Interviste

Una lettera d’amore che sa di poesia

Roma. 1965. Una bambina di otto mesi viene ritrovata sul prato di Villa Borghese. “Ora non ha più nessuno” è il titolo di «Grand Hotel» del 17 luglio dello stesso anno. La madre Lucia Galante si è tolta la vita gettandosi nel Tevere insieme all’amante, dopo aver mandato una lettera a “L’Unità”. “La bambina trovata a Villa Borghese si chiama Maria Grazia Greco”. Greco è il cognome del marito che si è sempre rifiutato di riconoscere la paternità. Quella bambina dallo sguardo tenero e innocente sarà poi adottata da Consolazione e Giacomo Calandrone; lei insegnante di lettere, lui noto dirigente del Partito Comunista. Quella bambina diventerà una delle voci più affermate della poesia italiana contemporanea.

Serie fossile, Il bene morale (Crocetti) e Giardino della gioia (Mondadori) sono alcune delle sue raccolte di maggior successo. Conduttrice radiofonica per Rai Radio 3 e regista per Corriere Tv, nel corso della sua carriera Maria Grazia Calandrone ha ricevuto i premi Montale, Pasolini e Napoli per la poesia.

Splendi come vita è “una lettera d’amore”, dichiara l’autrice all’inizio, una prosa lirica che indaga su un mistero affettivo profondo, viscerale. Protagonista indiscussa è Ione, abbreviativo di Consolazione, destinataria degli sguardi adoranti, pieni d’amore e fiducia, della bambina adottata, ma Madre (così è chiamata nel testo Ione) non è l’unica figura materna che emerge nel racconto. La madre biologica, Lucia, rimane una presenza silenziosa che osserva senza intervenire, poi Ione e infine la stessa Maria Grazia, divenuta “madre”, tutrice della stessa mamma adottiva e della nonna in età anziana. La storia, scritta e maturata durante il lockdown, si configura come un percorso iniziatico, segnato da un punto di rottura che è la morte del padre adottivo, quando Maria Grazia ha appena undici anni. Da lì in poi il rapporto tra madre e figlia si deteriora, finché Maria Grazia e Ione si ritrovano in tribunale, una contro l’altra. L’accusa: violenza, percosse. La vita della poetessa è proseguita all’insegna di una continua ricerca di equilibrio, di affermare il proprio ruolo di colonna portante della famiglia, in assenza del padre. Dopo molti anni dalla morte della madre, Maria Grazia Calandrone arriva alla conclusione che «quando si smette di vedere la propria madre esclusivamente come la propria madre, la si può finalmente “vedere” come essere separato, autonomo e, per ciò, tanto più amabile».

Splendi come vita è stato candidato dal poeta Franco Buffoni al premio Strega 2021.


Questo libro è stato scritto di getto durante il lockdown. Mi chiedo come ha vissuto quel periodo delicato, considerando che molti scrittori non sono riusciti a prendere la penna in mano, Lei è riuscita a trovare l’oro nel buio pesto di quei giorni?

Ho letto moltissimo. La prima cosa che ho scritto è stata una poesia sulla casa, dal titolo Paesaggio con sirene. L’ispirazione è nata dalla sensazione che questo appartamento venisse assediato da un rumore straziante. Poi nulla. Mi sono fermata, non è stato un momento facile, io sono abituata a viaggiare moltissimo, a essere molto impegnata. Il fatto di essermi dovuta fermare mi ha lasciato un grande silenzio da colmare. Da questa stasi è scaturito un fantasma mai frequentato, che spingeva per tornare a galla, questo libro. Immediatamente dopo la sua morte, avevo dedicato a mia madre Come per mezzo di una briglia ardente, era l’unica opera che avevo dedicato a lei. Poi questa figura è rimasta sommersa, immobile, mi sembrava sempre di fuggire da lei, di girare attorno senza sfiorarla. Verso la fine del lockdown, mi sono svegliata con la prima pagina del libro in mente, da lì in poi questo libro si è scritto da solo. Ho lavorato dodici ore al giorno, dormendo poco. Anche nei sogni si manifestava questo flusso incessante di ricordi, correnti di memoria, rivivevo in diretta quello che scrivevo. Riattraversavo i ricordi proprio sul filo della memoria, poi sono andata a ritrovare lo scatolone dove stavano le cose di mia madre per cercare una conferma. Ricordavo bene, era tutto vero.

La musica è un elemento, presente nel testo, che conferisce vivacità e un colore alla narrazione, che riporta a un preciso momento storico. Attraverso i ricordi, vere e proprie immagini in bianco e nero, attraversa la storia del nostro Paese che scorre parallela alla Sua vicenda biografica. Che valore assume la centralità degli eventi storici nella narrazione?

I grandi eventi della storia hanno un valore fondamentale. Se nel ’65 ci fosse stato il divorzio, forse mia madre non si sarebbe uccisa e questa storia non sarebbe stata mai scritta. Tra gli eventi che attraversano il libro, il ’77 ha avuto un ruolo decisivo. Lo ricordo come un anno di grande vitalità, ci ha lasciato un grande entusiasmo. Il ’77 è spesso ricordato come un parente intimo del Sessantotto, quasi un fratello minore. Poi le contaminazioni, le radiazioni, Chernobyl, tutto questo entra nel mio romanzo. Nel periodo di Chernobyl avevamo paura di mangiare, per esempio. I grandi eventi, la storia, la società affiorano e travolgono il mio libro, perché hanno avuto un peso specifico rilevante nella mia esistenza. Ricordo come fosse ieri il giorno della morte di Pasolini, di cui non parlo nel libro, ma la reazione di mia madre mi ha segnato profondamente. Vivevo la Storia quotidianamente, i miei genitori erano molto coinvolti. Se è vero che la Storia entra prepotentemente nel mio libro, resta comunque in primo piano una vicenda amorosa, la relazione tra me e mia madre. Lo scenario della Grande Storia vive e pulsa alle nostre spalle.

