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Firenze, gli anni Ottanta e il rinascimento rock

“La scena giovanile fiorentina era esuberante. Mostre, party, feste, disco, rassegne cinematografiche, avanguardie teatrali, sfilate di moda; in una parola, il trend fiorentino anni Ottanta esplodeva. Mi sembrava di trovarmi nel posto giusto al momento giusto”. Pier Vittorio Tondelli

Santa Maria Novella non è solo una stazione ferroviaria, è principalmente una basilica che si è intitolata anche la piazza antistante. L’Hotel Minerva è muro a muro con i marmi della chiesa, e quel giorno di settembre ospita una giovane musicista americana che poche ore dopo, farà il suo ultimo concerto, prima di un lungo e inatteso ritiro dalle scene. Per vederne un altro ci vorrà quasi un decennio. Ma quello che solo lei sapeva essere l’ultimo concerto, si rivelò però a sua insaputa anche quello che, simbolicamente, avrebbe inaugurato una stagione di rinascimento musicale proprio in una città, Firenze, che nella sua fisionomia ospitava i preziosi segni di quello umano e artistico di alcuni secoli prima.

È il 10 Settembre del 1979, e Patti Smith, la poetessa punk di Chicago, si aggira per le strade del centro di Firenze, sotto quelle costruzioni eterne, alla ricerca di quel meraviglioso senso della storia concentrato all’ombra dei suoi monumenti. La sera salirà sul palco, allestito nello stadio, nel quartiere di Campo di Marte, vicino all’altra stazione cittadina, ma invece delle poche migliaia di persone, importante standard che anche i più famosi gruppi punk raccolgono all’apice del successo, si troverà di fronte una folla sterminata che sfiora gli ottantamila spettatori. Lei stessa lo ricorderà come il concerto più sentito della sua carriera e il rapporto con la città del David continuerà nel tempo. È un concerto importante dicevamo per Firenze, perché segna l’inizio della cosiddetta era New Wave (e/o post-punk ) della città, oltre a decretarla come sua capitale italiana per un decennio, allo stesso tempo inaugura il ritorno di tanti grandi concerti nella penisola: per tutti gli anni Settanta, infatti, i grossi tour internazionali avevano depennato l’Italia a causa degli scontri di matrice politica che puntualmente funestavano quegli eventi. In quello stesso stadio, a confermare dopo la nascita anche il battesimo della nuova Firenze musicale, ci fu, due anni dopo, il 23 maggio del 1981, il concerto dei Clash, la band inglese di Joe Strummer, porta bandiera della rivoluzione punk.

“Almeno una volta al giorno, tutti i giorni, dal 10 Settembre 1979, io ripenso a quel concerto memorabile, forse il migliore, ma sicuramente il più potente di tutta la mia carriera artistica”. Patti Smith
Foto di Marco Sammicheli, courtesy di voice of london

La scia del passaggio dei gruppi di punta del punk internazionale, di sicuro smuove ulteriormente un fuoco ormai ardente sotto la cenere che aveva ricoperto la generazione uscita dai duri anni Settanta, soprattutto in una città e una regione rossa come la Toscana. Difficile trovare la formula magica in grado di far apparire una scena musicale tanto importante: certamente c’è una dose di casualità, di sinergie che trovano il giusto habitat, di musicisti e personaggi lungimiranti che immaginano quello che ancora non c’è, ma si comportano e lo vivono come se già ci fosse. Non mancano sicuramente creatività, sogno, mente vigile e aperta insieme alla predisposizione a farsi influenzare e contaminare da quanto musicalmente, e in parte culturalmente, sta avvenendo a livello internazionale. In quegli anni Firenze riesce ad essere tutto questo e forse anche di più.

In quel primo scorcio del decennio il capoluogo toscano vive di grandissimi chiaroscuri, che sembrano un po’ riflettere i contrasti dei suoi meravigliosi marmi. Le rockstar, non soltanto quelle punk, cominciano a esibirsi di nuovo in Italia, e nel 1980 alle Cascine c’è addirittura Lou Reed e poco dopo i Genesis (con gli sconosciuti Simple Minds come gruppo spalla). Anche la squadra di calcio sembra poter regalare nuovi entusiasmi quando sfiora il suo terzo scudetto portando una ventata di passione per tutti, ma all’ultima giornata deve contendersi la vittoria finale con la Juventus e il solito episodio dubbio favorisce gli strisciati, inscrivendo questa rivalità nel dna della città quasi al pari della storica battaglia di Montaperti tra i senesi (ghibellini) e i fiorentini (guelfi).

