Una ciocca di capelli rosso fuoco su un fondo nerissimo. La copertina di Trofeo di Emanuela Cocco per Zona 42 racconta già, con la forza di un’immagine diretta, la storia e le atmosfere di un racconto lungo che mette al centro – da una prospettiva originale – l’esperienza ineffabile degli omicidi seriali e del problema della ricerca dello sguardo che, da sempre, li contraddistingue.
Introdotto da un’epigrafe tratta da What is the word di Samuel Beckett “folly given all this – seeing – folly seeing all this – what is the word”, Trofeo è la mise en scène degli scampoli di vita di un serial killer attraverso, appunto, i trofei che è solito collezionare.
Mi indossi a un appuntamento al buio. Lui ti prende, mi strappa via da te, mi usa perché il tuo respiro resti imbrigliato al mio ordito. Questa è la trama. Intreccio di fili, di rantoli.
Questa è la trama. A parlare, in prima istanza, a raccontare la storia, è una gonna scelta da una donna per indossarla la sera di un primo e fatale appuntamento. Una sola notte perché un semplice indumento – “alla fine della serata la mia composizione era già cambiata. 98% di viscosa, 2% di elastan, a cui andavano aggiunti: fango, sperma, alcol e un bel po’ del tuo sangue” – si ritrovi in un cassetto insieme ad altri trofei: Gingillo e Riccioli d’oro.
…le girandole di luce del luna-park dove ci ha portate, posso sentire la tua voce leggermente artefatta dal desiderio. Le tue parole mi attraversano e con loro arrivano le cose che ti hanno vista prima di me. Torniamo in quel giardino, è tardi, l’erba è bagnata e c’è un urlo nascosto dietro le casette di legno colorato.
È da quel cassetto che osserviamo gli eventi, è da quella specie di platea che proviamo, accanto ai trofei, a ricostruire le vite perdute delle donne cui sono appartenuti, lì dove, nello stesso tempo, ci troveremo a cercare anche di comprendere ciò che si nasconde nell’animo dell’uomo che li ha collezionati.
Perché è soprattutto grazie a questo duplice meccanismo sotteso all’approccio di Emanuela Cocco che Trofeo ci appare come un libro meritevole di grande attenzione.
Romana, editor freelance e autrice per il teatro e per la televisione con spalle racconti e saggi di analisi letteraria su varie riviste e raccolte, curatrice editoriale della collana tReMa per Edizioni Arcoiris, un esordio con Tu che eri ogni ragazza (Wojtek, 2022), titolare di un corso di scrittura chiamato, non a caso, Scrivere di notte – Emanuela Cocco ha facilità di naturale immersione nella letteratura di genere, della quale Zona 42 si fa interprete.
Eppure deve essersi chiesta: come raccontare, oggi, la storia di un serial killer senza rischiare il già detto? Per rispondersi, ecco che Cocco sceglie la strada di affidare pensieri e voci ai residui del grande affresco che ogni assassino seriale prova a realizzare nella continua ricerca di una rappresentazione di sé.
In una sorta di meta narrazione, nella necessità di dare un proscenio a un meccanismo omicida che, già di per sé, porta, insiti, i semi cattivi della spettacolarizzazione e dell’assassinio come installazione d’arte, Emanuela Cocco sposta il punto di osservazione dall’umano alle cose, generando così non solo l’esperimento di un interessantissimo meccanismo letterario ma fornendo, al contempo, un piano di lettura sottilmente psicologico del fenomeno che racconta.
Molto è stato detto sugli assassini seriali, con un’attenzione che ha animato tantissimi dibattiti: dalla cronaca televisiva (soprattutto nel periodo definito, correttamente, della golden age del serialismo) fino naturalmente al fiorire – con successo – di serie, romanzi, saggi tutti volti a mostrare il tentativo costante di provare a narrare qualcosa che appare quasi sempre precluso dall’inaccessibilità dei meccanismi psicologici capaci di generarlo.
Vuoi sognare attraverso di me, vuoi fare il sogno del feticcio. Vuoi vivere la sua favola. La bambola è rotta ma parla, l’acciarino danza e io sono il tuo cinema. Proietti su di me scene di guerra dialettica e di sesso.
