L’indaco (indigo) è un colore che simboleggia la ricerca di armonia, ma anche la malinconia, che talvolta si trasforma in depressione: rappresenta il risveglio interiore, e per questo agisce come un amplificatore per le emozioni che si provano.
Jack Tatun, insieme ai suoi Wild Nothing, ha catalizzato questi impulsi in un album di undici pezzi molto accessibile, di stampo indie pop che si lascia prendere dalla retromania. Sì, perché attinge a piene mani dagli anni Ottanta, nella loro accezione più eterea e surrealistica, ma assumendone anche le tinte fosche e più pressanti. Nonostante si ispiri principalmente agli anni Ottanta però, ci sono anche chitarre piene di riverberi in stile indie post 2000, ai confini con lo shoegaze. Il pezzo forte dell’album, oltre alle atmosfere rarefatte che si creano, è il songwriting.
L’album, uscito per Captured Tracks, è un continuo avvicendarsi di dicotomie. Ne è un esempio anche il gioco con il tempo (passato e presente): Jack Tatun ha affermato infatti “I think about how my music will age. Ideas of ‘timeless’ are going to be different—so if Indigo is not timeless then it’s at least ‘out of time’”. Jack Tatun ha dimostrato anche in questa occasione di voler giocare con le parole col significato di timeless ed out of time (senza tempo, fuori dal tempo).
La sezione sonora è composta da ritmi sontuosi: ben bilanciata tra momenti oscuri dal sapore retrò, ricchi di riverberi e dilatazioni, in cui viene a galla lo spirito più pressante e meno trasparente, quasi opaco, ed aperture surrealiste (Letting Go, Oscillation, Shallow Water, Dollhouse).
I Wild Nothing hanno catalizzato nel loro quarto album undici pezzi molto accessibili, in un album alla portata di tutti. Per la durata del disco suoni barocchi e ricercati si mescolano, in bilico tra armonia quasi celestiale e malinconia, in un amalgama con molte sfumature ed intarsiata di particolari (come il sax di The Closest Thing To Living). È un’estetica a chiaroscuri, ricca di dicotomie che si inseguono per tutto il disco. L’effetto di contrapposizione funziona tanto più se si ascolta l’album in loop, ascoltando una dopo l’altra la traccia di chiusura Blend, e quella di apertura Letting Go, ma l’effetto è assicurato anche al contrario: le chitarre frazionate, i synth e la batteria di Letting Go creano un bel contrasto con le atmosfere distese di Blend, attraversate da una voce eterea.
Così, tra chiaroscuri e la ricerca di un tempo ormai andato in quanto ad estetica, il quarto album dei Wild Nothing, scorre liscio, senza alcun intoppo, si insinua facilmente nelle orecchie, e riascoltarlo viene naturale, soprattutto con i pezzi più belli (Letting Go, Oscillation, Shallow Water su tutti).