È una gioventù sfiancata e disillusa dalla politica che vive quegli anni di riflusso dall’impegno politico buttandosi a capofitto nella musica, sebbene l’ambiente cittadino è ancora intimorito dal terrorismo che non tarda a lasciare il segno con l’assassinio da parte delle BR dell’ex sindaco Repubblicano Lando Conti. Ma è anche una provincia tenuta sotto scacco dai delitti plurimi del cosiddetto “mostro di Firenze” che nelle notti senza luna, dalla periferia cittadina fino alle campagne del Mugello, prende di mira le coppie di giovani appartate in auto, cosa che di fatto, modifica il modo di vivere di una generazione. I genitori lasciano casa libera ai propri figli soprattutto nel week end in modo che non debbano appartarsi in auto, mentre imperversa una ossessiva campagna istituzionale “anti-mostro”, sintetizzata da manifesti onnipresenti con l’avviso “occhio ragazzi”. In questo clima non semplice, ai limiti del claustrofobico, una fetta di quella generazione non rinunciò a vivere in pieno la propria libertà.

Firenze sogna

Prima di soffermarci sugli aspetti più strettamente musicali va delineata una cornice ampia che comprenda una tensione alla multidisciplinarietà: quella che si rivelò decisiva per spingere in avanti le sinergie in campo e alzare l’asticella del risultato finale. La sperimentazione viveva un anelito di novità anche nel campo della moda, con i lavori dei giovani Samuele Mazza e Roberto Cavalli e le stagioni del Pitti Uomo erano centrali ben oltre gli aspetti commerciali che contenevano, così come lo era il teatro sperimentale che sempre di più entrava in osmosi con la musica e le arti visive. Vale la pena ricordare l’attore Carlo Cecchi o l’esperienza performativa e teatrale del Collettivo Victor Jara di David Riondino, senza dimenticare gli avveniristici Giovanotti Mondani Meccanici dell’ormai mitico Alexander Robotnick, con i loro innovativi fumetti e i concept multimediali, senza dimenticare l’energico miscuglio di spoken word, free jazz e noise dei Neem o la sovrapposizione dei linguaggi sperimentata dai Magazzini Criminali.

Alcuni luoghi divennero improvvisamente il centro di un nuovo mondo, come per esempio “Luisa Via Roma”, da semplice boutique ad attrazione di fama internazionale: “un semplice negozio fiorentino divenne calamita d’attrazione per personalità del calibro di Vivienne Westwood o Pier Vittorio Tondelli. Un ricettacolo di mondo queer, glam, freak, trasgressione e desiderio di rottura col passato”. Stesso discorso per l’Universale nel popolare quartiere di San Frediano: “Un cinema che riusciva a unire una programmazione d’essai – a forte connotazione politica – con la cultura bassa e la spontaneità guascona e un po’ caciaresca della vulgata fiorentina. Un’oasi di pazzi, punk, ultras, impiegati, studenti, hippie, tossici, dark, giornalisti e comici. Un mix tra un coffee shop e un centro sociale. Con un minimo comun denominatore: l’amore per il cinema, con commento e urlo libero”.

