A Mac DeMarco piace fare quello che gli pare: essere svincolato sembra essere un lusso a cui ama ricorrere, e come biasimarlo. Tant’è che, giusto per essere ancora più sicuro di restare libero in ambito musicale, ha fondato un’etichetta tutta sua: la Mac’s Label Record. Here Comes The Cowboy è il frutto del bisogno di libertà creativa, e della voglia di solitudine, espressa anche in Finally Alone, che conferma le aspettative che nascono con il titolo cantando “Sick of the city/Lumped in with all the pretty people/You need a vacation”.
La solitudine, nel suo processo creativo è sicuramente un aspetto chiave, perché ha dichiarato di scrivere da solo, di notte. E come sempre le atmosfere che dipinge sono intrise di malinconia e di quel desiderio di fuga che lo circonda.
Questi due elementi, la notte e la solitudine, sono elementi ben espressi nella title track Here Comes The Cowboy, traccia in cui Mac ripete fino all’ossessione la frase “ecco il cowboy”, in un lento crescendo in stile cowboy degno di un western — anche se lui, di cowboy, non ne ha proprio l’aria. Più che nei modi, e nelle apparenze, l’immaginario che si crea esplora un altro aspetto della vita del cowboy, che va oltre ai duelli al calar del sole: rispecchia piuttosto l’altra metà della vita dei cowboy, i saloon di qualche secolo fa, votati al fancazzismo e alle risse dopo qualche bicchiere di troppo. Lui di certo non è il tipo che cerca la violenza, ma il mood da cowboy stralunato al saloon lo descrive perfettamente.
Opened your mind, filled it with bullshit
Locked up your heart, without even knowing it
It must be a sign, the days that we’re living in
Le premesse per un disco che cita i cowboy potrebbero sembrare una stranezza senza significato, ma il suo è più che altro un ritorno a un qualcosa di semplice, essenziale. Arrivato vicino ai trent’anni, i capisaldi sonori di Mac ci sono tutti: tranquillità, malinconia e quel fare un po’ cazzone che lo contraddistingue. Sebbene il suo mondo e il suo modo di fare non ci siano nuovi, è sempre un piacere ascoltare i suoi lavori, perché si respira un’aria di libertà in atmosfere al limite del surreale, con pennellate che vanno dal fancazzismo di Kurt Vile ai The Beatles, passando dal funk dei Red Hot Chili Peppers nella hidden track contenuta in Baby Bye Bye a chiusura dell’album, e i toni pacati à la Erlend Oye dei Kings Of Convenience.