppressione diversa che condiziona entrambe le bambine: la povertà del barrio e delle loro famiglie, una vita quasi mendicata, un’evasione apparentemente irrealizzabile, la voglia e l’istinto di diventare grandi senza neppur sapere come, la sessualità acerba, ferina, confusa che le spinge l’una verso l’altra e che si scontra contro il desiderio maschile di altri ragazzini; tutto nell’estate che le vedrà non più bambine e non ancora donne e che cambierà i loro destini. Pancia d’Asino funziona come un meraviglioso congegno capace, com’è, di scardinare le regole della narrazione; un meccanismo che gioca – non esiste termine migliore – con la lingua, con la sintassi, con la punteggiatura per reinventare la vita di due bambine attraverso le quali poter raccontare la povertà di un’isola, l’emarginazione, l’onda lunga del colonialismo, la condizione femminile trasversale a epoche e latitudini diverse. Un romanzo feroce dove realtà e mistero si mescolano dentro e fuori dai corpi, tra pendii scoscesi e fichi d’india, cieli inaccessibili velati di tristezza – “la tristezza della gente del barrio erano le nubi, le nubi piantate sulla collottola, sulla cima della colonna vertebrale, all’ora della telenovela”.

Fabio Mastroserio


La tigre di Noto – Simona Lo Iacono

Neri Pozza

Donna e scienziata. Una vera “tigre” nel combattere contro i pregiudizi di un tempo ostile, Marianna Ciccone, nata nel 1891 a Noto, in Sicilia, dimostra tutto il suo carattere nella strenua difesa della biblioteca di Pisa contro i nazisti. La tigre di Noto è un romanzo costruito sulla memoria, sul distacco dalla terra natale e la necessità di trovare un posto nel mondo. Marianna ha un sogno, molte ambizioni e le difende con perseveranza, sempre e comunque. Un esempio di volontà ferrea e di determinazione.

Nunzio Bellassai


Cho Nam-joo

Sanpa. Madre amorosa e crudele – Fabio Cantelli Anibaldi

Giunti

Riedizione di un testo del 1996 – La quiete sotto la pelleSanpa, Madre amorosa e crudele è la lunga riflessione che Fabio Cantelli Anibaldi dedica alla sua esperienza a San Patrignano, pubblicata – e degna della vasta eco che ha meritato – in seguito al bellissimo documentario prodotto da Netflix. Un libro che è tutto fuorché mera cronaca o pedante (auto)biografia: pagina dopo pagina Cantelli sa condurci dentro gli anfratti meno accessibili del suo stesso essere. La sua non è solo la storia di una vita, quanto quella di un’anima, di una testa, di un cuore travolti da una voragine e che faranno di tutto per colmare quel vuoto. A emergere è l’onestà dello sguardo, sulla propria esperienza di vita, sul proprio lungo e tormentato percorso, sulla comunità di San Patrignano e, dunque inevitabilmente, nel giudizio che si rende necessario e irrimandabile sulla figura del suo fondatore o padre padrone, Vincenzo Muccioli. Le riflessioni sulle ragioni alla base della sua vita prima, e della sua guarigione poi, si allargano in maniera profonda, letteraria – a tratti poetica – sulla condizione ontologica della tossicomania e in seconda battuta della sua gemella povera, la tossicodipendenza, per farsi visione capace di far convogliare questa esperienza già così larga e vasta, già così profonda, dentro la crisi dell’Occidente nichilista e consumistico, trascendendo la propria esperienza in una forma di comunicazione che non guarda al saggio bensì alla saggezza. Nel tratteggiare le orbite della sua storia mai in linea retta ma fatta sempre di cadute e ritorni, Cantelli è molto attento a scavare nelle più reali profondità della tossicomania al punto tale da riconoscerla quando si riduce alla semplice dipendenza. “Per capire la tossicomania – scrive – è necessario scendere alle radici dell’io, dove accadono eventi che vengono quasi sempre trattenuti nella rete interpretativa che abbiamo steso sul mondo per tenerlo a distanza, riducendolo di volta in volta in oggetto di sapere: oggetto storico, scientifico, giuridico, economico”.