“A Firenze negli anni 80 è nato il primo salone dedicato allo stilismo giovanile contemporaneo ovvero il Pitti Trend; si svolgeva due volte l’anno e coinvolgeva l’intera città. Una passerella internazionale di giovani stilisti che arrivavano da tutto il mondo come Scott Crolla, che disegnava le camicie psichedeliche per David Bowie o Romeo Gigli, Vivienne Westwood, Dries Van Noten e poi tutta la scuola italiana, Samuele Mazza, Bold, Franco Biagini.” Bruno Casini

Forse solo la variegata esperienza milanese di Matita Emostatica rappresentava in quel periodo un’esperienza simile a quella toscana. Affreschi di quella Firenze sono magnificamente sintetizzati da Pier Vittorio Tondelli nel suo scritto Un week end post-moderno, che ne accenna luci e ombre, in un abbraccio epico. Firenze è stato il cuore pulsante di quel rinascimento musicale che ha marcato un confine, indicato un’altra strada, seminando per un raccolto a venire della musica indipendente italiana, che si è ulteriormente rafforzato col circuito delle posse e dei centri sociali negli anni Novanta, anche se ormai la fruizione della musica cominciava a cambiare definitivamente col finire del secolo. A Firenze si sono concentrati in modo cristallino gli altri anni Ottanta, musicalmente differenti dallo sfrenato pop commerciale che avvolgeva tutto il resto. La città del Giglio, tra i tanti chiaroscuri, è stata un laboratorio sperimentale a cielo aperto, a cui tutta l’Italia (e non solo) per alcuni anni ha guardato. A livello internazionale la rivoluzione musicale del punk si gioca in pochi anni, e le sonorità della prima ora, molto scarne e dirette, già alla fine degli anni Settanta, principalmente in Inghilterra, si trasformano, prima sperimentando tutte le sfumature del rock (col post-punk) e poi allargando il proprio spettro sonoro facendosi new wave, con l’aggiunta dell’elettronica e in generale accorciando le distanze dal pop rock di qualità. Tutto ciò creava nuovi spazi e nuove possibilità creative.

“Il post-punk e la new wave, al pari del punk, avevano rappresentato un’occasione per poter ripartire da zero; senza sentire nessun obbligo nei confronti del passato e trovando, in questo nuovo spazio, il terreno favorevole per creare qualcosa di buono senza doversi vergognare di nulla, neanche di fare musica a volte estremamente scarna dal punto di vista tecnico. Ma se il punk in fondo riprendeva e proponeva, seppur snaturandoli, elementi della tradizione, con il post-punk e la wave si suonava qualcosa di nuovo e diverso rispetto a tutto quello che era stato fatto fino ad allora. E lo si faceva con una volontà e un’arroganza che solo i giovani sanno avere.” Federico Fiumani – Diaframma

Si andava formando un composto sempre più esplosivo che nel suo big bang avrebbe dato luogo a una creatura affascinante e sorprendente quale fu la Firenze artistica degli anni Ottanta. Occorrevano band che ne avrebbero caratterizzato il suono, luoghi che ne avrebbero definito i contorni, etichette che ne avrebbero raccolto e inciso il battito, gruppi umani prima ancora che musicali capaci di tradurre quella tensione al cambiamento, quella voglia di novità, in album in grado di far risuonare quelle atmosfere e, infine, qualche radio libera a programmare e diffondere nell’aria quel nuovo suono underground. E tutto questo accadde.

 Bruno Casini

Bruno Casini, prima di diventare il manager delle principali band fiorentine, diede vita a uno dei primi locali capaci di cogliere quel nuovo mondo in arrivo e di dare spazio alle novità. Il Banana Moon sorge nel cuore della città, in Borgo Albizi, a metà strada tra lo struscio più turistico e il confine con la “suburra”, così definiva lo scrittore Vasco Pratolini nel suo romanzo “Il Quartiere”, una parte della popolare zona di Santa Croce. Questo locale è nella memoria di tutti i protagonisti di quegli anni come riferimento assoluto, non solo per aver iniziato a dare spazio ai progetti artistici della città, ma anche per aver contemporaneamente cominciato a portare da quelle parti il meglio di ciò che succedeva nel resto d’Italia; memorabili le esibizioni di un giovane e sperimentale Franco Battiato, di Alberto Camerini, degli Skiantos o dei Gaznevada, band di punta della scena bolognese, freschi dell’apertura ai Clash in piazza Maggiore.

