Fotografie di Alessia Naccarato
Parole di Martina Neglia
Qualche giorno fa, prima di sedermi a scrivere questo report su quest’ultima edizione di Ypsigrock, prendevo un po’ in giro me stessa. Ma sì, scriverò che è stato bellissimo, che sono emozionatissima, che non lo capisci finché non ci sei dentro, raccontavo a persone lontane. Tralasciando un po’ di romanticismo e una forse troppo stucchevole vena emotiva, c’è qualcosa di davvero magico che si crea tra le strade di Castelbuono durante i giorni del festival. Non è un caso che tra gli e le ypsini e ypsine che arrivano ogni anno da ogni parte d’Italia e d’Europa se ne parli come “il nostro Natale”, che si faccia riferimento a un “cuore” che a volte manca in altri festival – non me ne vogliano, che ogni anno si cerchi di incastrare impegni e ferie per esserci e convincere altre persone a venire. Altre persone che inevitabilmente si uniranno a te al countdown per l’anno successivo.
Ma la magia non si fa da sola. E, per quanto favorita da un clima cittadino super accogliente (Castelbuono per chi non lo sapesse è un piccolo paese medievale vicino al parco delle Madonie, in provincia di Palermo) e amichevole nei confronti del pubblico di Ypsigrock, poggia le sue radici sulla bravura degli organizzatori capaci ogni anno di proporre una line up mai scontata, tra nomi più conosciuti e una grande varietà di nuovi talenti del panorama musicale internazionale. Si spazia tra i generi, i progetti, le intuizioni, mantenendo anche tra i nomi meno familiari (per la maggior parte del pubblico, me compresa) una qualità elevatissima che dimostra l’attenzione e la cura dietro ogni singola scelta. Ypsigrock ha sempre avuto un paio di proposte catalizzatrici, un esempio ne sono stati i The National nel 2019, eppure sono spesso i nomi sconosciuti fino al loro live a sorprendere. Probabilmente è anche questo patto di fiducia mai insoddisfatto a fidelizzare chi ogni anno prende e viene, cascasse il mondo.
Questa poi era un’edizione dalle alte aspettative, la prima dopo l’emergenza coronavirus. Non più tiny, come quella dai posti contingentati e a sedere del 2021, ma forse ancora più needed, per la voglia di tutti di ritornare alle vecchie abitudini. Ballare liberamente, decidere di conquistare la transenna o godersi i live comodamente sui gradoni di Piazza Castello, ripopolare l’Ypsicamping di San Focà e aspettare l’alba col consueto djset di Shirt vs T-Shirt. Ed è ancora più emozionante che l’edizione “del dopo” coincida anche con l’edizione della cifra da festeggiare: Ypsigrock compie 25 anni, un numero che meritava la sua festa. Una festa che in pieno spirito di Ypsigrock si è deciso di condividere con un compagno non da poco: Bella Union, etichetta discografica indipendente inglese fondata nel 1997 da Simon Raymonde – presente al festival – e Robin Guthrie, anche lei arrivata al suo primo quarto di secolo. Una condivisione di gioia che ha portato sui palchi del festival alcuni degli artisti dell’etichetta: dagli stroboscopici Flaming Lips agli splendidi Lowly. Ma andiamo un passo alla volta.
Giorno 1
Non importa la possibile noia degli spostamenti verso Castelbuono, che per chi arriva con i mezzi pubblici prevede spesso cambi tra treni e navette che portano dal mare di Cefalù ai tornanti verso le montagne. Risalire tra le viuzze del centro e sbucare in Piazza Margherita rimette subito in pace col mondo. Ci siamo, ho pensato, prima di passare esattamente un minuto dopo da Fiasconaro per il primo dei numerosi assaggi di panettone, specialità senza stagioni dell’azienda. Il giovedì è sempre stato il giorno degli arrivi, della ripresa di familiarità con gli spazi, del relax prima del divertimento più impegnativo. L’aperitivo al Cycas, localino ormai punto di riferimento per il pubblico di Ypsi, qualche concertino al Cuzzocrea Stage per chi ha voglia di salire al camping. Invece in questa edizione abbiamo giusto il tempo di salutarci, una doccia e via, si parte.