Fabio Mastroserio


Lotte e metamorfosi di una donna – Édouard Louis

La Nave di Teseo, trad. Annalisa Romani

Ormai considerato l’énfant prodige della letteratura contemporanea francese dopo il successo col suo esordio Il caso Eddy Belleguelle (2014) quando aveva solo ventidue anni, Édouard Louis quest’anno ritorna nelle librerie con Lotte e metamorfosi di una donna, volume breve che si pone in dialogo col già discusso Chi ha ucciso mio padre, uscito nel 2019. Se quest’ultimo si presentava come un pamphlet esplosivo contro la Francia delle riforme neo-liberiste e dei tagli alla spesa pubblica che hanno spinto ai margini il padre e la classe operaia francese, in Lotte e metamorfosi di una donna Louis esplora, lontano dai toni invettivali precedenti, il racconto di sua madre. La sua è una storia di emancipazione: cresciuta per anni subendo un doppio dominio – quello della classe e quello del genere – all’ombra della povertà, di un matrimonio senza amore e di un marito violento e alcolizzato, a quarantacinque anni quella donna che a Louis sembrava essere stata completamente vinta decide, invece, di recidere il matrimonio e il legame con quell’ambiente di miseria e abbandono, in un gesto di ribellione che è inequivocabilmente quello di una donna finalmente libera.

Sara Deon


Fabio Cantelli

Quando abbiamo smesso di capire il mondo – Benjamín Labatut

Adelphi, trad. Lisa Topi

È proprio uno strano oggetto narrativo Quando abbiamo smesso di capire il mondo dello scrittore cileno Benjamín Labatut. Si legge compulsivamente e ci si torna sopra ancora più compulsivamente. Se i libri di Carlo Rovelli aprono al mondo della fisica quantistica in una maniera divulgativa, Labatut ci fa sbattere narrativamente contro la realtà sotterranea e inafferrabile delle piccole particelle misteriose e caotiche da cui nemmeno i fisici sono arrivati a estrarre equazioni di senso. La realtà è più misteriosa di come la afferriamo, la fisica di Newton potrebbe essere vera solo per una parte, qualcosa di più enorme e meraviglioso ci sfugge come la notte di Helgoland per Heisenberg. È un viaggio nella notte sotterranea quello che ci fa fare Labatut, portandoci per mano come esserini storditi attraverso storie singolari, che ci fanno muovere dall’epoca nazista ai paradossi mai risolti della realtà. Alla fine del viaggio-lettura non resta che il dubbio di fronte all’universo, puro caos dal movimento incomprensibile, dove le particelle più microscopiche continuano la loro danza assurda e ancora oscura. Benjamín Labatut ha scritto uno di quei libri disturbanti che ti diluviano addosso, si attaccano alla gola e ci ricordano tutta la magia bambinesca del piacere della lettura.

Gio Taverni


Aparecida – Marta Dillon

gran via

Cosa vuol dire avere un familiare desaparecido? Quali i conti che restano in sospeso rispetto a una tragedia avvenuta nel passato ma che accompagna in maniera costante i giorni del presente? Cosa resta della memoria là dove non si ha un corpo da piangere, da seppellire, con cui scendere a patti, attraverso cui scontrarsi con il dolore di una realtà inaccettabile? Sono tutti, questi, tratti che si ritrovano nella lunga confessione di Marta Dillon che mescola autobiografia e biografia familiare, reportage giornalistico e finzione tout court e che sa tenere insieme materiali eterogenei in uno spettro espressivo che si muove dai referti scientifici alla poesia. Marta Dillon è bravissima nel raccontare una storia personale e familiare che declina – soprattutto al femminile – i termini di un’attesa e una ricerca che nascondono un fil rouge che ne ha condizionato l’intera esistenza. La sua prosa ora intensa e dolce, ora aspra e aggressiva sa condurci dentro i meandri di un cammino spezzato, profondamente segnato da un peccato originale, da un’assenza inspiegabile e silenziosa, dalla mancanza di un confronto, da un metro sul quale misurarsi per crescere, dentro un dramma nazionale, che però non può lenire la tragedia intima di una famiglia improvvisamente toccata dal male di Stato. Il viaggio che Marta Dillon compie nelle bellissime pagine di questo libro è quello di donna che si volta indietro alla ricerca di se stessa bambina, costretta a confrontarsi con l’assenza, scoprendo il suo percorso straordinario di donna, dentro una storia se possibile di ferocia nel suo senso più nobile, quello di una donna capace di rispondere – spesso con allegria, con gioia, con libertà – alle avversità del proprio cammino; è in fondo un inno a una vita che nonostante tutto è costretta dalla sua stessa natura semplicemente a vivere.

Fabio Mastroserio