Su quello stesso palco emiliano, a precedere la band di Strummer e i Gaznevada c’era un trio, i Cafè Caracas, anche detti i Police di Firenze, una delle prime scintille a incendiare l’underground cittadino. Quel progetto prese forma quando si incontrarono un giovane punk di origine pugliese e un amante del rock blues molto aperto alle novità. Il primo era Raffaele Riefoli, in arte Raf, il secondo Ghigo Renzulli ancora ignaro della storia con i Litfiba. Per cominciare a provare la loro musica rimisero a nuovo una cantina, a cui mai riuscirono a togliere tutta l’umidità che l’Arno portava in superficie, ma che divenne un luogo di culto assoluto nel tempo: la sala prove di Via De’ Bardi, in cui transitarono davvero tutti i protagonisti di questi anni, e passata poi alla storia come la “casa dei Litfiba”.

Intanto un altro locale pronto a entrare nella vicenda si preparava ad aprire, un po’ fuori dal centro. Sulla Via Pratese, si rimise a nuovo una ex Casa del Popolo e si scelse di chiamarla con il nome di una gelatina per capelli: Tenax. Aprì nel 1981, pochi mesi dopo il live dei Clash allo stadio, e nel giro di pochissimo divenne un riferimento in Italia per la scena post punk e new wave, richiamando il meglio delle band internazionali. Di dimensioni ben più grosse del Banana Moon, poteva ospitare un elevato numero di persone sotto un palco con tutti i crismi necessari. Sopra il palco invece sfilarono i nomi leggendari di quegli anni: Visage, Bauhaus, Psychedelic Furs, New Order, Sisters of Mercy, Grace Jones, Tears for Fears, Tuxedomoon, Human League, David Byrne, Spandau Ballet, Frankie Goes To Hollywood, oltre naturalmente a tutta la scena Toscana. Ma anche altri spazi come il Manila e il Casablanca contribuirono a irrobustire la scena, insieme a Feste dell’Unità e altre rassegne che portarono in città anche Sound, Echo & The Bunnymen, Killing Joke, Stranglers, Contorsions, Lounge Lizards, Talk Talk, Eurythmics, Virgin Prunes, D.A.F., Kraftwerk, John Cale, Nick Cave, Gun Club, Siouxie & the Banshees, questi ultimi a Prato, all’epoca ancora parte della provincia di Firenze. Questa massiccia onda d’urto esterna, si incrociava con quella montante che saliva dalle cantine in riva all’Arno, creando la tempesta sonora perfetta. Un ruolo importante in quegli anni lo giocarono anche due radio: Centofiori, legata al Partito Comunista e Controradio più libera, indipendente e intraprendente, entrambe coinvolte in modi e tempi differenti anche nella organizzazione concreta di molti concerti e manifestazioni.

Negli Ottanta è stato così, come negli anni Sessanta, a ogni decennio si cambiava pelle come i serpenti – Raf

Do It Yourself

Avviamoci ora al cuore della questione. A Firenze, come abbiamo, visto inizia ad affiorare il battito del rock indipendente nostrano, e assieme ad esso prende vita anche parte di quel nuovo rock italiano a carattere mainstream. L’Italia non era l’Inghilterra e la soglia di attenzione per le band emergenti da parte delle major era piuttosto bassa, dalla fine degli anni Sessanta si limitavano a tenerle d’occhio, e se avessero superato qualche parametro di loro interesse, tipo un buon seguito di pubblico ai concerti, o, dalla fine dei Settanta, un certo numero di copie autoprodotte vendute, magari veniva proposto un vero e proprio primo contratto.

Ma in quegli anni anche questi criteri cominciano a cambiare, da una parte sulla spinta della rivoluzione punk, con alla base di Do it yourself, i gruppi non avevano più l’ossessione di cercare una major, e dall’altra perché la sperimentazione e la ricerca musicale portava davvero lontano da quelli che erano gli standard musicali dei colossi commerciali. Firenze vide un tale pullulare di etichette indipendenti da attirare anche band provenienti da altre città, che facevano la fila per essere messe sotto contratto e inserirsi in questo circuito che allargava sempre più la sua aurea su tutta la penisola. Nel volgere di poco una vera e propria nidiata di nuove label cambiò il volto della scena cittadina: Ira Records di Alberto Pirelli, Materiali Sonori di Giampiero e Giancarlo Bigazzi, Kindergarten di Fabrizio Federighi, Lacerba, Contempo, Urgent Label, sono tutte sigle che in proporzioni diverse avviarono un processo di trasformazione inedito e impensabile fino a qualche anno prima. Tutto questo tra l’altro portò alla prima edizione dell’Indipendent Music Meeting (IMM), una mostra mercato che radunava tutte le etichette indipendenti italiane e straniere, una sorta di fiera della musica indipendente che negli anni Novanta si trasferirà a Faenza sotto il nome di M.E.I. (Meeting delle Etichette Indipendenti). Quel Meeting ci fu per la prima volta nel 1984, e vide alle Cascine, insieme sul palco, Litfiba, Diaframma e Neon, tre delle principali band porta bandiera di quell’ondata new wave.