Eppure, ancora una volta, davanti all’orrore, e alla domanda sulle reali capacità di rappresentarlo, la sola strada di avvicinamento sembra essere quella di intraprendere una forzatura dell’usuale, che passi attraverso una ricerca su possibilità altre del linguaggio. Non a caso, Trofeo si apre con la citazione dalla poesia di Beckett – nume tutelare, faro nella notte per l’autrice: ed ecco che lungo le quasi cento pagine, Fredda – il nome che la gonna dà di sé stessa dopo essere improvvisamente assurta a elemento cosciente come in un sortilegio, dal suo scranno di osservatrice privilegiata – prova a snocciolare, come in un rosario o una seduta di psicanalisi, le possibili declinazioni della parola stessa: disincanto, illusione, presagio etc.
Tutto quello che hanno capito del mondo, tutto quello che hanno mai desiderato, ora, è nostro. A volte ne approfittiamo. Riccioli d’oro conosce il sapore del gelato alla fragola.
L’improvvisa coscienza che la morte violenta delle rispettive “proprietarie” ha transfuso negli oggetti, non solo si configura come scelta narrativa potente – Trofeo inchioda alla pagina con la forza sottilmente disturbante di un thriller psicologico – ma, pagina dopo pagina, si rivela anche come il trucco attraverso cui, noi umani, possiamo assistere alle dinamiche di un omicida seriale la cui stessa natura del gesto solleva progressivamente un muro che lo separa dall’umano consesso – “Corriamo lungo corridoi deserti nella casa disabitata che è dentro di lui”.
La voce di Fredda sembra, alla fine, interrogarsi su quale sia, dunque, il nucleo più profondo di quel crimine come anche la ragione segreta di colui che lo mette in pratica.
Il nostro scopo ci sfugge, a volte siamo percorse dai suoi desideri, forse è questo quello che vuol dire essere un trofeo. Siamo parte di uno spettacolo che è nella sua testa […]Sentiamo che ci somiglia più di quanto voi che siete le nostre persone potrete mai assomigliarci.
I trofei di Emanuela Cocco assurgono presto al profilo dei freaks – pur non citato esplicitamente, alla memoria di chi scrive hanno richiamato alcuni momenti del bellissimo Cristalli sognanti di Theodore Sturgeon (Adelphi) ma l’autrice, nei ringraziamenti, concede una filigrana per risalire a quelle che definisce in maniera acuta le sue “interferenze”: dal cinema – con Peeping Tom (L’occhio che uccide) di Michael Powell e Les Yeux sans visage (Occhi senza volto) di Georges Franju – ai saggi – Feticci. Letteratura, cinema, arti visive, di Massimo Fusillo (Il Mulino, 2012) e Tutto era cenere. Sull’uccidere seriale, di Simone Sauza (nottetempo, 2022) fino alle suggestioni musicali dei principi teutonici dell’industrial Einstürzende Neubauten.
C’è qualcosa di profondamente traumatizzante nei trofei/freaks e non per una colpa della quale evidentemente – non possono farsi carico: piuttosto per la scelta linguistica che la Cocco cuce loro addosso e per la duplice natura che li rende unici osservatori privilegiati dell’orrore e, in quanto tali, mai del tutto innocenti. Sono “esseri” letteralmente strappati, frammentati la cui esposizione all’orrore li ha trasformati in medium affacciati sull’abisso.
I trofei mantengono la traccia delle persone alle quali sono appartenuti. È per questo che lui li raccoglie. Sono una cosa, ma ora sono anche te.
Ecco allora che, oltre al lavoro sulle possibili forme di espressione di oggetti animati dalla stessa morte, il valore – potremmo dire – di natura psicologica dei personaggi di Trofeo sta in questo essere collocati sempre a cavallo di due realtà: quella umana e quella inanimata, quella immateriale e quella materiale e, infine, la più sconvolgente di tutte: se i trofei da un lato sono, infatti, in grado di sentire il dolore perché presenti sul limitare ultimo degli atti di felicità delle vittime cui sono appartenuti prima della loro morte – così da averne assorbito caratteristiche e finanche i vezzi – dall’altro ma in contiguità con questo primo aspetto, finiscono con l’essere le sole “creature” capaci di entrare in sintonia con il vuoto che abita il serial killer cui restano indissolubilmente e, loro malgrado, legati.
Feticci terminali di un orrore inestricabile tra vittima e carnefice.
Emanuela Cocco con Trofeo costruisce, così, un romanzo breve più che di genere, sui generis all’interno del suo stesso codice, una storia di spettri e di dolore che sa parlarci della complessità di ogni natura umana.