Ad aprire le danze dell’Ypsi Once Stage in Piazza Castello ci sono Go Dugong, Jack Wolter, Lily Wolter e Joe Tailor dei Penolope Isles e Ionee Waterhouse con il risultato della residenza artistica The Sound of This Place. Una settimana in cui i 5 musicisti hanno vissuto e collaborato insieme per riprodurre in musica le loro suggestioni del posto. Tra visuals con riferimenti naturali e chitarre distorte in crescendo, non poteva esserci un battesimo della piazza migliore, con un pubblico che ha risposto entusiasta fin dalle primo note e che non poteva che restare tale anche per l’esibizione successiva. I 4B2M, a family band, come si definiscono nella loro This is Happening, promettevano scintille fin dai brani inseriti dal festival nella playlist realizzata per prepararci, e così è stato. La mattina dopo stavamo canticchiando le canzoni e forse anche un po’ invidiando i loro capelli evidentemente di un’altra epoca.
A chiudere la serata, invece, una faccia già vista dal festival e che non ha bisogno di presentazioni: Manuel Agnelli torna da solista sul palco dell’Ypsi Once (la cui regola è appunto che ci si possa esibire solo una volta e poi mai più, a meno che non si arrivi con un progetto musicale diverso, come nel caso di Agnelli) dopo aver già suonato a Castelbuono con gli Afterhours. Accompagnato da musicisti come Beatrice Antolini e Little Pieces of Marmelade, la proposta di Agnelli mescola passato e presente. Dai suoi non ancora numerosi pezzi da solista, che comprendono anche i brani scritti per la colonna sonora del film Diabolik, ai successi della band con cui è diventato famoso. Tra duelli al pianoforte con Antolini a cui non si può restare indifferenti e alcune canzoni (Quello che non c’è, Non è per sempre, per citarne un paio) che non si può non cantare con lo stesso struggimento di quando avevamo 16 anni, però purtroppo nel suo insieme non convince, complici anche alcuni problemi tecnici dichiarati dallo stesso artista.
Giorno 2
Insomma, è un peccato che l’headliner della prima sera sia stato un po’ sottotono, ma Ypsigrock è appena iniziato e il morale è alto e soprattutto non c’è poi tempo per rimuginare. Il giorno dopo siamo già svegli presto perché alle 11:30 nel Giardino di Venere inizia il primo dei due talk previsti dal programma. In questo primo ci siamo state io (ringrazio ancora gli organizzatori per la proposta) ed Emanuela Teodora Russo, in rappresentanza del NuovoIMAIE, a dialogare intorno al caldo tema dei “diritti degli artisti”. A seguire Simon Raymonde di Bella Union e Rosin O’Connor di The Independent.
Nemmeno il tempo di pranzare che si sale al camping dove iniziano i primi dei sei concerti dei finalisti del contest “Avanti il prossimo”: Brunacci e IRuna.
Il giorno 2 è anche quello dei festeggiamenti, delle candeline congiunte simbolicamente da spegnere. A suonare sul palco Ypsi & Love, all’interno del Chiostro di San Francesco, e in Piazza Castello saranno infatti quasi tutti artisti rappresentati dall’etichetta Bella Union. Si inizia con alle 18 con C Duncan, musicista e compositore scozzese, che in solitaria e con le sue basi elettroniche ci guida in un mondo di suggestioni ambientali e dolcezza. Chiudono il giro al Chiostro i Lowly, sicuramente una delle rivelazioni di quest’anno. La band danese, infatti, tra sintetizzatori e voci gelide, strega tutto il pubblico.