A guidare questo manipolo di agguerrite e vitali label, ci fu di certo l’Ira Records (Immortal Rock Alliance), che nacque come naturale conseguenza di un iniziale progetto più ampio di network che Alberto Pirelli e Francesco Loy, figlio del regista Nanny, avevano in mente, già nel 1982, il G.A.S. Studio, acronimo di Global Art System. L’etichetta vera e propria, nacque nel 1984, raccolse e sviluppò i frutti di quel periodo, realizzando i dischi dei fiorentini Litfiba e Diaframma, degli aretini Moda, senza farsi sfuggire i migliori talenti emergenti anche da fuori regione con i monzesi The Underground Life di Giancarlo Onorato, i romagnoli Violet Eves di Nicoletta Magalotti, i napoletani Bisca, gli Avion Travel e i Detonazione. Questa nuova musica rock cantata in italiano trovò una solida casa in cui poter inizialemente crescere, sperimentare e affermarsi.

Federico Fiumani

FIRENZE NEW WAVE

“Conoscevo bene l’apparecchio e il sistema Iricon per comporne l’indirizzo: fra i tanti lavori della mia vita, ho fatto anche l’operatore telex. “L”= sigla fissa di chiamata del sistema Iricon; “IT”= Italia; “FI”= Firenze; “BA”= Bardi (Via dei Bardi, sede della mitica cantina dei Litfiba in via dei Bardi 32)”. Ghigo Renzulli- Litfiba

Al numero 32 di Via Dé Bardi, Federico Renzulli detto Ghigo, ha costruito quella sala prove con l’aiuto di Raf e di tanti altri giovani musicisti che cominciano a frequentarla. I Litifiba ancora non hanno un nome ma Ghigo è già insieme al bassista Gianni Maroccolo e al tastierista Antonio Aiazzi. Quache tempo dopo a loro si unisce il giovane cantante dei Mugnions, Piero Pelù, che qualche anno dopo porterà con sé, da quella band, anche il batterista Ringo De Palma. I Litfiba suonano molto sin dall’inizio degli anni Ottanta, registrando i primi Ep, tra cui Eneide, musiche per lo spettacolo teatrale della compagnia Krypton. Ma è nella seconda parte del decennio che si impongono con la cosiddetta “Trilogia del Potere”. Con l’ingresso nella scuderia IRA Records sfornano nell’85 il loro primo album Desaparecido, seguito da 17 Re l’anno successivo, per molti il loro miglior lavoro, e si conclude con Litfiba 3 del 1988, anno che vede l’uscita dalla band del bassista Gianni Maroccolo.

Sono album che segnano un’epoca per sonorità, testi e modo di stare sul palco. Pelù si impone come uno dei migliori frontman italiani di sempre, capace di unire ai retaggi delle esperienze teatrali vissute in quegli anni, il fascino e le movenze delle rockstar internazionali. E pensare che stava per prendere un aereo solo andata per Londra se non fosse avvenuto qualcosa di magico e coinvolgente che lo convinse a restare sul palco per anni con loro, proprio la sera del debutto, nel 1980, alla Rokkoteca Brighton, un luogo decisivo anche per un’altra band che segnerà fortemente quel periodo.