“Senza difese, torni
vita che splende.
Senza difese, splendi come vita.”

Il suo racconto, come del resto la sua vita, è segnato da incredibili coincidenze ed equivoci. Giacomo Calandrone si trovava a Villa Borghese il giorno in cui Lei era stata abbandonata e la vide al bar, poi lesse la storia sul giornale e decise di adottarla. Sua figlia è nata al Fatebenefratelli, sul Tevere, dove i suoi genitori sono morti. Che atteggiamento ha assunto, nel corso della Sua vita, nei confronti delle coincidenze? Lei crede al destino?

Io credo all’onestà. Credo alla mancanza di resistenza dinanzi alla forza degli eventi. Un atteggiamento positivo nei confronti della vita è sicuramente quello di assecondare gli eventi. Viene meno anche la differenza tra la vita e la morte, resta una grande coabitazione degli esseri. Non so se sia destino o quale altro nome abbia, ma credo che, se noi siamo onesti e disponibili nei confronti dell’esistenza e non cerchiamo di pilotarla in maniera violenta, le cose seguono un loro percorso preciso. Con ciò non voglio negare che noi siamo artefici di quello che facciamo. Possiamo scegliere. Sempre.

Come si trasforma il dolore in materia condivisa, accessibile a tutti, fino a raggiungere la forma cristallizzata della poesia o del romanzo?

Non ho mai scritto niente di rancoroso e vendicativo. Provo rabbia, dolore, sensazioni di rivalsa, ma aspetto che queste cose passino e decantino, diventino parola. Se sono sofferente, non riesco a scrivere. Unica eccezione resta l’amore. L’amore ha una storia a sé, l’amore deve essere scritto in diretta, il mondo parla quando sono innamorata. Parla il cielo, i pavimenti, ogni cosa ha una sua voce, una sua traduzione in parola. Il dolore ammutolisce.

Con questo testo Lei ha ridato vita a chi non c’è più, che è un potere straordinario che la letteratura possiede. Se avesse l’opportunità di parlare un’ultima volta con quella giovane madre che tanto ammirava e che la accolse in casa, quando Lei era bambina, cosa le direbbe?

Sei la sola madre che avrei voluto avere.

Io ho conosciuto per la prima volta i versi di Maria Grazia Calandrone con la piccola raccolta “Io sono gli altri” (Stampa2009), dove diverse voci si alternano in una sorta di dialogo incompiuto per raccontare la vita, con personaggi e persone in cui è possibile riscontrare “l’enzima dello stupore”. Come questo turbine di esperienze ha segnato il suo rapporto con gli altri? Cosa rappresentavano per Lei quegli “altri”, mentre tra le pareti di casa sua combatteva una vera e propria guerra? E ora?

I miei amici sono parenti per me. Gli Altri, per un lungo tempo, non sono proprio esistiti, sono stati una scoperta successiva, io ero catturata dal rapporto complesso con mia madre, dalla mia guerra. Quasi mi stupivo che gli altri notassero che io esistevo. A un certo punto della mia vita, gli Altri hanno preso la scena, hanno incarnato i destinatari delle mie parole, del mio desiderio di condivisione. Mio obiettivo è proprio quello di condividere questa esperienza e mi auguro che produca i frutti sperati. Ho cercato di dare un significato retroattivo a tutta questa vicenda e i lettori sembrano apprezzare questo aspetto. Ho ricevuto migliaia di messaggi sui social, ho ascoltato tante storie e voci. Sto assistendo quotidianamente a un miracolo di condivisione, grazie a questo libro.

“Mamma che scoppia a ridere in mezzo alla strada perché faccio la caricatura di lei che cammina tutta impettita. Mamma che ogni sera mi fa tenere il diario della giornata e io che invento il mondo per farla felice.”

Credo che la letteratura italiana non presenti prove che mescolano narrativa e poesia in un impianto così omogeneo. Come è giunta a questa forma espressiva inedita e perché l’ha preferita al più canonico romanzo o alla raccolta poetica?

La poesia non mi bastava più. Volevo qualcosa di diverso, a partire proprio dall’ironia. Ero conscia di star raccontando una storia complessa e tragica e desideravo alleggerire il registro in certi passaggi. Difficilmente riesco a scrivere una poesia ironica, il romanzo poteva adattarsi meglio alle mie esigenze in questo caso. Già nel Giardino della gioia avevo scritto pezzi di prosa. Nel tentativo di raccontare questa storia, ho trovato che la poesia non riuscisse a sfondare quel muro che a me serviva demolire. Mi serviva una lingua nuova per raccontare una vicenda archetipica. Mi sono confrontata con il grande archetipo della Madre, da cui, salvo eccezioni, nessuna creatura è esente. Questo rapporto riguarda tutti i viventi, per questo motivo cercavo una lingua più immediata, universale, ma nemmeno troppo narrativa. Mi serviva una lingua di mezzo che arrivasse precisa e diretta.

Una volta svelato e affrontato il suo doloroso passato, che progetti letterari ha per il futuro?

Nei mesi della scrittura ho assistito a un vero e proprio sprofondamento nel passato. Per il futuro non ho ancora nulla in mente, asseconderò quello che arriverà, intanto seguirò con entusiasmo e curiosità il percorso del libro al premio Strega.

Previous Article
Danzare in un teatro vuoto