Ancora pieni di stupore ci si disperde fuori dal chiostro, ridiscendendo verso il centro, le piazze, magari un gelato da Fiasconaro o Naselli e poi si entra in Piazza Castello. La sensazione è che questa sia, a suo modo, anche un’edizione più rilassata. A parte gli irriducibili dalla transenna durante i concerti è facile muoversi tra la piazza vera e propria e i gradoni, alla ricerca del posto migliore da cui godersi i concerti.
Iniziano i Penelope Isles. Con il loro freschissimo alt-rock, i fratelli Wolter portano subito la giusta dose di allegria. Poi, vabbè, arrivano gli Yard Act e – passatemi l’espressione – spaccano tutto con una sfacciataggine quasi da cliché inglese. I ragazzacci di Leeds portano in piazza Castello il loro album d’esordio, The Overload. Sono sicura sentiremo ancora parlare di loro.
Se ci si aspettava una festa con tutti i crismi da festa, quella però sono stati i Flaming Lips a portarla quasi a ridosso della mezzanotte, come ogni compleanno che si rispetti. Con un palco già attrezzato dall’inizio per il loro arrivo, e un soundcheck pomeridiano da cui erano arrivati i primi spoiler, lo storico gruppo statunitense ha portato una ventata di euforia. Manifestata concretamente da coriandoli sparati sul pubblico quasi costantemente, mille colori sugli schermi dietro di loro, pupazzi gonfiabili alti quanto tre umani e forse di più, e un instancabile Wayne Coyne felice come un bambino di entrare e saltare dentro la sua bolla di plastica. Do you realize che lo stiamo vivendo davvero? In fondo è proprio questa la felicità genuina a cui Ypsi ci ha abituati, e che ci portiamo dietro quando uscendo ancora una volta dalla piazza ci dirigiamo verso l’ultimo cocktail notturno o un gelato.
Giorno 3
Il sabato si torna in campeggio per il secondo giro di Avanti il prossimo, questa volta a esibirsi Ceneri e Linbo, che portano un pizzico di originalità in più rispetto ai partecipanti del giorno prima.
Ci si toglie un po’ di polvere di dosso, una merenda e via al chiostro. Anche perché il primo dei concerti parte con eleganza. Natalie Bergman porta il suo folk con chiari riferimenti cristiani. La religione e la fede della cantautrice permeano tutte le canzoni proposte, ma se si supera l’impatto iniziale, non si può che farsi coinvolgere e trascinare dalle dichiarate influenze gospel.
Arriva poi a scompaginare le carte la portentosa Denise Chaila, rapper irlandese e zambiana, che con un’energia invidiabile nei suoi pezzi ci parla dell’importanza delle sue origini e del suo sogno di fare musica. Pare ci stia riuscendo, e la riposta di chi sta lì ad ascoltarla d’altronde è notevole.
Il sabato è anche in parte riconosciuto come la serata di elettronica, e quest’anno sarà vero solo alla fine. Se c’è un altro elemento da riconoscere a Ypsigrock è l’impegno nel portare, senza ipocrisie, una line up molto equa dal punto di vista del genere. Dopo le esibizioni del pomeriggio, arrivano infatti prima le attesissime Pillow Queens, direttamente da Dublino con il loro indie-rock deciso e poi Self Esteem, accompagnata dalle sue coriste e una scritta che è già una dichiarazione di intenti: “There is nothing that terrifies a man more than a woman who appears completely deranged”. Peccato che, tranne qualche singolo pop particolarmente riuscito, la sua performance nell’insieme risulti meno convincente rispetto a chi l’aveva preceduta.
Si chiude poi, come promesso e anticipato, con il djset dei 2manydjs che mixando pezzi iconici, dai New Order fino alla contemporanea Rosalìa, con qualche strizzatina d’occhio a noi come pubblico (Ricchi e Poveri e Gloria di Umberto Tozzi in chiusura) ci fanno ballare scatenati fino all’ultimo.