Diaframma / Litfiba

Michelangelo, nella sua biografia dettata ad Ascanio Condivi, ricordava come la sua balia fosse di Settignano e che da lei avesse bevuto «latte impastato con la polvere di marmo», cosa che gli aveva trasmesso l’amore per la scultura, poiché proprio lì vivevano molti scultori con le loro famiglie. E fatte le dovute proporzioni, Settignano resta decisiva linfa vitale anche per quel piccolo grande rinascimento rock toscano. Settignano è poco fuori Firenze, l’estremo lembo collinare del quartiere di Campo di Marte. La Rokkoteca Brighton di Settignano divenne una meta essenziale per chi voleva ascoltare, scoprire o ballare le nuove sonorità new wave intrernazionali. A selezionare i brani Nicola Vannini, grande amico di un giovanissimo Federico Fiumani, che muoveva i primi passi sulle orme dei Television di Tom Verlaine e dei Joy Divisiondi Ian Curtis. Nicola Vannini divenne il primo cantante dei Diaframma del chitarrista e autore Fiumani, in una formazione che si completava con i fratelli Gianni e Leandro Cicchi alla sezione ritmica. La svolta arriva nel 1984, col nuovo cantante Miro Sassolini, che subentra poco prima di registrare, sempre per l’Ira Records, l’album Siberia, uno dei migliori dischi italiani di sempre, che anche a livello di vendite, raggiunse vette mai esplorate per una produzione indipendente. Gli anni Ottanta della band continuano con altri due dischi Tre Volte Lacrime del 1986 e Boxe del 1988, che segna anche l’ultima partecipazione di Sassolini. In seguito i Diaframma diventeranno un trio con lo stesso Fiumani a cantare le sue canzoni.

A completare le tre punte di diamante toscane dell’Ira Records, ci sono gli aretini Moda di Andrea Chimenti, che si spostano a Firenze per rendere concreti i loro esordi. Già presenti nella compilation manifesto dell’Ira Records “Catalogue Issue” qualche anno prima, esordiscono con il disco Bandiera. Le sonorità dei Moda esplorano il versante più pop rock della new wave, sfiorando spesso le sonorità di David Bowie, al punto che il loro disco successivo, Canto Pagano, probabilmente il migliore, sarà addirittura co-prodotto dal chitarrista del Duca Bianco Mick Ronson. Componente dei Moda era anche Fabrizio Barbacci, divenuto in seguito uno dei più importanti produttori italiani. Ma un collaboratore spesso nell’ombra fu Francesco Magnelli, che già era un importante supporto anche per i Litfiba e che in seguito, insieme a Maroccolo, prende la via dell’Emilia per diventare un componente essenziale dei CSI di Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni, che nascono dalle ceneri dei CCCP, al crollare del muro di Berlino, mantenendo vivo un canale sempre molto trafficato, sin dai tempi del primo periodo punk, tra Toscana ed Emilia, che tra l’altro di ritorno porterà anche un Giorgio Canali come fonico ai Litfiba.

La sfumatura invece più marcatamente elettronica della New Wave fu colta dai Neon, che per tutto il decennio rappresentarono la parte più synthpop e darkwave della scena. Molti i singoli e gli Ep proposti dalla band di Michelotti, nata come duo elettronico per evolvere dopo poco in una vera e propria band. Anche qui a raccogliere su vinile le tracce di questa esperienza ci pensa l’etichetta Kindergarten, che nel 1985 stampa Rituals, unica pubblicazione sulla lunga distanza della band per tutti gli anni Ottanta. Tra l’altro in quello stesso periodo l’etichetta lancia anche i siciliani Denovo di Mario Vanuti e Luca Madonia. I Neon sono andati ben oltre la scena cittadina, viaggiando per lunghi tour europei che li ha portati fino in Russia. Tra piccolo giallo e leggenda metropolitana, una vicenda particolare accompagna un loro brano dal titolo Lobotomy. A detta di molti, una delle pietre miliari dell’elettronica dance/new wave molto “ispirata” al pezzo dei Neon, fu niente di meno che Blue Monday dei New Order, brano che li affranca definitivamente dalle sonorità e dal peso di essere gli ex Joy Division. A domanda precisa Marcello Michelotti si è sempre limitato solo a dire che i New Order erano grandi ascoltatori di musica underground anche di altri paesi e “può essere capitato che l’abbiano ascoltata”. Due indizi non fanno ancora una prova, ma è bene tenerli a mente: il primo è che la band di Manchester, a Firenze aveva davvero fatto tappa e il secondo è che Lobotomy è precedente a Blue Monday in quanto a data di pubblicazione.

