Di Napoli Mimì Clementi ha scattato una piccola instantanea in Senza un posto dove dormire, pezzo tratto da quel meraviglioso schianto che è l’album Da Qui dei Massimo Volume del 1997: ”A Napoli cercai un hotel / poi andai a tagliarmi i capelli / Chiesi: ‘Qual è il quartiere delle puttane?”. Sono lontani i Novanta, e oggi ogni volta che Clementi torna a Napoli viene accolto dal pubblico con calore e devozione. Al Sound Music Club qualcuno urla, sei grande Mimì.
Stavolta Clementi arriva in città per presentare l’album d’esordio dei Sorge, La guerra di domani, insieme a Marco Caldera, che ha avuto il merito di intuire quali suoni dell’elettronica possano sposarsi – in modo perfetto e impietoso – con la calda voce di Clementi. Mimì si siede al piano, Caldera si occupa degli effetti, e il mix che viene fuori è quello che ci aspettavamo ascoltando il disco a casa: un piccolo viaggio sospeso tra sonorità e parole.
Come ben ci ha abituato Emidio Clementi decanta più che cantare, anche se per questo side-project si lascia andare pure verso le vie impervie e inedite del rappato – di tanto in tanto. Ma è la soundtrack che lo richiede. Se il tour di Notturno Americano con Nuccini somigliava di più a una sonorizzazione di parole su cui soffermarsi con respiro e voce, in questo caso la musica vuole dei tempi per incastrare le parole più sbarazzini e veloci, e il loro ritmo in certi momenti richiede un’accelerazione. Se per la formazione classica dei Massimo Volume questa accelerazione è occupata dalla musica, coi Sorge i tempi per respirare sono stretti: la formazione a due, piano ed effetti, non concede pause e necessita di parole per dilatare i tempi.
Ancora una volta ritroviamo parole che si schiantano voracemente contro la realtà, summa di questo percorso forse è il brano Accetto Tutto: ”accetto il mondo / non ho scelta / accetto il male / accetto il peggio”. La poesia di Clementi è sempre stata quella dell’accettazione della realtà, non è un caso se le epopee che ci narra – biografiche o meno – siano sempre quelle di maledetti (poeti come Emanuel Carnevali), testimoni ossessivi che si tuffano dentro la vita, ci si schiantano contro e si crogiolano in questa accettazione.
Così, nella dimensione del live, La guerra di domani diventa la deliziosa offerta di salvezza che Clementi e Caldera ci regalano, una speciale catarsi che si accompagna con i visual che vengono proiettati sullo schermo dietro di loro. Su Nuccini – traccia che racconta proprio il tour di città in città per Notturno Americano con Corrado Nuccini dei Giardini di Mirò – le immagini richiamano strade che si rincorrono per arrivare nelle cittadine italiane, e così puoi vederle davvero Cassino, Rimini, Bari, Messina – anche se sono tappe solo evocate da musica e parole.
Coi suoi beat Caldera fa da contraltare all’attitudine blues da vecchio pianista di Clementi, del resto l’intenzione iniziale era proprio di far venire fuori un blues elettronico, mischiare due esperienze e trovare un giusto incontro e incastro. Come tutti gli incontri che sulla carta sembrerebbero non funzionare, nella realtà invece questa diversità diventa una ricchezza, e dal palco questa carica riesce a penetrare anche i più scettici mischiati nel pubblico. E così l’immaginazione si popola di tutti i personaggi e i riferimenti che attraversano il palco grazie a queste storie, come se fossimo anche noi parte della frammentaria collezione di volti del Bar Destino di Clementi. Ci siamo anche noi al bar, a sorseggiare un drink da cui trarre oblio, a fare compagnia al valzer di fantasmi del personale bar di Mimì.
Nel bar personale di Mimì c’è anche il tempo per un’invocazione ai maestri, che poi sono scrittori come Robert Lowell (già protagonista di un pezzo dei Massimo Volume), Philip Roth, Mavis Gallant e François Villon: Noi facciamo ciò che siamo è la risposta a quest’invocazione, invischiati in questo eterno capovolgimento di fronte tra azione ed essere. E c’è addirittura il tempo per presentare un pezzo inedito, tratto da Cronache da un Motel di Sam Shepard. Gli scrittori, i poeti, i ricercatori di parole, tornano sempre: Emidio fa i conti con le parole sul dolore di Joan Didion ne Il cerchio – per esempio -, dove la scrittrice americana ci ha raccontato il lutto. ”Il dolore degli altri ci riguarda, se non altro perché un giorno arriverà addosso anche a noi”, ha dichiarato Clementi in proposito. È questa l’accettazione della realtà: sapere che la vita è una roulette russa. Attenzione però, accettare non vuol dire essere fatalisti, tutt’altro.
In questa roulette appassionata abbiamo potuto gustare il live in un solo sorso secco, con un Emidio a tratti complice delle sue stesse storie, come quando su In Famiglia si volta verso il pubblico e sorride sul verso ‘‘invece adesso che di anni ne ho 48 / sono qui che scrivo versi / mentre le mie figlie giocano in salotto”, che è il verso del riscatto di un’anima inquieta che ora si è compiutamente ritrovata. Ha accettato, ha scavato, è sceso a compromessi con la realtà, e fa ciò che è, il poeta.
Alla fine c’è il tempo anche per un altro brano inedito, si chiama La notte, e se non fosse per una mano invisibile che ha segnato il titolo io ora non potrei ricordarlo. Molto presto ci sarà data occasione di riascoltare questo pezzo e di farci i conti, per ora è una furtiva istantanea che gira assieme ai Sorge e accompagna il loro tour. Altra buona ragione per andarli a vedere.
Tutte le foto sono di Michela Sellitto, parole di Giovanna Taverni