Giorno 4
Il futuro è già nostalgia è il motto del festival e l’ultimo giorno ci si sveglia pregustando il dolceamaro di quel sentimento. Dopo tanta attesa purtroppo questo “Natale” passerà. Ma ci si alza con calma, si fa colazione lentamente perché, insomma, se deve passare, meglio assaporare tutto senza rischiare di avere rimpianti.
Al camping chiudono il contest Bark Bark Disco e i The Tangram che fanno ballare gli abitanti del camping già dalle 14.
A darci la prima stoccata di commozione vera però è Anna B Savage, la prima a esibirsi nel pomeriggio al chiostro. Con una voce piena come poche e delle canzoni dalla profonda vena intimista, la cantautrice ci culla nel suo mondo, intervallando il suo repertorio personale alla sua struggente versione di Place to be di Nick Drake. Ci penserà poi Alyona Alyona, rapper ucraina, a farci riprendere un po’. Ma sappiamo tutti che le lacrime vere arriveranno poi.
L’ultima sera si apre con i PVA, band che ha avuto l’ingrato compito di sostituire i Nation of Language, impossibilitati all’ultimo a partecipare al festival per un caso di covid all’interno del gruppo. Una notizia che aveva fatto dispiacere molti, ma l’elettronica dei PVA ci ha dimostrato l’agilità del festival di proporre sostituiti di qualità anche in tempi strettissimi.
Questi fine anni ’10 e inizio ’20 ci hanno portato una serie di band post-punk che personalmente accetto di buon grado e di cui Ypsigrock si è fatta spesso palcoscenico. Sul palco è infatti il turno delle Goat Girl che con le loro chitarre distorte preparano il terreno per l’ultimo grande live di questa edizione.
Nella sventurata e mai realizzata edizione 2020, i DIIV c’erano già. È vero che alcuni degli artisti di quella line up fantasma si sono poi esibiti l’anno scorso, nella già citata “piccola ma necessaria” edizione nel 2021. Però è altrettanto vero che, riconoscendo comunque tutti gli acciacchi e gli strascichi che ognuno di noi si porterà dietro per chissà quanto, era questa l’edizione del ritorno alla “normalità”, dei contatti senza vincoli, del movimento non più castrato, volendo anche del pogo per i più gasati. E quando i quattro, vestiti da adolescenti che vanno in skate, salgono e iniziano a suonare subito Under the Sun, capisci che qualcosa ancora può allinearsi nel modo giusto. In un mondo allo sfacelo, forse c’è ancora speranza, o sicuramente parentesi di pura bellezza che non possiamo permetterci di mancare. E ascoltare finalmente dal vivo vari brani del loro ultimo album, Deceiver, con un’emozione forte perché condivisa con la band stessa, fa percepire un senso di giustizia rispetto alle fatiche di tutti noi.
Lasciare piazza Castello per l’ultima volta è sempre difficilissimo. Ci abbracciamo, ci diciamo quanto è stato bello, ci ripromettiamo di rivederci l’anno prossimo mentre mangiamo l’ennesimo gelato notturno e ricominciamo già dal minuto 1 a ricordare – il futuro è già nostalgia, mai frase è stata più vera. La magia di Ypsigrock forse sta proprio qui, nel creare, intorno a una proposta musicale come poche in Italia, un forte momento di aggregazione, confronto, persino amicizia. Come questo succeda a Castelbuono, piccolo paesino della provincia di Palermo, da venticinque anni, è qualcosa che risulta ancora difficile da spiegare, se non riconoscendo il merito agli organizzatori che ogni anno riescono a far continuare questo sogno. Un merito che andrebbe riconosciuto, valorizzato, finanziato da chi di dovere. Noi da parte nostra non possiamo che dire: grazie.
Ancora buon compleanno, Ypsigrock, ci vediamo l’anno prossimo.