Frutto di quell’enorme arcipelago di band cittadine sono anche i Pankow, proiettati verso un più vasto orizzonte internazionale, con il loro percorso sperimentale sfociato nell’ industrial; il tutto senza mai lasciar prevalere l’aspetto dei decibel fine a se stesso, al contrario, preservando l’aspetto del suono e del ritmo come parte decisiva: tanto da farli considerare a livello internazionale uno dei migliori gruppi di quel genere, se non quasi gruppo di culto in America. Escono nel 1982, in uno “split” con i Diaframma pre Siberia per Lacerba e poi in cassetta per Electric Eye con l’album Throw Out Rite nel 1983, con Contempo nel 1987, con Freiheit fuer die Sklaven e nel 1989 Gisela. Questo ci ricorda quanto variegato e ricco fosse davvero il panorama delle etichette indipendenti nate in città.

Consapevolezza e fine

A distanza di alcuni decenni, dalle voci dei protagonisti di quegli anni, viene fuori un’immagine controversa, con una forte rivalità tra le band, e una città tutto sommato persistentemente chiusa, nonostante fosse un piccolo centro del mondo artistico. Tutto il fermento che si respirava, soprattutto appena calava la sera, negli allestimenti alla Blade Runner del Tenax, o negli scenari surreali del Manila, sembra essere rimasto relegato in quel tempo, senza superare i muri del decennio; muri che, in quegli stessi anni, furono abbattuti nel cuore dell’Europa. Gli anni Novanta hanno ancora regalato momenti musicali interessanti, col Tenax che si conferma una delle discoteche più importanti a livello internazionale, col circuito dei centri sociali, con la nuova musica di Marco Parente, della Bandabardò, degli Ottavo Padiglione di Bobo Rondelli o degli aretini Negrita, o sociali, con il movimento della Pantera all’università e le prime coraggiose e radicali battaglie antirazziste. Tuttavia l’esaurirsi della magia di quegli anni Ottanta sembra non essere rimasta nelle corde della città, sembra non averla quasi scalfita, anzi è come se essa stessa abbia masticato tutto velocemente, parametrata come è su tempi storici molto più lunghi per poter modificare la propria fisionomia nel respiro di qualche anno.

Pier Vittorio Tondelli

Allargando lo sguardo, forse Firenze è davvero storicamente così, una città profondamente chiusa, ma capace di raccogliere ogni tipo di impulso per trasformarlo e restituirlo al mondo sotto forma di arte e di scoperta. Magari proprio perché come dice Pier Vittorio Tondelli, è una città unica tra le capitali culturali: “Firenze è una grande capitale della cultura ma, a differenza di altre città, in essa è ancora possibile rintracciare e vivere qualcosa che le altre città, o metropoli, hanno perduto, o forse, nemmeno lontanamente, hanno mai avuto: il centro…”.

Tondelli ha saputo cogliere anche il novilunio di Firenze, quella parte buia e senza luce, che spesso si vede di notte, quando è deserta, alzando lo sguardo per uscire dal presente e salire su quella magnifica macchina del tempo che sono le facciate dei suoi palazzi.

“Solo Firenze…avrebbe saputo darmi anche la consapevolezza di quella fine: l’immagine di un cimitero, cioè, in cui, in luogo della mineralizzazione dei corpi, erano gli stessi edifici, le opere d’arte del nostro passato, la nostra storia a sbriciolarsi e a scomparire. E allora nella notte, le facciate illuninate di Santa Maria Novella, San Miniato, il campanile di Palazzo della Signoria, la grande cupola di Brunelleschi, Orsanmichele, il campanile di Giotto, i tetti di certi edifici vetusti e rigonfi di aristocrazia e passato e nobiltà, le logge, i contrafforti e i bugnati, altro non mi sarebbero apparsi che pietre tombali, monumenti ai quali si accendono le torce e le luci votive, come si fa nei campisanti divanti ai ritratti dei morti”.